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Tecnici e Politici
Giuseppe Pizzi


Clemenceau, De Gasperi, Bucalossi
Clemenceau, De Gasperi, Bucalossi

La polemica innescata dal Ministro Brunetta, che vorrebbe al ministero dell'Economia un economista vero, ovvero se stesso, invece di Tremonti, che essendo un leguleio fiscalista a via XX Settembre non sarebbe altro che un imbucato, ripropone la vecchia questione della competenza al comando, se cioè un ministro o più generalmente un pubblico amministratore debba essere un “tecnico” professionalmente attrezzato per la funzione, o un “politico” con capacità di rappresentanza, di guida e di mediazione.

Il primo ministro francese Clemenceau, sostenitore del primato della politica, riteneva che la guerra fosse una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali - e immaginiamoci l'entusiasmo degli stati maggiori.

Il nostro ineffabile presidente Berlusconi, fautore dell'imprenditoria al potere, ritiene invece che sarebbe una disgrazia cedere il governo del paese ai “fanigottoni” della politica, gente che in vita sua non ha mai fatto altro che chiacchierare nelle riunioni di partito - e poi si stupisce che i suoi colleghi politici puri, dalla Merkel a Sarkozy in Europa, da Fini a Napolitano in Italia, non lo abbiano in simpatia!

Su scala più modesta, molto più modesta, ricordo che tempo fa in un convegno al Binario 7 sul PGT di Monza, (che allora non era ancora approvato e che poi hanno approvato giusto per prendersi la soddisfazione di stravolgerlo), l'assessore regionale lombardo Boni ebbe l'impudenza di affermare che la politica urbanistica non è materia da mettere nelle mani degli architetti e degli ingegneri. Sconcerto nell'uditorio, infoltito di architetti e ingegneri addetti ai lavori, fra i quali l'allora assessore architetto urbanista Alfredo Viganò, che lo azzannò subito alla collottola: “Sarebbe come togliere gli ospedali ai medici. Ci hanno provato nelle Asl, e abbiamo visto come è andata a finire”.

Sull'alternativa politica-tecnica la storia repubblicana registra un episodio significativo. Nel lontano 1974, accingendosi a varare il suo quarto governo, Aldo Moro invitò a farne parte Pietro Bucalossi, un eminente oncologo che era già stato sindaco di Milano. Bucalossi assicurò la propria disponibilità ad una condizione, di non essere destinato al ministero della Sanità. Riteneva che, per occuparsi della pubblica salute, non aveva bisogno di incarichi ministeriali, aveva già una sala operatoria a disposizione all'Istituto dei Tumori. Ma soprattutto temeva che, da ministro della Sanità, il suo passato di barone della medicina avrebbe limitato la sua libertà d'azione e influito sulla sua indipendenza di valutazione spingendolo a prestare più attenzioni e risorse a difendere gli italiani dal cancro, l'oggetto dei suoi studi, che dalla tubercolosi o dall'epatite, per citare un paio di patologie socialmente rilevanti, di cui invece sapeva poco o niente. Fu un ottimo ministro dei Lavori Pubblici, ancor oggi ricordato per la legge sulla edificabilità dei suoli che porta il suo nome.

La competenza tecnica può essere di grande aiuto, ma può anche risultare nociva, basti pensare al rischio che abbiamo corso quando Berlusconi voleva l'avvocato Previti come ministro della Giustizia del suo primo governo, dove avrebbe potuto meglio di chiunque altro sistemare alcune questioni "tecniche" (eterna gratitudine al presidente Scalfaro che gli ha sbarrato la strada).

Previti, Castelli, Berlusconi
Previti, Castelli, Berlusconi

E tuttavia, l'assenza di competenza specialistica non è di per sé una garanzia di buona riuscita, come dimostrato dall'ingegner Castelli nelle funzioni di ministro della Giustizia. La sua nomina era stata benevolmente commentata perfino da un mandarino della magistratura come l'allora procuratore capo di Milano Borrelli: “Trattandosi di un ingegnere, spero che affronti di petto i problemi della razionale organizzazione del servizio giustizia”. Speranza mal riposta e suggerimento ignorato. Il funzionamento dei tribunali e il miglioramento delle carceri furono l'ultima delle preoccupazioni del ministro Castelli. Dal ministero di via Arenula non fece altre che tenere a bada i magistrati invisi al governo ed evitare che i processi a Berlusconi e ai suoi accoliti si risolvessero in altrettante condanne. Tentò perfino di rimuovere dalle aule dei tribunali la scritta “La legge è uguale per tutti” per affiggervi un'altra formula non meno solenne, “La giustizia è amministrata in nome del popolo”, che nelle sue intenzioni costituiva un indiretto ammonimento a non toccare i politici, rappresentanti e interpreti della volontà popolare.

Insomma, ci sono anche casi (pochi) a sostegno della tesi opposta, ma chi pensasse che le cose andrebbero meglio se alla Difesa andasse un generale, agli Esteri un ambasciatore, all'Agricoltura un latifondista, non dovrebbe dimenticare che il più celebrato uomo di stato italiano del dopoguerra, Alcide De Gasperi, è stato per tutta la sua vita un politico di professione al punto che, nel periodo fascista durante il quale l'attività politica gli fu preclusa, poté mantenere sé e la sua famiglia solo con un impiego, e relativo stipendio, da bibliotecario in Vaticano.

Giuseppe Pizzi



Franco Isman
December 01, 2009 3:03 PM


Nonostante gli esempi illustri e quelli negativi, non sono del tutto convinto della bontà della tesi di Peppo Pizzi. E mi spiego: il fatto che ci sia uno staff, o addirittura una pletora, di esperti in un ministero, ma anche in qualsiasi altro ente, non rappresenta di per sé una garanzia, mi sembra indispensabile che il capoccia sia in grado di giudicare che quello che gli viene proposto sia cosa degna e giusta e non possa fidarsi soltanto dei funzionari o dei cosiddetti esperti.
E questo vale ancora di più quando non si tratti soltanto di gestire l'amministrazione ordinaria ma siano necessarie delle innovazioni. Il difetto opposto, naturalmente, è che il capoccia sia così esperto, e soprattutto così presuntuoso, da decidere tutto di capoccia sua.
Abbiamo numerosi esempi anche nella nostra piccola Monza: la vigilanza urbana che funziona malissimo, l'ufficio tecnico che non controlla i lavori appaltati, i trasporti pubblici gestiti da un clan che si definisce sindacato, e gli assessori, quelli attuali ma anche quelli precedenti, che non sono in grado di fare nulla.

Franco Isman



Salvatore Iannazzo
December 01, 2009 4:22 PM

Il fatto è che per i ministri vale, mutatis mutandis, quel che Cuccia diceva per le azioni: si pesano, non gli si fa l'esame. E non c'è dubbio che oggi Tremonti "pesi" molto più di Brunetta. Al più Brunetta potrebbe far parte dello staff di Tremonti, cosa che però non gli piacerebbe affatto.

S. Iannazzo



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  1 dicembre 2009