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ECONOMIA E DINTORNI
Elogio della semplicità
di Giacomo Correale Santacroce


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Recentemente la Philips ha indetto un “Festival della Semplicità”, con l'obiettivo di sensibilizzare tutta l'azienda e i suoi clienti alla visione aziendale: fornire prodotti elettronici sempre più semplici da usare, anche se internamente sempre più complessi. L'obiettivo è espresso sinteticamente nel bellissimo slogan adottato dall'azienda: Sense and Simplicity.

Questo obiettivo aziendale mi ha richiamato alla mente due citazioni:

“I mezzi più semplici e veri e sicuri sono gli ultimi che gli uomini trovano, così nelle arti e nei mestieri come nelle cose usuali della vita, e così in tutto. E così chi sente e vuol esprimere i moti del suo cuore l'ultima cosa a cui arriva è la semplicità e la naturalezza, e la prima cosa è l'artifizio e l'affettazione, e chi non ha studiato e non ha letto, e insomma come costoro dicono è immune dai pregiudizi dell'arte, è innocente ec. non iscrive mica con semplicità, ma tutto all'opposto: e lo vediamo nei fanciulli che per le prime volte si mettono a comporre: non iscrivono mica con semplicità e naturalezza, che se questo fosse, i migliori scritti sarebbero quelli dei fanciulli”.
Giacomo Leopardi, Zibaldone vol.I, , 20, p. 19, Mondadori, Milano 1937.

“Make it as simple as possibile. But not simpler”.
Albert Einstein.

Questo “elogio della semplicità” da parte di due massimi geni della poesia e della scienza ci insegna qualcosa che molti faticano a comprendere: che la semplicità è difficile, ma che è anche il massimo. Nella vita come nell'azienda.
Un altro genio, Michelangelo, diceva della sua arte plastica che, in fondo, essa si basava sul “levare”, cioè sull'eliminare tutto il materiale superfluo rispetto alla figura che, nella sua mente, era già racchiusa nel marmo.
Nonostante queste lezioni eccelse, sono ancora in molti a praticare un'arte opposta, l'”arte di aggiungere”, convinti che in tal modo si possa far fronte a qualsiasi evenienza, alla complessità di cui tanto si parla. In tal modo si generano mostri, come ad esempio il sistema fiscale italiano.
Un grande cibernetico, Stafford Beer, metteva in guardia dall'ambizione di “programmare il mare”. “Il tentativo è senza speranza”, diceva. “Tuttavia il mare funziona: continuamente, inesorabilmente ci dà la risposta. La risposta è le onde e le correnti, i vortici, gli spruzzi”. Quello che potremo regolare noi umani, sarà una barca ben costrutta, un porto o una diga. E soprattutto un navigatore (in greco: kybernetes, cioè governatore) eccellente.
Un altro padre della teoria dei sistemi, W. Ashby, enunciò una “Legge della varietà necessaria”, secondo cui il controllo di un sistema si ottiene se la varietà del controllore è almeno tanto grande quanto la varietà della situazione da controllare. Ma la “varietà del controllore” adeguata a una situazione molto complessa la si consegue molto di più con un sistema potenzialmente aperto a una grande molteplicità di stati del sistema che con un sistema dotato di una grande varietà, ma rigido. Cioè più con un sistema semplice (non semplicistico) che con un sistema complicato (che non significa complesso). Da questo punto di vista, la macchina potenzialmente più capace di semplicità e per questo di far fronte alla complessità resta ancora il cervello umano.
Far fronte alla complessità attraverso la semplicità è l'arte dello stratega vincente. La storia di Davide e Golia dovrebbe essere sempre tenuta a modello, come obiettivo ideale. Nei limiti del possibile, direbbe Einstein.

Giacomo Correale Santacroce


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  28 dicembre 2006