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ECONOMIA E DINTORNI
Le chips e il Regno dei Cieli
di Giacomo Correale Santacroce

soft chips   hard chips

Nella omelia dell'Angelus del 22 settembre 2007 Papa Benedetto XVI ha affermato che “il profitto è legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo economico”, e che “la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni non sono in contraddizione l'una con l'altra”, purché “il loro rapporto sia bene ordinato”. E inoltre, che “il capitalismo non va considerato come l'unico modello valido di organizzazione economica”.
Tutto bene. Ma qual è la “giusta misura” del profitto? E qual è il modello prevalente e il più “provato”?
Prendiamo un imprenditore che produce chips, cioè patatine fritte (ma se si trattasse di microcircuiti integrati sarebbe esattamente lo stesso).
Le sue patatine hanno un grande successo. Siccome la sua impresa è più efficiente delle altre e le sue patatine sono migliori di quelle dei concorrenti, cerca di venderle al prezzo più alto possibile, nella misura in cui i clienti sono disposti a pagarle, ottenendo così il massimo profitto. Nonostante, e anzi grazie a tutto ciò, i suoi collaboratori e i suoi fornitori riescono (magari dopo dure contrattazioni) ad ottenere condizioni migliori di quelle praticate dai concorrenti. Tutti i sottoprodotti vengono riciclati. Si è creato un circolo virtuoso, un “loyalty system” (come è stato chiamato dal capo di una importante società di consulenza), che consente all'impresa di pagare anche le tasse nella misura dovuta.
Con i profitti ottenuti, questo imprenditore riesce a finanziare adeguatamente lo sviluppo della sua azienda. Con quello che avanza, sostiene iniziative benefiche e culturali e può permettersi di trascorrere le sue brevi vacanze su uno yacht.
E' chiaro che questo imprenditore persegue il massimo profitto, il cui limite è dato solo dal valore del suo prodotto. E questo valore non lo decide lui, bensì il suo consumatore, cioè il libero mercato, cioè un mercato dove ci siano più concorrenti (altrimenti che mercato è?).
E' strano: le diverse ideologie sull'impresa (soprattutto la marxista e la cristiana) fanno sempre riferimento ai produttori (padroni, lavoratori) e ai conflitti o alla collaborazione tra di essi, invece che a ciò per cui l'impresa esiste: produrre qualcosa per qualcuno. Raramente ragionano in termini di destinatari della produzione, definiti riduttivamente “consumatori”, che sono poi coloro che “valorizzano” i beni, sia che si tratti di una macchina utensile o di un cd rock. E già che la possibilità di acquistare un prodotto migliore a un prezzo più basso può valere più che un aumento di stipendio!
Il sistema di cui l'imprenditore citato fa parte è il sistema capitalista? Evidentemente sì, anche se questo sistema ha altri aspetti meno idilliaci: i monopoli (che uccidono il libero mercato), le speculazioni finanziarie, lo sfruttamento dei lavoratori, la distruzione dell'ambiente, la manipolazione dei consumatori eccetera. Ma è un dato di fatto che il capitalismo di cui è espressione l'imprenditore citato è “un bene” ampiamente diffuso anche se imperfetto. E che esso può essere tutelato e incrementato semplicemente penalizzando le altre fonti di profitto (meglio definibili come rendite o addirittura estorsioni).
Una parola sulle chips: un prodotto così minimale può essere definito un “valore”? Io penso di sì, nella misura in cui anche le patatine contribuiscono a dare un senso alla vita dell'imprenditore e dei lavoratori che le producono, e un beneficio di chi le compra. Cioè nella modesta e legittima misura in cui esse rientrano tra i piaceri della vita (a patto di non abbuffarsene). Va da sé che sia l'imprenditore che il lavoratore dovrebbero avere altri valori, e più alti, a dar senso alla loro vita. Ma il senso dell'impresa che li impegna per molte ore al giorno è quello di produrre patatine.

Così operando secondo le giuste regole del capitalismo, potranno l'imprenditore e i lavoratori citati guadagnarsi ugualmente il Regno dei Cieli? Io credo di sì.

Perché tutto questo discorso?
Perché molto spesso si pensa che per guadagnarsi il Regno dei Cieli maneggiando il denaro (la ricchezza, Mammona) si debba uscire dal capitalismo, entrare nell'area del commercio equo e solidale, della cooperazione, delle organizzazioni no-profit. Tutte cose preziose,alcune straordinarie, in particolare quelle basate sulla condivisione e sul dono.
O che sia necessario sostituire il mercato con lo stato. Cosa senza dubbio essenziale dove il mercato non funziona, cioè dove sono in questione diritti fondamentali (sanità, istruzione) o monopoli naturali (come reti di comunicazione o di trasporto di risorse vitali come l'acqua o l'energia).
Capitalismo, solidarismo, statalismo: tutte parole da riempire di contenuti reali. Tutte forme economiche valide nel loro spazio appropriato, ma tutte esposte a degenerazione; persino quelle che si giustificano con il dono, come si è visto e si vede in tante tristi esperienze di assistenza ai paesi poveri.
E' comunque un dato di fatto che gli uomini per lo più aspirano a realizzare sé stessi, a raggiungere uno stato di benessere e anche a competere per conseguire i proprio obiettivi.
E se normalmente non siamo angeli, questo non significa che siamo destinati alla perdizione o che siamo demoni già matricolati. Il problema non sta nel salvare gli angeli, ma nel salvare chi angelo non è, cioè la maggior parte degli uomini.
A questo scopo, tra i diversi strumenti utilizzabili ce n'è uno che si ritrova in ogni parte del mondo, che è prezioso anche se delicato, da maneggiare con cura e da tenere sempre in movimento instabile come le biglie di un giocoliere: questo strumento consiste in quel luogo d'incontro e di scambio dove uomini e donne si ritrovano continuamente e che non per caso amano tanto: il mercato.
Che è anche, come lo sport, un vaccino molto efficace contro una forma di competizione ben più patologica e distruttiva, e quindi diabolica: quella che si chiama “guerra”.

Giacomo Correale Santacroce.


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  6 ottobre 2007