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La camorra infame e il ruolo dello Stato
3 . E' tempo di ricostruire
Umberto De Pace


La camorra ha emesso il suo verdetto. Entro il prossimo Natale, Roberto Saviano – l'autore di Gomorra – deve essere ucciso. Un bel po' di esplosivo, un detonatore, un telecomando e il gioco è fatto. Un grande boato e il romanziere verrà fatto saltare in aria, insieme alla sua scorta. Questo è quanto sappiamo dalle rivelazioni di un pentito.
Ciò che non sappiamo è come tale decisione sia stata presa e come si tenterà di eseguirla. Possiamo però provare a immaginarcelo.
Il grande successo del libro, amplificato dall'omonimo film, dagli articoli di giornale, dalle interviste in televisione, dalle varie iniziative pubbliche e non, in cui Saviano continua la nostra battaglia contro la criminalità organizzata, hanno sancito la sua condanna a morte.

Casal di Principe
Casal di Principe
In una stanza o locale qualunque di quelle terre campane ridotte dalla camorra a putridume, sotto tonnellate di rifiuti tossici, ostaggio della violenza e della sopraffazione, un pugno di uomini – i cosiddetti capi – preoccupati, infastiditi, alterati dell'essere oramai da troppo tempo al centro dell'attenzione, vorrebbero che il sipario sulle loro faccende fosse abbassato. Che si tornasse agli affari di sempre, senza tanto scalpore. Non prima però di aver dimostrato, ancora una volta, che chi comanda in quelle terre è la camorra e nessun'altro.
Ed così che incaricano i loro killer di eseguire la sentenza. Hanno tempo fino a fine anno. La scorta, che segue giorno e notte Saviano, non è un problema. Come non lo fu per Falcone, per Borsellino.

Certo la cosa richiede tempo, preparazione, organizzazione, denaro. Ma in fondo, farlo saltare in aria è meno impegnativo, che spararlo.
E sì a sparare a una persona, dopo essere stato ad attenderla per ore, oppure da una moto in corsa, quando la vittima meno se la aspetta, ci vuole un po' di più di infamia, di vigliaccheria.
Non basta nascondersi in un antro oscuro, o dietro a un casco integrale, occorre qualcosa di più. Magari un tiro di coca o qualche altra porcheria del genere, tanto per stordirsi, per non far emergere alla coscienza la propria paura, l'incapacità di rifiutare un gesto tanto infame.
Si, perché parliamo pur sempre di uomini. Non di animali, come qualcuno alle volte, vuol farci credere, cercando così, una via di uscita dal tunnel dell'infamia, alla propria e altrui coscienze.
Uomini, sono. Uomini, più vili di altri certo, ma pur sempre uomini.
Con una propria vita, una famiglia, degli affetti. A cui tornano, magari dopo aver deciso di togliere o aver tolto la vita, la famiglia, gli affetti ad altri uomini come loro.
Dei vili. Questo sono i camorristi.
Perché chi uccide alle spalle un uomo, quando meno se la aspetta; chi fa saltare in aria un pugno di persone, manovrando un telecomando a centinaia di metri di distanza; chi minaccia con la violenza, gente inerme, non è altro che un infame. E chi lo decide e comanda lo è due volte.
Il coraggio, la forza, il valore, l'esempio, albergano altrove. Nelle menti e nei cuori, di tutte quelle persone, che si oppongono e combattono la camorra, la 'ndrangheta o la mafia. Scrivendo, parlando, indagando, proteggendo, giudicando, lavorando. Non importa. Non possiamo che essergliene grati.
Come non possiamo essere indifferenti, tanto più oggi, quando queste organizzazioni criminali sono oramai ben presenti anche sul nostro territorio.
Lo Stato deve riprendere il controllo dei territori occupati dalla criminalità organizzata, ancor prima che con la forza – che pur occorre – con il lavoro, l'istruzione, la cultura.
Con l'autorevolezza che gli può derivare solo dall'affrancarsi da qualsiasi ombra di collusione o anche solo di tolleranza verso il potere criminale.

Silvio Berlusconi e Nicola Cosentino
Silvio Berlusconi e Nicola Cosentino
Ombra, che copre oggi addirittura un componente del governo nazionale. Nicola Cosentino – sottosegretario all'economia dell'attuale governo, coordinatore campano del PdL – accusato da cinque pentiti di camorra, di essere un loro referente. Indagato dalla procura antimafia di Napoli.
La presunzione d'innocenza – che vale per Cosentino, come per qualsiasi altro – non può essere un alibi, per evitare la doverosa scelta, sia pur gravosa, di allontanare da posti di responsabilità chiunque sia anche solo sfiorato dal sospetto.
Lo Stato non se lo può permettere. Tanto più quando suoi uomini rischiano la vita ogni giorno, per indagare anche nell'ambito di quei sospetti.

Umberto De Pace

E' tempo di ricostruire
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1. Libertà (aria), uguaglianza (acqua), fratellanza (terra)
2. Sull'intolleranza


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  20 ottobre 2008