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Dopo Berlusconi
Giacomo Correale Santacroce


Mussolini e Berlusconi
Molti pensano che passato  Berlusconi, tutto sarà bello e luminoso. Niente affatto. Berlusconi  interpreta perfettamente  una cultura  e  un sistema di  potere  che ha avuto  nel  fascismo la sua più compiuta espressione, che l'Italia ha esportato in diversi paesi e che non a caso sono visti con apprensione dall'opinione pubblica internazionale.
Mentre la Germania ha fatto  i conti con il nazismo (un fascismo portato alle estreme conseguenze), ammettendo i propri errori,  in Italia questo non  è avvenuto. Forse c'è un solo  esponente della classe dirigente politica   attuale che ha  intrapreso un apprezzabile percorso di revisione: Gianfranco  Fini.
Per il resto, una parte considerevole della cultura e del sistema di potere dominante  in Italia è  ancora intimamente fascista. C'è una diffusa leggenda metropolitana  che  tradisce questo stato di cose: quella secondo cui  "il fascismo ha fatto tante cose buone, salvo l'errore di essere entrato  in guerra a fianco della Germania". Al contrario, quella scelta   finale è stata la drammatica cartina di tornasole che ha svelato le condizioni di arretratezza e inferiorità rispetto agli altri paesi in  cui l' Italia si trovava dopo venti anni di dittatura.
Il fascismo ha perpetuato, anche  contro le buone intenzioni di alcuni suoi esponenti (s'intende  dopo la fase dei  manganelli, e sempre in un contesto repressivo) l'antico  principio gattopardesco del nostro Paese del "cambiare tutto perché nulla cambi". In netto contrasto con le manifestazioni di giovanilismo e di avanguardismo, il fascismo è stato in realtà succubo dei vecchi poteri dominanti nel Paese.
Le "cose buone" sono state molto più propagandate che realizzate e soprattutto erano frutto dei cambiamenti in atto più o meno   in  tutti i paesi, dagli Stati Uniti alla Germania.

La cultura e il sistema di potere  consolidati dal  fascismo hanno alcuni capisaldi:
  • la soggezione rispetto al sistema di potere consolidato, fatto di monopoli, corporazioni, privilegi, oligarchie, “cordate”, enti più o meno inutili, relazioni particolari. La conseguente scarsa mobilità sociale, cioè la grande difficoltà per gli esclusi di entrare nella cerchia privilegiata, se non per  concessione dall'alto e graziosa  cooptazione o regalia di chi è già "in";
  • l'istituzionalizzazione di questo sistema, per cui ogni centro di potere riconosciuto acquisisce il diritto di "proteggere" e  "tassare" tutti i sudditi, come se nel  Paese vigesse una rete di caselli del dazio non territoriali, ma  categoriali, settoriali, sostanzialmente feudali;
  • uno statalismo diffuso, in forma diretta o indiretta attraverso l'attribuzione di funzioni pubbliche a organizzazioni sostanzialmente private. Ne è testimonianza il rigido sistema di albi e ordini professionali a cui è obbligatorio essere iscritti per poter esercitare decine di professioni. E ancora oggi, dopo la liquidazione dell'IRI per merito di Prodi, lo  Stato italiano controlla un terzo delle società quotate in borsa, contro il 17% in Francia, l'8% in Germania, l'1% in Spagna e il quasi nulla in Gran Bretagna. E la tendenza attuale è a consolidare questo stato di cose;
  • il nazionalismo  becero del "somos los mejores del mundo", che  chiude gli occhi sulle situazioni  di inferiorità del Paese, non le  affronta  e favorisce l'ignoranza (esattamente il contrario del vero  patriottismo, che promuove lo sviluppo dei talenti);
  • il protezionismo economico, figlio di xenofobia e razzismo, e l'avversione al mercato come strumento di democrazia economica e di una corretta ed efficiente competizione, perché potenziale strumento di rottura di privilegi, monopoli,  corporazioni;
  • la politica estera aggressiva, del pugno sul tavolo, spacciata  come capacità di  difesa dei pretesi "interessi nazionali"; in realtà segno di miopia e di debolezza, pericolosa premessa a un circolo vizioso di ritorsioni e di conflitti, preclusiva di soluzioni   lungimiranti basate sulla  cooperazione tra i popoli.
  • Ma soprattutto, il controllo della comunicazione. Questa viene gestita combinando
    i   "Film Luce" (cioè la propaganda sulle "opere del regime", in cui singole realizzazioni vengono gonfiate come esempi di altre mille inesistenti), con quelli che una volta erano i film frivoli dei "Telefoni bianchi", e  che  oggi  hanno conosciuto la sofisticata e indecente escalation della TV. Il controllo della comunicazione è lo strumento fondamentale del populismo, cioè del rapporto diretto tra il leader manipolatore e il popolo manipolato, che taglia fuori le istituzioni delle democrazie moderne.
Sicuramente la storia non si ripete. La situazione attuale è molto diversa di quella del periodo tra le due guerre mondiali. Non è completamente sotto il controllo di una dittatura. Per questo, oltre ai Film Luce e ai Telefoni bianchi, il potere ha bisogno della Cronaca nera (assente nelle dittature) per continuare a diffondere il senso di insicurezza e il bisogno di “protezione”. Per certi versi, è una situazione peggiore, nella quale alla violenza fisica si è sostituita la violenza della manipolazione della verità, della distruzione dell'immagine delle istituzioni democratiche e dell'identità personale di chi non si adegua. E' una situazione nella quale si è ucciso il pudore: tutto e tutti vengono infangati, in modo da renderli uguali a chi è più in basso e da rendere normale qualsiasi violazione del costume e del diritto da parte dei potenti.
Al di là di queste novità piuttosto repellenti, non vedo nulla di  nuovo di cui il regime imperante ormai da molti anni sia portatore, che non sia un perfezionamento del vecchio regime e un suo adattamento ai nostri tempi. Vedo un   clima  di sistematica restaurazione, di immobilità, di evidente e inevitabile declino. La sopravvivenza di un sistema medievale, feudale nel cuore del XXI secolo.

Eppure le risorse per rovesciare questa situazione ci sono, e sono il mondo dei produttori, in qualsiasi campo e di qualsiasi tipo. Sia i lavoratori attivi nelle grandi strutture produttive e nei servizi privati o pubblici, sia la massa dei lavoratori in proprio e dei piccoli i imprenditori (il 90% delle imprese italiane hanno meno di cinque dipendenti), sia i molti talenti che scalpitano nello stesso mondo anchilosato delle professioni. Ci sono poi le medie imprese eccellenti (circa cinquemila) che competono faticosamente ma con successo sui mercati mondiali. Gli interessi di questi produttori sono in assoluto contrasto con quelli dei poteri dominanti, ma spesso li sostengono perché vittime della disinformazione, della necessità, spesso del ricatto. Sono vittime che amano il carnefice perché non vedono alternative. Spesso si dimentica che i produttori sono anche consumatori. Per un dipendente che lavora, è meglio un aumento di stipendio (cioè del PIL) o una riduzione dei prezzi dob vuta all'aumento della produttività o all'innovazione? Per un farmacista, è peggio una liberalizzazione del suo settore o continuare a pagare balzelli al tassista, al notaio, al monopolio della tratta Milano-Roma in aereo (a parità di chilometri, tre-quattro volte il costo di Londra- Edimburgo)?

Su queste forze, su questa maggioranza si dovrebbe puntare, farla uscire da questo stato di soggezione, darle prospettive convincenti e vincenti, invertire la rotta prima che il Paese incorra in una nuova catastrofe.

Giacomo Correale Santacroce


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  14 settembre 2009