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Gita a San Salvador
di Matteo Vergani



El Salvador
SAN SALVADOR - Quasi due milioni e mezzo di abitanti nel circuito urbano.
Il caos nelle strade di San Salvador non è paragonabile alla disordinata e dispersiva Managua. Centinaia di bus sregolati barcollano e sfrecciano tra i saliscendi delle colline su cui si srotolano migliaia e migliaia di casette, baracche e centri commerciali. Macchine preistoriche e jeep ultramoderne si accalcano ai semafori, mentre la gente in strada vende, urla, ti guarda e non sorride.
Cent´anni di violenza, di repressione militare di estrema destra, più di venti anni di guerriglia soffocata dalle violenze voltastomaco dei BLI (Battaglioni di Lotta Irregolare, gli squadroni della morte addestrati dagli uomini degli USA) da un lato; la dollarizzazione, la disoccupazione (in Salvador la moneta ufficiale è il dollaro USA) e il disagio urbano dall´altro, hanno distrutto questo popolo, ora in balia della paura.

Dal '45 il Salvador è governato da regimi militari sanguinari, appoggiati, avallati e finanziati dagli Stati Uniti, che hanno attuato indisturbati le politiche economiche e sociali che volevano senza opposizione alcuna.
Politiche in cui le multinazionali sfruttavano senza problemi la popolazione, che non ha mai potuto rivendicare nessun diritto. La solita canzone Latinoamericana insomma.
Nel '70 i primi gruppi di sinistra, appoggiati dalla popolazione, iniziano a salire sui monti ed a organizzare la liberazione nazionale. Incontrano solo repressione indiscriminata e incontrollata, che sfocia in episodi che hanno commosso il mondo intero, come l´assassinio di monsignor Romero, arcivescovo di San Salvador, che aveva avuto il coraggio di denunciare, nelle sue omelie domenicali, le violenze dei militari. "Non fare politica contro i militari, la Chiesa non si deve intromettere in questi problemi", gli ha detto il Papa polacco, firmando la sua condanna a morte. Ai suoi funerali accorsero migliaia di persone, l´esercito sparò sulla folla, causando una strage.

Romero - murale

Questo è uno tra le centinaia di episodi accaduti durante la guerra. Ce ne sarebbero moltissimi altri da raccontare, sui quali, ovviamente, i media italiani hanno sempre sorvolato, preferendo informarci sulle nuove fidanzate di Fiorello o del calciatore di turno. Ma questa è un´altra storia.

Nel '92 militari e rivoluzionari del FMLN (Fruente Farabundo Martí para la Liberaciòn Nacional), con una popolazione stremata dalla guerra, hanno firmato gli accordi di pace, e il conflitto è finito, lasciando più di 85mila morti alle sue spalle. I gringos hanno smesso di inviare all´esercito salvadoreño milioni di dollari in armamenti, e il FMLN si è costituito come partito.

Ma gli USA continuano a decidere tutto in questo paese, governato dalla destra di Elias Antonio Saca.

In questo nuovo ordine mondiale, dopo la caduta del muro di Berlino, non è più necessario, per reprimere e costringere all'obbedienza un popolo come quello salvadoreño, creare squadroni della morte, torturare e far svanire nel nulla intere generazioni.
E´ sufficiente inondare il paese di TV, assoldare la stampa, e seminare il germe della paura nella popolazione.
Con lo spettro delle Maras (le malavite locali, pandilla terribili di cui fanno parte migliaia di giovani pronti a tutto), nate dai profughi di guerra negli Usa, rimpatriati dopo gli accordi di pace.
Con i continui omicidi di carattere politico che rimangono senza risposta.
Con le minacce di Al Quaeda (il Salvador è sotto ultimatum di Bin Laden, essendo uno dei paesi "amici" degli Usa che ha spedito truppe in Iraq).
Con la paura, confermata dall´ambasciata USA (la seconda più grossa del mondo!), che se vince alle elezioni la sinistra, se vincono i "comunisti", tornerà la guerra e gli Usa bloccheranno le rimesse degli immigrati salvadoreñi nel regno di Bush. Rimesse che sono la principale entrata della maggior parte delle famiglie del paese.

E il popolo non fa più caso alle vere questioni politiche, alla penetrazione (economica, sociale e, soprattutto, culturale) statunitense ormai completamente attuata.

Il Salvador è un laboratorio sociale degli Usa.
Un mondo in provetta, in cui i presidenti a stelle e strisce di oggi e di ieri, hanno sperimentato a danno della popolazione civile tutti i modi in cui è possibile mantenere il controllo di uno stato.
Dalle multinazionali ai colpi di stato, dalle torture degli squadroni della morte alla TV e alla democrazia della paura.

E noi, nel frattempo, in Italia, sappiamo a malapena dove si trova questo piccolo paese dal nome strano.
E non siamo certo messi meglio.
Solo, ci vorrà del tempo prima che ce ne rendiamo conto.

Matteo Vergani


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  10 settembre 2004