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Cosa accadrà in Iraq
di Franco Isman


Cominciamo con l'esaminare quali sono gli scenari possibili.

il Consiglio di sicurezza 

Prima possibilità. Continua l'occupazione militare americana, aiutata da qualche volonteroso ascaro, fino quando un governo iracheno, più o meno rappresentativo o più o meno fantoccio, sarà in grado di gestire in qualche modo l'ordine pubblico, consentendo agli americani di ridurre i loro effettivi e il loro impegno diretto.

Seconda alternativa, opposta. Gli americani piantano tutto e se ne vanno: dopo aver abbattuto un regime, certamente assolutista e sanguinario, dopo aver distrutto una nazione, la abbandonano al suo destino di tragiche guerre intestine fra le diverse religioni, etnie e clan.

Terza alternativa. Viene in qualche modo coinvolta l'ONU, rimanendo americana la maggior parte delle truppe, americano di conseguenza il comando e vattalapesca che cosa ancora. La presenza delle truppe straniere viene quindi in qualche modo legittimata, sia pure a posteriori, i soldati inglesi, polacchi, italiani, spagnoli e giapponesi rimangono, venendo a far parte del contingente ONU ed è facilitata la partecipazione anche di altre nazioni o, più probabilmente, della NATO.

La seconda alternativa è davvero impensabile, su questo (e solo su questo) hanno ragione i fautori della permanenza delle truppe di occupazione. Quello che non si capisce è però perché le conseguenze della criminale follia di attaccare e distruggere l'Iraq con una guerra di aggressione, al di fuori di qualsiasi legalità internazionale, con tentativi di giustificazione assolutamente falsi (armi di distruzione di massa, complicità di Saddam con il terrorismo di Al Quaeda), debbano ricadere anche su nazioni che a quella aggressione non hanno partecipato o addirittura si sono opposte. Gli anglo-americani hanno scatenato la guerra, gli anglo-americani dovrebbero sopportarne le conseguenze.

Invece è chiaro che si sta andando a tappe forzate verso la terza alternativa. Bush ha le elezioni a novembre e prima di quel termine dovrà trovare il modo di ridurre l'impegno americano; gli attuali complici dell'occupazione militare conseguente alla guerra di aggressione, Italia in primis, mirano a trovare, sia pure a posteriori, una legittimazione alla loro presenza in Iraq, una buona parte del centro sinistra ambisce a questo coinvolgimento dell'ONU, e lo stesso discorso vale anche per il prossimo governo socialista spagnolo. La maggioranza del Consiglio di sicurezza, che non era stata rappezzata per avallare la guerra di aggressione all'Iraq, verrà trovata adesso. Invece di lasciare la patata bollente, ma sarebbe meglio dire la mina vagante, dell'Iraq agli apprendisti stregoni che questa spaventosa situazione hanno creato, si sta facendo di tutto per coinvolgere l'ONU e quindi tutti noi.

Continueremo ad occupare l'Iraq, continueremo a subire attentati, sul posto ed anche in Italia, ma saremo contenti perché questa volta il nostro casco sarà azzurro. Molto meglio di adesso, intendiamoci, ma non sembra giusto dover fare i pompieri per gli incendi provocati da altri. In ogni caso l'assunzione della responsabilità della gestione della crisi da parte dell'ONU avrà un significato del tutto analogo a quello di un gestore fallimentare che, nell'interesse della collettività, cerca di risolvere una grave situazione creata da altri (avete presente Parmalat?) e non certo di avallo delle decisioni unilaterali prese in precedenza. Ma ci sarà qualche cacciaballe nazionale che avrà la spudoratezza di dire: “vedete come siamo bravi? Abbiamo fatto prima quello che l'ONU ci chiede di fare oggi !”

Contro la guerra e contro il terrorismo, senza se e senza ma. E questo comporta dei doveri e degli impegni, certamente. Ma il terrorismo si combatte soprattutto rimuovendo le cause che lo provocano, togliendo l'acqua in cui nuota, rendendolo minoritario e quindi perdente. E su questo argomento vedasi il bellissimo articolo di Eugenio Scalfari su la Repubblica del 16 marzo scorso.

Franco Isman
franco.isman@arengario.net

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  21 marzo 2004