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Il Manifesto del Partito Democratico
e gli "autoconvocati" di Milano
di Giorgio Casera


E' appena uscito il Manifesto del Partito Democratico (vedi www.incontriamoci.lafabbricadelprogramma.it) scritto dai 12 Saggi rappresentanti tutte le culture che dovrebbero confluirvi (cattolica democratica, socialista riformista, laica repubblicana e liberale, ambientalista etc), ma l'inquietitudine dei simpatizzanti resta alta. Lo evidenzia la lettera di convocazione di un'assemblea aperta a Milano e il suo svolgimento, il 16 febbraio.
Nella lettera, firmata da politici e sindacalisti lombardi ma anche da prestigiosi rappresentanti della società civile (da Veronesi a Lerner, da Giorello a Natoli e Balboni) si afferma infatti che :

“il Partito Democratico può essere un'importante occasione per il rinnovamento della politica… può soprattutto rappresentare il tentativo di ricostruire un rapporto fecondo con la società, con le sue rappresentanze, con tutte quelle energie potenziali di impegno civile che sono finora rimaste ai margini dei partiti e che chiedono una politica più trasparente, più capace di rispondere alle nuove domande sociali.
Occorre quindi prendere atto di una crisi della politica, e cercare di conseguenza delle soluzioni innovative… considerando almeno tre questioni cruciali:
il superamento dell'attuale frammentazione partitica con la costruzione di un soggetto politico più largo e unitario, coerente con un sistema bipolare,
l'attivazione di un nuovo processo democratico che dia opportunità a tutti i cittadini di concorrere alle decisioni,
il rilancio di un coraggioso programma sociale che affronti il tema delle nuove disuguaglianze e che ricostruisca le condizioni di una nuova solidarietà e coesione sociale.
Per questo, il nuovo progetto politico ha bisogno di attivare una larga partecipazione… con una chiara inversione di rotta rispetto alle pratiche autoreferenziali e verticistiche finora prevalenti.
Occorrono per questo condizioni libere di confronto, per cercare di andare oltre i confini di partito e di mettere in moto un più largo processo di mobilitazione di tutte le energie potenziali che sono presenti nella nostra società...

Concetti condivisibili, che sono stati ripresi e approfonditi dai relatori e da alcuni intervenuti nel dibattito della riunione di venerdì. Tra i relatori, Salvatore Veca e Piero Bassetti, c'è stata una specie di divisione di compiti: Veca ha sviluppato il significato di democratico nel contesto del nuovo partito, che si può compendiare nei tre concetti laicità – pluralismo – partecipazione. Uno degli obiettivi fondamentali di un siffatto partito è quello di creare le condizioni per l'eguaglianza delle opportunità per tutti i cittadini. Bassetti si è invece soffermato sull'aspetto partito per discuterne il ruolo nella politica di oggi (“non può essere un partito del '900 né dell'800”), dell'attenzione per la scelta della struttura organizzativa (“attenti a non finire nella peste delle tessere”) e per la sintonia con l'evoluzione della società.

Tra i due interventi c'è stato lo spazio per le dichiarazioni dei presenti che, a parte quelle di alcuni politici locali che hanno ripreso alcuni temi dei relatori, hanno rappresentato voci di critica più o meno velata alle procedure fin qui seguite per la costituzione del partito e per i contenuti della discussione. Si rimprovera per esempio agli estensori del Manifesto di aver anche fatto ricorso ad una retorica non necessaria, di aver parlato molto di politica (critica estesa anche alla manifestazione in corso) e meno di società (“eppure siamo in una situazione di decadenza civile e morale”): citati i casi recenti di bullismo nella scuola, di violenza negli stadi, di intolleranza verso gli immigrati (l'ultimo caso quello dei rom di Opera). Nel Manifesto si parla poco di scuola, educazione, media, lavoro. Inoltre viene espresso il disagio dei non iscritti ai DS o alla Margherita per la mancanza di uno spazio di partecipazione e discussione sul progetto.

Non poteva mancare infine un riferimento alla polemica attuale sui Di.Co. e alla pressione sui cattolici della maggioranza governativa. Se Antoniazzi si è detto preoccupato per l'atteggiamento della Chiesa, il Prof. Balboni, ordinario di Diritto Costituzionale alla Cattolica di Milano, ha rivendicato la propria autonomia nella valutazione delle leggi per il bene della società, di fronte agli attacchi che l'Avvenire, giornale dei Vescovi, rivolge a lui e agli altri intellettuali cattolici “dissenzienti”.
Ha chiuso Emanuele Fiano: “attenzione ad enfatizzare le problematiche del rapporto laici – cattolici, tra qualche anno entrerà nella partita anche un milione di islamici”.
In conclusione, un vaste programme aspetta Fassino e compagni.

Giorgio Casera


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  17 febbraio 2007