prima pagina pagina precedente




Galileo e il finanziamento ai partiti
di Toti Iannazzo



contro il finanziamento pubblico

Chiunque progetti e realizzi un prodotto industriale qualsiasi segue, per buon senso prima ancora che per sapienza, il cosiddetto metodo sperimentale che, a torto o a ragione, viene tradizionalmente considerato un'intuizione di Galileo. In base a questo metodo quel prodotto, sia durante il suo sviluppo che nelle fasi successive di ingegnerizzazione e di produzione, viene sottoposto ad una sequenza rigorosa di prove sperimentali, dai risultati delle quali il progettista ricava le informazioni indispensabili per condurre in porto il prodotto ed evitare che esso, una volta completato, manifesti delle anomalie di funzionamento. E' proprio grazie all'uso generalizzato di questo metodo che possiamo oggi godere della disponibilità di una grande varietà di prodotti che, quando arrivano nelle nostre case, sono praticamente esenti da difetti.
Capita, naturalmente, che qualche aspetto del funzionamento del prodotto, durante la fase di sviluppo – vuoi per qualche disattenzione del progettista, vuoi per le pressioni cui egli è spesso soggetto - non abbia ricevuto la necessaria attenzione. La conseguenza è, che quando quel prodotto arriva nelle nostre case, si manifestano difetti di funzionamento.
Il prodotto viene allora mandato alla rete di assistenza che proprio a questo scopo il fabbricante predispone, la quale, sempre sulla base dei risultati sperimentali nel frattempo raccolti, provvede ad eliminare il difetto. Parallelamente, il produttore introduce sulle sue linee di produzione i correttivi necessari ad eliminarlo all'origine.
L'ultima cosa a cui il produttore ricorrerà, in questi casi, è di ritirare il prodotto dal mercato ed a sostituirlo con uno totalmente nuovo. Se così facesse infatti, non solo gli investimenti, in uomini e mezzi, che ha dovuto approntare, andrebbero in fumo; ma soprattutto egli avrebbe la medesima probabilità di incappare, con il nuovo prodotto, in un problema, magari diverso da quello di prima, ma altrettanto grave.

Da qualche tempo mi frulla in mente l'idea che quello stesso metodo galileiano, che – ripeto – dovrei piuttosto chiamare il metodo del buon senso, andrebbe seguito anche in politica. E in effetti viene seguito, consciamente o inconsciamente che sia. Le leggi, spesso, invece di essere riscritte da zero, vengono infatti modificate per quegli aspetti che hanno mostrato difficoltà o inconvenienti nell'applicazione.
Sorprendentemente invece, per una legge fondamentale come quella elettorale, il metodo galileiano è stato ripudiato. E la legge maggioritaria, che pure in oltre dieci anni di applicazione ha assicurato quella governabilità che la precedente legge proporzionale era ben lungi dal garantire (in media più di un governo l'anno per i quasi 50 anni in cui essa è stata applicata), si avvia ad essere gettata in toto nel cestino della carta straccia.

Certo, malgrado abbia sostanzialmente assicurato la governabilità, la legge maggioritaria avrebbe (o dovrei dire: “avrebbe avuto”?) bisogno di qualche aggiustamento. O almeno questa è l'opinione più diffusa. Si dice che è quella legge che ha portato alla moltiplicazione dei partiti, che in effetti sono molto più numerosi che nell'epoca del proporzionale. E che è proprio questa pletora di partiti e partitini a mettere in crisi, non tanto la governabilità, quanto la coerenza interna delle due coalizioni; così che, indipendentemente da quale di esse conquisti il potere, non la governabilità ma il governo viene messo in crisi dalle discordie interne, e sostanzialmente costringe a compromessi tra le varie forze coalizzate, togliendo efficacia all'azione governativa.

Questo è, in effetti, un problema reale. Tanto che si può affermare che, con questo sistema, una coalizione, per governare bene, deve prima vincere contro quella avversaria; e successivamente deve vincere al suo stesso interno.
Ma è la legge elettorale a causare questo problema? Io credo di no.
La legge elettorale permette invero ai partiti, anche i più minuscoli, di acquisire un grande potere, quasi sempre ben più importante di quello corrispondente alla loro forza elettorale. E' più volte stato messo in evidenza che, in un sistema maggioritario, anche il più piccolo partito, in virtù dell'effetto moltiplicativo del suo “potere marginale” (quando ad una coalizione manca l'1% dei consensi per vincere contro l'altra, un partito che abbia solo l'1,5% ha un valore paragonabile, se non maggiore, di quello di un partito del 30%, e può da questo ottenere potere e concessioni che altrimenti gli sarebbero preclusi) può non solo vivere, ma imporre la sua volontà. Tanto che, per fare solo degli esempi, la Lega, con solo il 4% dei consensi ha potuto imporre alla “Casa delle libertà” la cosiddetta “devolution”, malgrado essa sia indigesta agli altri partiti della coalizione, ed in particolare ad AN; ed analogamente, l'UDC, con consensi forse inferiori a quelli della Lega, ha imposto la legge elettorale proporzionale (che però, nella situazione attuale, è gradita al resto della coalizione, che teme di perdere alle prossime elezioni).
Tuttavia ciò che causa la moltiplicazione dei partiti non è la legge elettorale maggioritaria, ma è la legge sul finanziamento dei partiti, ed altre leggi correlate(ad es. la legge sul finanziamento dei giornali di partito).
Ed è significativo che di questo argomento non si parli per nulla. Mentre rimettere in discussione il finanziamento dei partiti potrebbe consentire di varare una legge che favorisca, invece di scoraggiare, la concentrazione dei partiti. Oggi, per citare un solo argomento, possono accedere al finanziamento anche partiti con solo l'1% dei consensi!
E se i partitini non ci fossero non potrebbero nemmeno prosperare all'ombra della legge elettorale maggioritaria: sarebbero costretti ad accorparsi in formazioni più grosse. Si risolverebbe così, con un piccolo aggiustamento “galileiano”, il problema principale che ha finora afflitto quella legge. Senza buttar via, assieme all'acqua sporca, anche il proverbiale bambino. Cosa che invece si sta per l'appunto facendo con il varo della legge proporzionale.

Mi si obietterà: ma tu ritieni facile quel che facile non è. Come puoi pensare che un governo, quale che sia, possa varare una legge che tarpa le ali ai partitini, quando esso si regge proprio sull'appoggio di questi, che mai e poi mai faranno harakiri, approvando una tale legge. Ci vorrebbe, quanto meno, una “grosse coalition” come quella che stanno varando in Germania. Ma lì ci sono stati costretti dai risultati elettorali; da noi invece non ce ne sono le condizioni. Un tale governo non potrebbe mai avere la fiducia del Parlamento che abbiamo in Italia.

L'obiezione è giusta. Ma può essere aggirata se si affronta il problema con la necessaria determinazione ed una certa spregiudicatezza. E senza ricorrere alla “grosse coalition” di stampo tedesco, che –concordo– sarebbe irrealizzabile da noi. E che, comunque, sarebbe quello che gli americani chiamerebbero un “overkill”: come lo sparare ad una mosca con il cannone.
Sarebbe sufficiente che i partiti più importanti delle due coalizioni, che sono i soggetti più interessati al problema, concordassero di approvare una tale legge. Assieme avrebbero le forze parlamentari per farlo.
So benissimo quale sarebbe la reazione dei “duri e puri”, che per l'occasione sarebbero affiancati anche dai partitini da sacrificare: “è un inciucio”, griderebbero con quanta forza hanno in gola, rispolverando un neologismo di qualche anno fa. E minaccerebbero sfracelli. Che però, se la cosa si facesse in prossimità della fine di legislatura, sarebbero innocui.
Ed un inciucio effettivamente sarebbe. Ma, tenendo conto che è una riforma indispensabile per rimettere il paese sulla strada della necessaria efficienza governativa; che per giunta si tratta di un inciucio limitato nel tempo e nello spazio; io credo che si potrebbe farlo. La spregiudicatezza necessaria, poi, sarebbe nulla se raffrontata a quella, di una sola parte, che il presente governo ha usato in più occasioni e per cogliere obiettivi ben più inconfessabili – se non proprio vergognosi – che abbiamo visto, ahimé, già troppe volte.

Questa è –sarebbe– la mia ricetta per risolvere il problema dei nostri governi conservando la legge elettorale maggioritaria. Ma non può essere materia di questo governo. Ormai la legge elettorale proporzionale è praticamente cosa fatta.
A meno che Ciampi

Toti Iannazzo


in su pagina precedente

  29 ottobre 2005