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ECONOMIA E DINTORNI
ICI, federalismo fiscale e democrazia
Giacomo Correale Santacroce

Mi sembra che la decisione di abolire l'ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) sia destinata ad avere un forte impatto politico negativo gravemente sottovalutato nel dibattito corrente.
La cosa, prima delle elezioni, era comprensibile: prendere posizione contro l'abolizione di una tassa a larga base, per di più in un clima fortemente demagogico-populista come quello delle recenti elezioni, poteva far perdere molti consensi.
Ma ad elezioni avvenute sarebbe conveniente riesaminare e sottoporre all'opinione pubblica i pro e i contro della conservazione o dell'abolizione della imposta. Pro e contro non solo economici, ma soprattutto politici, con riferimento a piccole e rimosse questioni come la democrazia e la libertà.
Occorre partire da una premessa: che l'ICI costituisce (o costituiva) una tassazione del tutto corrispondente a una buona prassi di scienza delle finanze. L'ICI è una tassa sulla ricchezza che nasce dallo sviluppo urbano, e non dal merito di chi la possiede, e può essere (è stata) modulata secondo i diversi livelli patrimoniali. E' (era) una imposta semplice da gestire e razionale: i recenti progressi nella organizzazione del catasto, consentiti dall'informatizzazione, hanno inoltre reso possibili alti livelli di efficienza, di equità, di trasparenza e di lotta all'evasione. Una volta abolita la tassa locale sui patrimoni, viene meno una delle principali funzioni del catasto.
Anche nella prospettiva della riforma del sistema fiscale in senso federalista, l'ICI avrebbe potuto essere un elemento del tutto coerente con il nuovo sistema, che tende a realizzare il principio indiscutibile secondo cui senza autonomia finanziaria non può esistere una moderna democrazia pluralista.

Il solo problema che è stato posto in questione (anche se non abbastanza) è quello economico: come si compenseranno i comuni della perdita di una così enorme fonte di entrate (l'80% degli italiani possiede una casa)? Si parla di una compartecipazione dei comuni all'IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche), cioè a una imposta di livello nazionale. Ammesso e non concesso che questo “rimborso” avvenga con i tempi fulminei con cui l'ICI è stata abolita, si tratterebbe comunque di un ritorno al vecchio sistema dei trasferimenti di risorse dal cittadino al governo centrale e da questo ai comuni, cioè a una brutale eliminazione della autonomia finanziaria dei comuni, faticosamente conquistata nel corso degli ultimi anni.
In attesa della riforma fiscale in senso federalista che dovrebbe rimettere le cose a posto, può accadere che i comuni, a corto delle risorse necessarie per i servizi locali essenziali, siano indotti ad indebitarsi, o peggio, a diventare molto più generosi con le licenze edilizie, per incamerare i relativi oneri di urbanizzazione. Con il risultato di una spinta ulteriore alla inutile cementificazione, della scomparsa delle residue aree libere, di un regalo forse interessato agli speculatori del mattone.

Ma ancor meno ci si sono poste domande di natura politica, nonostante l'argomento incida su uno dei principi fondamentali della democrazia: “No taxation without representation”.
Tra queste domande, una dovrebbe porsi con maggiore insistenza: come mai la Lega, accanita sostenitrice del federalismo, non si è opposta e non si oppone a questa smaccata violazione del principio dell'autonomia fiscale? Come mai ci si è dimenticati del tanto sbandierato principio di sussidiarietà, secondo cui l'intervento (il sussidio) di un livello di governo superiore si giustifica solo quando il livello inferiore non è in grado di provvedere da solo a certi bisogni della collettività?
La risposta potrebbe essere duplice. La prima, ancora, di tipo elettoralistico: l'abolizione dell'ICI era un'arma troppo forte per vincere le elezioni, da poter essere messa in discussione. Tanto il “popolo bue” era incapace di vedere la contraddizione tra lo slogan “padroni in casa propria” e l'abolizione di una tassa/simbolo dell'autonomia, sottratta per sua natura alle grinfie di “Roma ladrona”. La seconda, che in vista della riforma complessiva del sistema fiscale in senso federale, sia accettabile una temporanea sospensione dell'autonomia tributaria dei comuni.
Ma io ho un sospetto più grave. Che alla Lega, come a molti, troppi altri, non interessi affatto un sistema fiscale veramente autonomista e pluralista, nel quale ogni livello di governo possa imporre direttamente e semplicemente tasse proporzionate ai servizi offerti ai cittadini, dovendone poi rispondere ai cittadini stessi. E che invece abbia in mente un nuovo sistema fiscale di stampo centralista, con la semplice sostituzione delle regioni allo Stato nazionale.
In questa logica potrebbe iscriversi anche l'abolizione delle province, terzo incomodo tra la forza crescente del potere regionale e la debolezza della miriade di comuni.
E in questa logica ancora, si capirebbe anche come mai forze politiche di orientamento autoritario nazionale possano convivere con altre forze politiche che in realtà non sono antiautoritarie e democratiche, ma a loro volta autoritarie, solo con uno spostamento dell'autoritarismo dallo stato nazionale agli stati regionali. Verrebbe quasi da dire ai nuovi “principati”.
La prospettiva per il nostro Paese di un nuovo medioevo prossimo venturo, logica conclusione del declino già in atto, apparirebbe ancora più coerente e realistica.
A meno che, tardando troppo il federalismo fiscale per i prevedibili conflitti tra centro e periferia, tra regioni del Nord e del Sud, dell'Est e dell'Ovest, si decida di introdurre una nuovissima e diversa imposta locale che sostituisca l'ICI. Potrebbe chiamarsi IMPI: Imposta Municipale sul Patrimonio Immobiliare.

Giacomo Correale Santacroce.


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  31 maggio 2008