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Berlusconi e dintorni
di Carlo Vittone


Altan
Il governo Berlusconi è in grave crisi, forse irreversibile. L'UDC minaccia l'appoggio esterno, la Lega chiede il federalismo entro l'estate e parla apertamente di elezioni anticipate nel caso ciò non avvenga, lo stesso Fini, dopo aver messo in gioco tutta la sua autorità per far fuori Tremonti, oggi si accorge di aver risolto in realtà ben poco. Quella che era la maggioranza parlamentare quantitativamente più cospicua della storia repubblicana oggi pare dissolversi come neve al sole, in preda a forze centrifughe che paiono incontrollabili. A sinistra si esulta, si chiedono elezioni anticipate sull'onda dei successi alle europee e alle amministrative, sperando di intercettare l'onda e andare al governo già nel 2005. Molti parlano di "fine del berlusconismo" e di "svolta epocale", dimenticando che non solo ciò che avviene oggi avvenne a Prodi nel '94, ma anche che potrebbe avvenire in ogni istante di un futuro governo del centrosinistra. Perché il vero problema, e di questo sono convinto da tempo, non sta nei diversi personaggi e negli schieramenti, nelle questioni di merito e nelle scelte politiche più o meno condivisibili, il vero problema sta nella legge elettorale dell'intero sistema, che ormai non regge più e periodicamente fa impazzire la maionese della politica nostrana.
 
Un sistema elettorale è come un imbuto, ma un imbuto molto particolare che presenta un' enorme bocca d'entrata (la volontà di milioni di elettori) e un foro d'uscita piccolissimo (poche centinaia di eletti). Per risolvere questo grandioso ingorgo in generale si hanno due sistemi: il proporzionale puro e il maggioritario secco. Nel proporzionale puro un partito prende in sostanza un numero di eletti in proporzione ai voti ricevuti e ai migliori resti, nel maggioritario secco vince in ogni collegio il miglior risultato, contemplando anche la possibilità teorica (ma anche pratica, basti pensare all'attuale presidente USA) che alla maggioranza di voti ottenuti globalmente non corrisponda una maggioranza parlamentare (è sufficiente vincere nei collegi più piccoli). Esistono poi sistemi intermedi come il proporzionale con sbarramento (Germania),  il proporzionale a doppio turno (Francia), il premio di maggioranza (elezioni amministrative italiane)  che cercano una via di mezzo tra i pregi e i difetti del maggioritario (maggiore governabilità, minore rappresentatività) e quelli del proporzionale (maggiore rappresentatività, minore governabilità). E' poi ovvio che un maggioritario secco crei un panorama politico di 2-3 partiti (USA, GB) uno dei quali governa stabilmente per l'intera legislatura e un proporzionale puro una pletora di partiti e partitini (fino a 20) rendendo necessari governi di coalizione.
 
L'Italia uscita dalla guerra e in fase costituente scelse per per circa quarant'anni il proporzionale puro. Il risultato fu che in luogo dei circa 8 governi di legislatura (40:5=8) che in condizioni normali si sarebbero dovuti avere, se ne ebbero circa una cinquantina, che a volte duravano appena pochi mesi (ricordate i governi "balneari"?). Il record di permanenza di un governo era di poco più di due anni (governo Craxi, oggi appena superato di qualche settimana dal governo Berlusconi) cioè meno della metà del mandato parlamentare. Per far eleggere un deputato bastava ottenere il 2,5% di voti in un collegio e avere lo 0,50 su scala nazionale. Per fare un governo, necessariamente di coalizione, occorreva riunire un mezza dozzina di partiti: così si ebbero governi pentapartito, esapartito, eptapartito. La governabilità, ovvero la possibilità che chi avuto il maggior consenso dagli elettori possa svolgere il suo compito nei tempi stabiliti, non era più un'ovvia regola di democrazia, ma diventava un valore a sé stante, da rincorrere affannosamente tra mille compromessi e manfrine.
 
Poi nel 1991 fu merito di Mariotto Segni e di pochi altri lanciare e vincere un referendum che aboliva la legge elettorale proporzionale. Ma anzichè cogliere il chiaro messaggio che veniva dall'elettorato e puntare al maggioritario secco, si preferì il pateracchio denominato "Mattarellum" (da Mattarella,il proponente la legge) che stabiliva i 3/4 dei deputati eletti col maggioritario e 1/4 col proporzionale. In tal modo non solo i piccoli partiti sopravvivevano nella quota proporzionale (dove comunque esiste uno sbarramento) ma gli stessi, per garantire i voti dei propri elettori anche nel maggioritario, imponevano alla coalizione di appartenenza propri candidati in molti collegi, ottenendo così un ulteriore bonus di deputati. Per esempio, l'UDC di Follini, che oggi minaccia di far cadere il governo, ha un 3,2 % di voti su scala nazionale, ma 37 deputati su 630, ovvero circa il 6%.
 
In tal modo oggi l'Italia presenta una situazione assolutamente anomala e unica: abbiamo circa una ventina di partiti e partitini, come fossimo nel proporzionale, e contemporaneamente due schieramenti (peraltro largamente disomogeni al loro interno) come fossimo in un maggioritario. Io lavoro con studenti di 18-19 anni, e dunque elettori, e faccio sempre grande fatica a spiegare loro che DS, Margherita, Forza Italia, UDC, An e quant'altro sono partiti, ma Polo e Ulivo sono solo coalizioni. E ogni partito, dai più grandi ai più piccoli,  ha il suo segretario, presidente, portavoce, tesoriere, capo del gruppo parlamentare, finanziamento, simbolo, rappresentanti in commissione e CdA vari, ecc. ecc. che ben difficilmente vorrebbero veder annacquati e dispersi in un unico grande partito dove al massimo potrebbero creare una corrente comunque vincolata alla disciplina interna. I vari Follini, o sull'altro fronte un Pecoraro Scanio, che pontificano quotidianamente in televisione dall'alto delle loro percentuali da prefisso telefonico di un cellulare, in sistema maggioritario sarebbero semplici deputati con al massimo un quarto d'ora di celebrità. E un Bertinotti o un Maroni, con i loro 5% di suffragi che li portano a condizionare pesantemente (leggasi: ricattare) quotidianamente il proprio schieramento, potrebbero al più aspirare a un posto in direzione o in segreteria del rispettivo partito dove far valere le proprie convinzioni.
 
Insomma, io credo che, cercando di volare un po' più alti della quotidianità, questa sia la questione fondamentale della politica italiana sia per quanto riguarda sia la destra che la sinistra. E mi fa sempre un po' sorridere che la sinistra che chiede con veemenza le dimissioni del governo Berlusconi lo faccia da tavoli che ormai non stanno più nella stanza da quante sono le sedie occupate. Se in un prossimo domani essa andasse al governo, si ritroverebbe ad affrontare l'esatto e medesimo problema che ha oggi il suo odiato e vituperato avversario. E certo non basta creare un improvvisato triciclo elettorale, che, passate le urne, già si è piantato alla prima curva.

Carlo Vittone


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  7 luglio 2004