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ECONOMIA E DINTORNI
La sfida dell'euro
Le imprese italiane sono cambiate !
di Giacomo Correale Santacroce

euro
Innocenzo Cipolletta è un economista di valore, grande esperto di congiuntura e di cicli economici, che dopo essere stato Direttore Generale della Confindustria è ora Presidente delle Ferrovie Italiane (vedremo tra qualche anno se avrà smentito la tesi di Giulio Andreotti, secondo il quale riformare le ferrovie italiane è un compito senza speranza).
Recentemente ha fatto una affermazione molto importante: e cioè che le imprese italiane sono cambiate, e che questo fatto consentirà una ripresa economica non temporanea, ma duratura. Come dire che il declino dell'Italia degli ultimi anni, che sembrava inarrestabile e pesava come un incubo sul nostro futuro, si è arrestato e anzi ha cambiato direzione.
Analoghe considerazioni fa il guru del giornalismo economico Giuseppe Turani, con particolare riferimento alle imprese del Nord Ovest, cioè l'area di più antica industrializzazione, sulla base dei dati Istat sulle esportazioni e di rapporti di UnionCamere, Mediobanca e UCIMU (l'associazione dei produttori di macchine utensili).

Cosa è accaduto? Per capirlo, bisogna parlare dell'Euro.
Una volta, il comportamento delle nostre imprese era molto semplice: se i costi aumentavano, invece di cercare di aumentare la produttività e la qualità dei prodotti, aumentavano i prezzi. Tanto gli italiani pagavano lo stesso, perché anche i salari aumentavano più o meno nella stessa misura. Però non era così con gli stranieri: i prodotti italiani costavano progressivamente sempre di più, quelli stranieri sempre meno, la bilancia commerciale entrava in crisi. Conclusione: la lira valeva sempre di meno rispetto ai cambi ufficiali, la speculazione al ribasso imperversava, fino alla inevitabile svalutazione, con buona pace dei piccoli risparmiatori e legittimo incavolamento degli stranieri.

E venne l'Euro.
Il giochino non funzionava più. All'inizio sembrava di sì: approfittando dell'illusione monetaria (un Euro vale quasi 2000 lire, non 1000 come spesso istintivamente si pensa) molti prezzi sono anche raddoppiati. Ma la festa per i venditori è durata poco. Il portafoglio dei clienti italiani è quello che è, e se i prezzi raddoppiano i consumi si dimezzano: in sostanza tutti diventano più poveri. Quanto a vendere agli stranieri, il confronto tra i nostri prezzi e quelli dei loro prodotti diventava sempre più insostenibile, indipendentemente dalla Cina: Mentre gli altri paesi europei conservavano le loro quote sul commercio mondiale, la nostra scendeva paurosamente (da circa il 4% a quasi il 2%). Senza la possibilità di svalutare, perché la lira non c'è più, l'avvenire era fosco.
Ebbene: ultimamente questo declino si è arrestato. Le imprese italiane sono tornate ad esportare, a competere da pari a pari con le imprese straniere, Cina o non Cina. E senza poter contare sulla svalutazione di una liretta sempre più piccola, tanto da essere sparita.
Qualcosa di radicalmente diverso deve essere successo. Secondo Cipolletta e Turani è successo. Cosa? Che le imprese italiane hanno smesso di contare sugli aumenti dei prezzi per far quadrare i bilanci, e si sono messe a puntare su una maggiore produttività e soprattutto su prodotti migliori, capaci di tener testa a quelli stranieri.

Così l'entrata nell'Euro si rivela per quello che è stata: una scommessa. Una scommessa sulle capacità del nostro Paese. Una scommessa dall'esito tutt'altro che scontato, ma che sembra vinta.
Assomiglia, questa scommessa, a un altro evento epocale dell'economia italiana: la liquidazione, avvenuta tra gli anni ottanta e novanta, dell'IRI, il carrozzone di Stato fatto di tante aziende decotte scaricate da privati incapaci allo Stato (vedi Motta e Alemagna) e mantenute per anni dal contribuente. Questo carrozzone sembrava eterno, e invece fu liquidato facendo per di più incassare allo Stato ben 120 mila miliardi delle vecchie lire.
Un'altra scommessa vinta.
Da chi? Beh, qualcuno può attribuirla alla fortuna che si dice contraddistingua un certo personaggio. Ma forse la fortuna c'entra solo in parte.
Come mai sto pensando alla mortadella?

Giacomo Correale Santacroce.


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  10 marzo 2007