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Le tre repubbliche
di Giuseppe Pizzi

Alcide De Gasperi Aldo Moro Bettino Craxi

Tutta la lunga stagione politica nota come prima repubblica ha conosciuto un solo partito “a vocazione maggioritaria”, la DC. Vigeva un tacito ma ferreo codice di autoregolamentazione in forza del quale le ali estreme, i comunisti a sinistra e i missini a destra, erano sì ammesse in Parlamento ma non nella stanza dei bottoni. Nella sostanza, chi votava DC vinceva le elezioni e mandava ai suoi rappresentanti al governo, chi votava per gli altri sapeva di mandarli all'opposizione. Si chiamava centralismo democratico, un monopolio di fatto mitigato dal contributo dei partitelli satelliti cosiddetti d'opinione. Una buona affermazione dei socialdemocratici lasciava sperare in qualche apertura riformistica (allora le riforme erano cose di sinistra), un risultato positivo per i liberali significava che si sarebbe andati avanti piano, quasi indietro. Nel 1978, proprio mentre si preparava un pericoloso avvicinamento del PCI alla DC, il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro hanno assicurato al regime centralistico altri dieci anni di sopravvivenza.

Poi, nel breve periodo che va dal 1989 al 1993 il sistema collassa, per cause esterne (il crollo del muro ne fa venir meno la necessità) e interne (mani Pulite ne mette a nudo i vizi). I partiti di governo, la DC e il PSI suo alleato si sfasciano, quelli di opposizione, il PCI e l'MSI, scelgono l'eutanasia e sulla scena politica disperatamente deserta si fanno avanti personaggi e partiti nuovi o rinnovati, tutti in qualche modo sdoganati, ovvero legittimati a governare. Comincia così la stagione politica che va sotto il nome di seconda repubblica, fondata sulla parità delle condizioni di partenza e sulla competizione aperta fra tutte le forze politiche. Archiviata la “vocazione maggioritaria”, chi vince le elezioni governa, chi perde si prepara a vincere la volta successiva. Al centralismo democratico subentra l'alternanza democratica.

Sull'alternanza sono fondate le democrazie avanzate del mondo occidentale, è un sistema così bello e così semplice che il suo funzionamento pare garantito. Lo sarebbe anche in Italia se qui non vigesse il curioso requisito che per vincere non basta che un contendente sia più forte degli altri, deve essere più forte di tutti gli altri messi assieme. Ma arrivare da soli al 51 percento è traguardo praticamente irraggiungibile quando i contendenti sono molti. Perciò bisogna fare squadra, costituire il polo di tutti quelli di qua per prevalere contro il polo di tutti quelli di là. Al grido di “uniti si vince”, nasce il bipolarismo. Il bipolarismo obbliga alla formazione di coalizioni numerose, composite e variopinte, in cui tutti, anche i più piccoli e faziosi, sono determinanti per il risultato. Il numero e la varietà, utili fin che c'è da combattere gli uni contro gli altri, si rivelano nocivi quando, a competizione elettorale conclusa, arriva il momento di condividere gli obiettivi dell'azione politica, riconoscere l'autorità del leader, anteporre le ragioni del governo all'interesse del partito. E' vero che al fallimento dei governi bipolari hanno contribuito anche norme elettorali astruse (il mattarellum prima e il porcellum poi) e condizioni di finanziamento dei partiti e di riconoscimento dei gruppi parlamentari che favoriscono la frammentazione, ma si tratta di concause, la causa principale è quella “alleanza dei diversi” che è connaturata al bipolarismo.

Romano Prodi Berlusconi Walter Veltroni

Il tempo del bipolarismo finisce nel 2008 al ricomparire della “vocazione maggioritaria” del PD. La volontà di fare maggioranza da sé, di “andare da soli” del neoeletto segretario Walter Veltroni è tanto incompatibile con il bipolarismo che l'Unione va subito in pezzi. Romano Prodi sa bene, e il fidato Arturo Parisi non lo nasconde, che la caduta del suo governo non deriva dalle disavventure giudiziarie di lady Mastella, ma dalla minaccia di emarginazione che l'esistenza stessa del PD rappresenta per gli altri partiti della coalizione. Sacrificato, per crudeltà della sorte, dalla sua stessa creatura!
Lo smembramento dell'Unione trascina allo scioglimento anche la Casa delle Libertà (in politica come in natura i poli devono essere due) e al suo posto, per simmetria, nasce il PdL, il partito antagonista “a vocazione maggioritaria”. Siamo così alla vigilia della terza repubblica, di una possibile nuova fase politica che vedrebbe due partiti, il PD e il PdL, misurarsi per la guida del governo e al contorno una manciata di partiti loro malgrado “a destino minoritario”. Finalmente, si instaurerebbe anche in Italia il bipartitismo tipico delle democrazie evolute, come in Germania, Regno Unito, Francia, Spagna, USA, come quasi ovunque. Ma è una transizione ancora incerta, che avrà luogo se i due partiti maggiori riusciranno, come la DC un tempo, a conquistare e spartirsi il centro, quella vasta palude grigia e limacciosa le cui anche minime fluttuazioni decidono il risultato. Lì resistono, duri a morire, i centralisti doc oggi rappresentati da Casini, Tabacci, Mastella e molti altri, gli epigoni della vecchia DC che, come nel vecchio centralismo democratico, si collocano in mezzo ai contendenti e finiscono per vincere qualunque sia l'esito della contesa. E' lì che le prossime elezioni decideranno il passaggio alla terza repubblica.

Giuseppe Pizzi

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  12 marzo 2008