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Il giorno del Ricordo
Una conferenza di Giovanni Sabbatucci
di Franco Isman


Il 10 febbraio, giorno del Ricordo, istituito per ricordare gli uccisi nelle foibe e i profughi istriani, fiumani e dalmati forzati ad abbandonare le loro terre, l'amministrazione comunale di Monza ha organizzato un incontro alla Sala Maddalena con Giovanni Sabbatucci, professore ordinario di Storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma.
Sala strapiena, con la presenza di numerosi amministratori pubblici monzesi e di fuori, con moltissima gente in piedi, fra cui sindaco, vice sindaco e presidente del consiglio comunale. Sul palco, oltre a Sabbatucci, l'assessore all'Istruzione Paolo Pilotto che ha introdotto la serata, peraltro organizzata soprattutto dall'assessore alla Cultura Annalisa Bemporad.

Relazione lunga ed esauriente, seguita, direi, in religioso silenzio.
Sabbatucci ha spiegato cosa sono le foibe e come vi siano stati buttati dagli slavi, partigiani “titini” o irregolari, un numero imprecisato di persone, valutabile attorno alle 5000, “giustiziate” prima, oppure sul posto o, in qualche caso, scaraventate vive nelle voragini. Italiani per la massima parte, qualcuno compromesso con il regime fascista, altri rappresentanti dello Stato: poliziotti e carabinieri, la maggior parte civili, senza neppure una motivazione di questo genere.
Gli eccidi si sono verificati in due periodi, il primo subito dopo l'otto settembre, con il disfacimento dell'esercito italiano, che oltre a presidiare i territori italiani, Istria e costa dalmata, aveva invaso parte della Iugoslavia.
Poi c'era stata l'occupazione tedesca con la pratica annessione al Reich dell'intera Venezia Giulia, Istria e Dalmazia comprese, con la costituzione dello “Adriatisches Küstenland” (Litorale Adriatico) sotto il comando di un Gauleiter, come analogamente avvenuto con lo “Alperivorland” costituito dalle province di Bolzano, Trento e Belluno.
E poi gli eccidi più gravi, quando nell'aprile aprile 1945 i “titini” avevano occupato tutta l'Istria ed il 30 aprile erano riusciti a raggiungere Trieste dove avevano spadroneggiato per 40 giorni non contrastati dai Neozelandesi, che pure erano arrivati prima di loro. Di questo periodo la tristemente famosa foiba di Basovizza, nelle immediate vicinanze di Trieste, in realtà un pozzo minerario dismesso, dove furono “infoibate” migliaia di persone, triestini in massima parte. E qui le prime vittime, più ancora che fascisti, più o meno colpevoli, furono tutti quelli che si opponevano, o avrebbero potuto opporsi, all'annessione di Trieste alla Iugoslavia, numerosi membri del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) fra i primi.

Sabbatucci ha preso in esame appunto le motivazioni di questi eccidi, e si va dall'ideologia politica alla ritorsione per le atrocità delle truppe italiane nelle zone occupate della Iugoslavia, a quella per la forzata italianizzazione durante l'intero ventennio, all'odio etnico, alle vendette personali. Fino agli scopi politici dell'eliminazione di potenziali oppositori all'annessione alla Iugoslavia ma anche di rendere precaria e insicura la vita delle popolazioni di lingua italiana per spingerle all'esodo.

profughi dall'Istria

L'esodo, iniziato nel 1945, si è protratto fino al 1954 man mano che sui diversi territori interessati veniva stabilito il controllo jugoslavo: prima la Dalmazia, poi l'Istria e infine la "zona B". Complessivamente 300.000 persone o qualcosa di più.
L'accoglienza dei profughi in Italia è stata a dir poco fredda, e si sono verificati episodi vergognosi, come quello del treno carico di profughi che transitava dalla stazione di Bologna dove uno sciopero indetto ad hoc dai ferrovieri del CGIL ha impedito al treno di sostare ed ai profughi di rifocillarsi. Sabbatucci lo ha spiegato con le misere condizioni dell'Italia del dopo guerra e quindi con il considerare i profughi come concorrenti per la battaglia della pagnotta quotidiana, ma anche con la propaganda comunista che additava i profughi come nemici di classe che erano voluti fuggire dal “paradiso comunista”. La maggior parte dei profughi ha trovato comunque una sistemazione e l'integrazione in Italia, sparsi un po' dappertutto o concentrati, come per esempio a Fertilia dove ancora oggi si può sentir parlare veneto e si festeggia il 25 aprile, non come festa della Liberazione ma perché “xe San Marco”, patrono della Repubblica di Venezia e di Fertilia, appunto. Ma quest'ultima notazione è dell'estensore di queste note. Molti invece sono espatriati, fino alla lontana Australia.

Il silenzio. Il silenzio che ha coperto questa tragedia, foibe ed esodo, che si conosceva ma che veniva coperta, finché finalmente se ne è venuti a discutere, per merito delle destre soprattutto, e si è arrivati all'odierno Ricordo. Perché? Un'ipotesi, cara alle destre, è che il colpevole silenzio sia da ascrivere ai comunisti, per coprire appunto i delitti di un regime comunista. Ma non certo i comunisti erano al governo in Italia. Sabbatucci ha parlato in primo luogo di rimozione, rimozione delle conseguenze di una guerra persa, poi di timore che se si fosse parlato delle atrocità dei titini, chiedendo magari la punizione dei responsabili, gli iugoslavi avrebbero potuto fare altrettanto per i responsabili italiani delle stragi nella Iugoslavia occupata e dei campi di concentramento anche in Istria. Infine, e della massima importanza, la scomunica di Tito da parte dell'Unione Sovietica nel 1948, il suo passaggio a leader dei paesi “non allineati” e quindi alleato nella guerra fredda.

E poi gli interventi del pubblico. Quasi tutti molto caratterizzati a destra, in funzione anticomunista, il primo quasi una prolusione, con una ventina di ragazzi che applaudiva a scena aperta. Bisognava specificare che i “titini” erano comunisti, che i partigiani comunisti italiani erano loro alleati, che il silenzio era da ascrivere alla volontà dei comunisti di mettere tutto a tacere, e che anche la cattiva accoglienza dei profughi, con il vergognoso episodio di Bologna, era da addebitare alla propaganda comunista che li presentava come fascisti. In un intervento è stata letto un brano della lettera di Togliatti del febbraio 1945, nella sua veste di vice presidente del Consiglio al presidente Ivanoe Bonomi, in cui critica aspramente una presunta comunicazione di Poldo Gasparotto al C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) in cui si chiede di “far sì che le nostre unità partigiane prendano sotto controllo la Venezia Giulia, per impedire che in essa penetrino unità dell'esercito partigiano jugoslavo.” “La direttiva… equivarrebbe quindi a dire al C.L.N.A.I. che esso deve scagliare le nostre unità partigiane contro quelle di Tito. Per decidere con le armi a quale delle due forze armate deve rimanere il controllo della regione. Si tratterrebbe, in sostanza, di iniziare una seconda volta la guerra contro la Jugoslavia.” “… si tratta di una direttiva di guerra civile, perchè è assurdo pensare che il nostro partito accetti di impegnarsi contro le forze antifasciste e democratiche di Tito.”

Molto bravo e pacato Sabbatucci nelle repliche, facendo presente, a proposito del silenzio, che, dopo tutto, in Italia al governo c'era la Democrazia Cristiana e non certamente i comunisti, che dell'episodio di Bologna aveva già parlato, che non c'era stata alcuna complicità diretta dei partigiani comunisti italiani con gli “infoibatori”, anche se la loro posizione politica di privilegiare gli interessi del blocco comunista sovietico, di cui Tito era allora la punta di lancia, a quelli nazionali, era certamente vera.
Infine gli interventi di Paolo Sandrini che ha raccontato dell'abbandono di Pola da parte della sua famiglia, per motivi ideali di cui andava fiero, della moglie di un altro profugo che ha lamentato l'isolamento e il pratico abbandono dei pochi italiani rimasti in Istria e di Mariagrazia Fragiacomo, nata a Pirano, anche se poi abitava a Trieste, moglie dell'indimenticato Bruno Di Tommaso, triestino di ceppo friulano, che ha negato che a Trieste ci fossero conflitti etnici, portando ad esempio la sua ostetrica che “se ciamava” Braunitzer e il suo ottico Zinzirian…

Una serata piena e interessante che ha certamente raggiunto il suo scopo di far conoscere, far pensare e ricordare, anche se certe strumentalizzazioni avrebbero potuto e dovuto essere lasciate da parte. Quanto al giorno del Ricordo in sé, ne ho già scritto lo scorso anno ed il bello di Internet sta nel fatto che non occorre riscrivere ma basta un link, eccolo: Il giorno del Ricordo.

Franco Isman


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  12 febbraio 2005