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ECONOMIA E DINTORNI
Nucleare si, nucleare no:
basta con le ideologie.
Giacomo Correale Santacroce

Nei giorni scorsi ho avuto occasione di ascoltare due relazioni in due diversi convegni: la prima, di Umberto Quaglino, A.D. di Edison, dal titolo “Edison e la sfida del cambiamento climatico: le strategie di un grande player dell'energia”, il 19 maggio al Politecnico di Milano. La seconda, di Kristin Shrader-Frechette, docente all'Univesity of Notre Dame di Chicago, a un convegno organizzato il 3-4 giugno scorso dal Centro Interuniversitario Econometica e dalla società di consulenza Accenture, sul tema “Sostenibilità, ambiente e responsabilità sociale d'impresa”.
Le due relazioni, supportate ciascuna da un'ampia serie di dati economici e ambientali, sono arrivate a conclusioni radicalmente opposte per quanto riguarda l'energia nucleare: la prima a favore, la seconda contro l'opportunità di avviare nuovi programmi di costruzione di centrali nucleari con l'attuale tecnologia detta “di terza generazione”.
Ho anche letto, e suggerisco di farlo, i due scenari costruiti dalla Shell sulla domanda/offerta di energia di qui al 2050 e sui relativi riflessi ambientali (vedi www.shell.com/scenarios). Il primo dei due scenari (“Scramble”) prefigura un mondo in perenne inseguimento della crisi energetica e dei suoi riflessi ambientali ed economici, il secondo (“Blueprint”) immagina una capacità di prevenire in qualche misura gli eventi , grazie al fiorire di iniziative locali e regionali nel campo energetico e ambientale, poi recepite e coordinate ai livelli nazionali e globali.
Su queste basi mi sono fatto queste idee, di tipo economico, ambientale, politico e di politica macroeconomico-finanziaria nostrana.

Economico.
La convenienza economica di costruire oggi centrali di terza generazione è molto dubbia.
La tecnologia non è molto diversa da quella di cinquant'anni fa. Quando saranno pronte saranno obsolete, e quindi di vita relativamente breve.
La materia prima, l'uranio, è esposta come le fonti liquide fossili a problemi di scarsità, e quindi di prezzi crescenti.
La scarsa convenienza economica delle centrali nucleari è confermata dal fatto che nessun nuovo impianto è in vista in occidente, salvo uno in Finlandia (che sta già creando problemi).
In sostanza, la costruzione di centrali nucleari non può avvenire senza un sostanzioso investimento pubblico (per usare un linguaggio che non mi è congeniale: senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini).
Ai fini della risposta alla domanda crescente di energia, la costruzione di centrali nucleari cosiddette di terza generazione non fornirebbe un contributo maggiore di quello ricavabile dalla combinazione delle fonti rinnovabili (in particolare eolico e solare), e per di più molto più costoso e dilazionato nel tempo.

Ambientale.
La tesi secondo cui le centrali nucleari non producono CO2 non sembra sostenibile se si fa riferimento alla filiera di estrazione della materia prima, l'uranio. Se si tiene conto di questo, la filiera nucleare produrrebbe la stessa quantità di CO2 del metano.
In sostanza, nessuno dei problemi tra quelli che indussero gli italiani a votare contro il nucleare 21 anni fa è stato risolto. In particolare né quello dello smaltimento delle scorie né quello dell'acqua necessaria al raffreddamento dei reattori: in Francia questo processo assorbe il 40% dell'acqua potabile del Paese.


Politico.
Dal punto di vista strettamente economico, l'energia è sempre più una commodity globale: si può acquistare ovunque, dalle fonti e nelle forme più diverse.
La convenienza di essere autosufficienti, cioè autarchici, può avere quindi solo una giustificazione geopolitica: per il caso in cui una crescente scarsità delle fonti tradizionali, i produttori chiudano i rubinetti o comunque blocchino gli approvvigionamenti dei paesi consumatori.
Vi sono però anche altre spinte verso le soluzioni autarchiche, rivestite di patinate argomentazioni economiche e politiche, ma molto meno pulite: e sono le pressioni di lobby economiche e militari che cavalcano la situazione politica per realizzare i loro progetti mettendo le mani su ingenti risorse pubbliche. E' quello che sta accadendo ora in Italia.
Da notare che con la tecnologia attuale (a differenza delle future tecnologie di quarta generazione) l'uso pacifico e militare dell'atomo non sono facilmente separabili. Iran insegna.

Politica macroeconomico-finanziaria nostrana.
Tra le grandi opere di cui si parla nel nostro Paese ce n'è solo una assolutamente prioritaria: la TAV. E' un'opera le cui ricadute sfuggono a precisi calcoli economici, perché ha una valenza a tempo indeterminato: la dotazione o meno del nostro Paese di una infrastruttura di trasporto che la leghi al resto del mondo, che favorisca movimenti interni veloci a basso costo e impatto ambientale (certo, dopo interventi una tantum che debbono fare i conti con questo impatto). In Europa l'alta velocità sta già riducendo il ricorso a mezzi di trasporto altamente inquinanti come l'uso dell'aereo a corto e medio raggio.
Ma il costo della TAV è talmente ingente che ambienti internazionali hanno messo in dubbio la possibilità per l'Italia, date le dimensioni del suo debito pubblico, di sostenerlo. Quel che è certo è che un impegno deciso in questa direzione rende praticamente impossibili altre imprese faraoniche, tipo il ponte sullo Stretto e altri grandi investimenti a rendimento molto dilazionato e non risolutivo ( e quindi a potente effetto inflazionistico), come le centrali nucleari con le tecnologie attuali.
Le risorse finanziarie residue del Paese dopo la TAV saranno necessarie per altre cose “minori” ma molto importanti: ad esempio le infrastrutture metropolitane, carceri riabilitative e non criminogene (quindi convenienti), scuole, asili nido, infrastrutture di base nel Mezzogiorno, infrastrutture e impianti energetici a rapido rendimento, e ricerca, ricerca, ricerca. Soprattutto nel campo energetico, compreso il nucleare di quarta generazione.
Di fronte a questi dati di fatto, l'attuale governo può fare due cose: o non tener fede alle sue smisurate promesse, dimostrando una saggezza sia pure tardiva, che non avrebbe difficoltà a far accettare al suo elettorato tradizionalmente prono alla manipolazione massmediatica; oppure assumere impegni irreversibili e irresponsabili sulle grandi opere diverse dalla TAV, scaricando sui futuri governi l'onere di portarli a termine facendo saltare gli equilibri finanziari, oppure di sospenderli per dirottare le risorse residue su impieghi veramente urgenti.

Conclusioni.
Occorre bandire ogni impostazione ideologica sul tema dell'energia nucleare. A quella antinuclearista oggi si sta sostituendo, in una logica vendicativa e speculativa, quella nuclearista, sostenuta da interessi più o meno nascosti ma molto potenti.
Ammesso e non concesso che venti anni fa si sia perso un treno, sarebbe inutile e anzi dannoso cercare di riprenderlo oggi.
Credo che dovremmo piuttosto seguire l'esempio della Germania: puntare fortemente sulle energie rinnovabili, e in particolare su sole e vento. Questo significa sostenere la ricerca e le iniziative imprenditoriali orientate sulle nuove fonti e tecnologie energetiche, cosa che appunto in Germania sta già alimentando un settore innovativo, e quindi produzione, occupazione ed esportazioni con grandi prospettive.
Possiamo farlo anche in Italia? Rifkin, intervistato da Repubblica (7 giugno, p.39) risponde all'intervistatore: “Sta scherzando? Voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località…”.
Ha ragione: i bassi fondali dell'Adriatico e del Canale di Sicilia potrebbero consentire di attivare distese enormi di pale eoliche, in accordo con i paesi slavi e africani, senza rovinare i paesaggi delle località marittime. La maggior parte degli edifici residenziali, industriali e commerciali del Paese potrebbero essere ricoperti di pannelli solari, salvaguardando tutti i centri storici e senza intaccare un solo metro quadro di territorio libero.
E soprattutto si potrebbe e dovrebbe sviluppare un grande sostegno al risparmio energetico nell'industria, nel terziario e nelle residenze, per il quale esistono già esperienze concrete (evidenziate da imprenditori nel convegno di Econometica) che valgono in prospettiva la produzione di diverse centrali.
Quello di cui si sente il bisogno, ma che non sembra all'ordine del giorno da noi, è una politica energetica globale, lungimirante, non demagogica, nella quale il nucleare può anche trovare posto e fornire un contributo, ma molto parziale.
Una cosa mi sembra essenziale sottolineare, che emerge sia dallo scenario Shell “Blueprint”, sia dalle proposte di Rifkin, e che ha una forte rilevanza politica: può esserci una strategia che parte dal basso, dalle soluzioni perseguite in ambito locale, comunale e regionale (le città consumano il 75% dell'energia globale e producono l'80% delle emissioni di gas serra), per poi trovare integrazione in politiche nazionali e internazionali, secondo un perfetto principio di sussidiarietà e una logica di rete. E può esserci una strategia basata su grandi centri di produzione dell'energia, molto capital absorbing, rispondente alle pressioni delle lobby economico-politiche, con risultati sicuramente insufficienti e destinata a produrre forti squilibri energetici ed economici.
La scelta sta qui, e non tra alternative alimentate da ideologismi o dal terrorismo energetico.

Giacomo Correale Santacroce

P.S. Non sarebbe lecito attendersi da un partito riformista all'opposizione una dura e argomentata battaglia su questo tema a favore di una strategia “democratica”? E non dovrebbero fare lo stesso i federalisti, se non hanno venduto completamente l'anima al diavolo?


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From: francesco avesani
To: Piazza d'Uomo - Arengario
Sent: Thursday, July 03, 2008 4:29 PM

Rispondo al commento del Dr. Correale sul tema in oggetto.
Per correttezza devo premettere di conoscere molto bene la posizione del Dr. Quadrino e di un'azienda come Edison soggetta al controllo (congiunto – caro Giuseppe, tu consideri francese la Edison, ma ti assicuro che i milanesi, oggi milanesi-bresciani, esercitano un controllo molto più proattivo) del maggior operatore nucleare nel mondo, EDF; tuttavia non credo che ciò renda le mie valutazioni partigiane.
Sono molto scettico, in realtà, sul nucleare in Italia: temo che la nostra proverbiale cialtroneria, laddove si tratti di gestire impianti oggettivamente più “pericolosi” di altri e di smaltire scorie con periodi di decantazione secolari, possa generare esclusivamente guai.
Solo considero la nostra totale dipendenza dai combustibili fossili come un handicap enorme, intollerabile.
Mentre ci riempiamo la bocca con sproloqui sulle fonti rinnovabili, che generano esternalità tanto quanto e se non peggio delle centrali a metano (andate a chiedere ai valtellinesi cosa pensano dell'AEM che da 70 anni gli porta via l'acqua, provate a chiedere agli abitanti dell'appennino molisano/campano/pugliese/calabrese che cosa pensano dell'inquinamento acustico - fanno un rumore incredibile -  e paesaggistico che le pale causano a 500 mt, se va bene, dalle loro case, provate ad ipotizzare il rapporto costo-beneficio di impianti eolici off-shore), tutti gli altri paesi civili possono in qualche misura smarcarsi dal ricatto delle lobbies del petrolio-gas, non semplici intese restrittive della concorrenza, ma associazioni per delinquere di stampo mafioso.
E noi grazie agli accordi che l'Italietta del pentapartito aveva stipulato con l'Algeria e la Tunisia, con quest'ultima per il semplice passaggio dei metanodotti (ricordate qualche statista che frequentava i lidi nordafricani? A me pare di sì, c'era un tale … latitante …), abbiamo chiuso la porta al nucleare, benissimo, scelta legittima, rimanendo in mutande e canotta …
Sulle obiezioni di merito del dr. Correale al nucleare non posso pronunciarmi, leggo solo nel suo contributo un po' di quella ideologia che avrebbe voluto fugare (prendere spunto dal sito di Shell per orientarsi sul nucleare, essendo questa una delle seven sisters, non credo sia una buona idea).
Solo vorrei ricordare che se la 4° generazione è davvero di là da venire, la terza non è così male: oltre alla Finlandia EDF sta sviluppando un progetto sulle coste delle Normandia, a Flamanville (per il raffeddamento acqua salata, quella non si beve; per caso l'acqua della Senna è “potabile”?).
Lo spottone sul sito di EDF lo trovate a questo link.

Anche gli americani comprano EPR: forniscono l'uranio arricchito e rilevano le scorie per “arricchire” l'arsenale del Pentagono…
Non c'è niente o c'è poco di buono nel nucleare temo (salvi ovviamente gli usi medicali), ma restare in mutande e canotta a crogiolarci al sole del Belpaese, aspettando che qualche mago (quello di Palazzo Chigi mi sa che non basta) passi e con la bacchetta trasformi la nostra decadenza in magnifiche sorti e progressive, è solo la solita amatricianata.

 Francesco Avesani




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  28 giugno 2008