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Aiutiamo Israele
Israele e il massacro a Gaza
Umberto De Pace


Quando anni fa sentii alla radio che si teneva un presidio di solidarietà con Israele, dopo le deliranti dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad in merito alla distruzione di quel paese, non ebbi dubbi; quella sera, uscito dall'ufficio mi recai direttamente a Milano, per esprimere la mia solidarietà ad Israele e ad affermare il suo inalienabile e indiscutibile diritto all'esistenza.
La stessa cosa ho fatto agli inizi di quest'anno, saputo che si teneva una manifestazione a Milano di solidarietà con i palestinesi a Gaza, dopo giorni di continui bombardamenti da parte dell'aviazione israeliana. Ho partecipato per esprimere il mio no alla guerra e la mia solidarietà ai Palestinesi e ad affermare il loro inalienabile e indiscutibile diritto ad avere uno Stato.
Ci sono momenti in cui occorre denunciare con fermezza, senza esitazioni il proprio dissenso verso ciò che accade, momenti in cui la condanna deve essere chiara e netta, tanto più in quei casi in cui vengono minate le basi stesse della convivenza tra i popoli e le nazioni.
Questo è quello che accadde allora con le dichiarazioni del presidente iraniano. Questo è quello che accade oggi a Gaza, con la brutale aggressione israeliana.
Lascio alle anime belle, discutere se sia una guerra giusta o sbagliata, o se sia una reazione proporzionata o sproporzionata, o un atto opportuno o meno. Per quanto mi riguarda, non trovo altro modo che definirla un massacro. E un massacro non ha mai avuto, né avrà mai nessuna ragione che lo possa giustificare. Nessuna. Almeno per quanto mi riguarda.
Così come il lancio dei razzi da parte di Hamas, sulle cittadine israeliane o gli attentati contro i civili israeliani, li ho sempre chiamati atti criminali e non hanno mai avuto, né avranno mai nessuna ragione che li possa giustificare. Nessuna. Almeno per quanto mi riguarda.
Fa rabbia, la faziosità con cui buona parte dell'informazione e del mondo politico nostrano ha affrontato la vicenda, indossando l'elmetto con la stella di David; piegando la storia alle proprie ragioni e dimenticando quelle degli altri, pur evidenti. Lo stesso vale per la stoltezza di presunti filo-palestinesi, i quali giustificano o fanno finta di non vedere i metodi criminali di lotta e i programmi politici oscurantistici e antidemocratici, delle forze radicali islamiste. Penosi gli equilibrismi e tatticismi politici di chi rimane sempre in mezzo al guado, così come l'eterno teatrino italiano che polemizza per giorni interi su bandiere bruciate, preghiere provocatrici o riparatrici, trasmissioni televisive partigiane o altro. Non trovo altre parole, se non di vergogna, per quell'esercito di giornalisti attestati sulle alture ai confini con la Striscia di Gaza a fare da spettatori. Non sono embedded, ma imbelli! Che se stiano a casa, sarebbe meglio per tutti e seguano, come molti di noi, le notizie su Al Jazeera International.

bambine
Bambine israeliane  scrivono  messaggi sulle bombe che stanno per essere lanciate (dal sito www.ecumenici.eu)

Ma poi penso alle tante testimonianze coraggiose di israeliani e di ebrei nel mondo, i quali chiedono con forza di fermare il massacro e automaticamente tutte le meschinità nostrane, ma non solo, passano in secondo piano.
Spetta a noi far sentire una voce diversa, una voce fastidiosa alle orecchie di chi ha perso ogni sensibilità, una voce “traditrice”, “vile”, “carica di odio verso gli ebrei”, “spregevole”. E soprattutto diversa. Non è solo un nostro diritto: è il nostro supremo dovere nei confronti dello stato a cui siamo così legati, noi patrioti canaglia”, così Gideon Levy, giornalista israeliano del quotidiano Ha'aretz, rivendica il diritto ad esprimere il proprio giudizio, rivoltando le accuse infamanti che in Israele vengono scagliate contro chi si oppone al massacro di Gaza.
Oppure Zvi Schuldiner giornalista e professore universitario, che scrive su il Manifesto, dalla regione israeliana di Sderot, sottoposta al lancio dei razzi Qassam: “Il cinismo criminale dell'èlite israeliana ha portato all'inizio di una guerra criminale e oggi l'ambizione “storica” di un leader impedisce in maniera criminale un immediato cessate il fuoco”.
Gli fa eco Ury Avnery, giornalista e storico pacifista israeliano, quando afferma che: “In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro lo stato di Israele”.
Aiutare oggi Israele non vuol dire, come fanno in molti nel nostro paese, accodarsi alle scelte sbagliate dei suoi governanti. Non vuol dire trovare giustificazioni a un atto criminale come la guerra a Gaza. Non vuol dire assumere atteggiamenti manichei in una terra dove le ragioni e i torti – come sappiamo tutti - non stanno da un parte da sola.
Aiutare oggi Israele, vuol dire sottrarlo dalla spirale di violenza in cui, anche grazie alle sue scelte sbagliate, si trova. Con le stragi di civili a Gaza, Israele ha solo seminato nuovo odio per le nuove stragi di domani.

Israele da sola non è in grado, né di garantire una soluzione duratura per la sua sicurezza, né di arrivare a una soluzione definitiva al conflitto con i palestinesi. L'aiuto incondizionato che da sempre ha ricevuto dagli Stati Uniti, sarà sufficiente a garantirle la sopravvivenza armata, ma certamente non a garantirgli la stabilità e la pace.
L'Europa indecisa, divisa, ondivaga è ora che si assuma fino in fondo tutte le sue responsabilità – che sono tante e pesano come dei macigni nel conflitto israelo-palestinese – ponendosi, unita e propositiva, quale reale forza di garanzia per una pace giusta e duratura. Israele ha bisogno di essere aiutata, anche contro la volontà di quelle forze che al suo interno pensano invece di continuare sulla strada fino ad oggi percorsa.
Judith, un'amica ebrea britannica ex-israeliana, come lei stessa si definisce, così si esprime in una sua lettera al giornale inglese The Guardian, in cui spiega la posizione sua e degli altri ebrei inglesi che si oppongono alla guerra : “Noi non siamo “pro-Hamas” o “anti-israeliani”. Noi siamo semplicemente esseri umani che credono che qualsiasi tentativo di giustificare questa guerra è moralmente ripugnante. Per quelli come noi, l'imperativo morale di non essere spettatori silenziosi, è la lezione più importante che abbiamo tratto dalla nostra storia collettiva”.
Una “lezione” che ha riguardato e riguarda, direttamente la vecchia Europa.

Umberto De Pace

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  19 gennaio 2009