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Senza se e senza ma
di Franco Isman


Il 15 febbraio 2003 c'è stata la più grande e incredibile manifestazione contro la guerra mai vista: cento e più milioni di persone in 603 grandi città di tutto il mondo, circa tre milioni a Roma. La grandissima parte dei popoli della terra era contro la guerra, contro l'aggressione all'iraq da parte dell'America che si vedeva ormai ineluttabile. “Bombing for peace is like fucking for virginity” il cartello esibito da due belle ragazze americane. In Italia sui balconi fiorivano le bandiere della pace, l'ottanta per cento degli italiani voleva la pace.
Forse per la prima volta nella storia una enorme massa di persone, una grande maggioranza, aveva preso coscienza di quanto fosse barbara, terribile, moralmente abbietta, la guerra, una guerra di aggressione, e si batteva con tutte le forze per evitarla.
La vera potenza, anzi, la vera superpotenza, scrisse il New York Times, si chiama opinione pubblica pacifista.

All'inizio del mese c'era stato l'indegno show del Segretario di stato Colin Powell all'Onu che mentendo spudoratamente raccontava delle prove assolute in possesso degli americani sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein: è stato molto istruttivo risentirlo alcuni giorni fa (vedasi anche The smoking gun). E la gran parte dei giornali, compresa la Repubblica, spiace dirlo, davano corda a queste menzogne. Gino Strada, malamente trattato in un fondo del Corrierone, replicava scrivendo:
“Per le stesse ragioni sto dalla parte delle vittime del terrorismo. E della guerra, Signor Merlo, che è la più diffusa forma moderna di terrorismo. E' scandalizzato, Signor Merlo, da questa affermazione? Provi lei a trovare parola più adatta che «terrorismo» per descrivere una «attività umana» - quale è la guerra - che uccide e mutila e ferisce e annichilisce esseri umani, il novanta per cento dei quali civili innocenti.”

«Un omicidio in grande» definiva da parte sua l'eventuale guerra L'Osservatore Romano del 2 marzo, mentre Famiglia Cristiana riportava le osservazioni di monsignor Martino, per 16 anni osservatore della Santa Sede presso l'ONU: «non può definirsi giusta una guerra preventiva, che non ha alcun fondamento dal punto di vista etico e giuridico. E a maggior ragione non la si può considerare una guerra santa, del bene contro il male».
E l'arcivescovo Jean-Louis Tauran "ministro degli Esteri" di Papa Wojtyla affermava che la scelta era «tra la legge della forza o la forza della legge» e che «una guerra unilaterale costituirebbe un crimine verso la pace».

Ma la guerra era già stata decisa da Bush subito dopo la sua elezione, anche l'11 settembre e la lotta al terrorismo rappresentavano soltanto un pretesto. Dopo l'ultimatum del 18 marzo 2003, il 20 scatta l'attacco americano: vengono lanciati migliaia tra missili e bombe ad alta precisione, un numero dieci volte superiore a quello usato nella fase iniziale della Guerra del Golfo nel 1991.
Il 9 aprile i marines entrano in Bagdad e organizzano lo show dell'abbattimento della statua di Saddam; il primo maggio dalla portaerei Lincoln Bush dichiara finita la guerra. Ma sappiamo tutti quello che dopo di allora continua ad accadere.

Facciamo attenzione alle date: il primo aprile (ma che bel pesce!), quindi anche ufficialmente in piena guerra, il Parlamento italiano, senza alcun avallo da parte dell'Onu, approva l'invio di aiuti umanitari protetti da una task force di circa 3000 uomini fra militari e carabinieri; un via libera sul quale gran parte del centrosinistra ha dato la sua astensione. Un impegno esclusivamente umanitario, lo aveva definito il ministro Martino. Lietta Tornabuoni su La Stampa del 4 marzo scriveva:
“… il modo in cui in Parlamento sono stati usati i termini dell'altruismo ai quali gli italiani sono tanto sensibili: definendo «soccorrere», «portare aiuto», «garantire sicurezza», «assicurare il recapito degli aiuti umanitari», una spedizione di tremila militari armati, soli, non richiesti da nessuno, al di fuori dell'Onu, al di fuori della Unione europea. Un'operazione che secondo molti serve soprattutto a Berlusconi e al governo per mostrarsi zelanti con gli americani, per fingersi vincitori d'una guerra non combattuta, per acquisire diritti sul bottino petrolifero, per «tornare interlocutori di Blair». Un'operazione che coinvolge direttamente l'Italia in una guerra sporchissima, che espone senza necessità migliaia di militari italiani ai gravi rischi già messi in evidenza dalla cronaca bellica...” Anche l'Arengario pubblicava un articolo dal titolo “Per non essere da meno”.

Dopodiché i nostri militari sono stati impiegati assieme ad americani e inglesi come forza di occupazione, i carabinieri acquartierati autonomamente (e se ne sono visti i tragici risultati), i soldati nei campi alleati, indistinguibili da questi. Tutto ciò travisando il mandato ricevuto dal Parlamento, come era peraltro chiaro fin dal momento della decisione, ed in violazione dell'articolo 11 della nostra Costituzione che bandisce la guerra. E non è forse guerra l'occupazione di un altro Paese assieme alle forze che lo hanno aggredito, mentre la guerra continua, di fatto ma anche ufficialmente?

Poi il 12 novembre 2003 la tragedia di Nassiriya con i 19 militari italiani uccisi da un'autobomba e lo scoppio incontrollabile della retorica patriottarda, per cui criticare l'invio dei nostri soldati equivaleva a sfruttarne indegnamente la tragica sorte e parlare di ritiro significava viltà.

Adesso della nostra spedizione in Iraq si deve ridiscutere in Parlamento ed in questa sede si dovrebbe mettere in evidenza come il precedente mandato, che si riferiva ad una missione esclusivamente umanitaria, sia stato tradito, come di occupazione militare si tratti, come l'ONU ne sia tuttora estranea, come altre grandi nazione europee, Francia e Gemania, non vi partecipino e come, soprattutto, una missione di questo genere sia in contrasto con quanto solennemente sancito dalla nostra Costituzione.

Dobbiamo andarcene, senza se e senza ma.
Cosa ne pensa il nostro governo, nel suo anelito di servilismo verso l'America, è ben noto.
E anche questa volta una fetta consistente del centrosinistra, invece di riaffermare almeno in linea di principio, di gridare la propria estraneità, la contrarietà, l'opposizione alla guerra e, quindi, a qualsiasi forma di collaborazione all'occupazione americana, si appresta ad appoggiare il governo con una benevola astensione. Ma come potremo votare per costoro!

Franco Isman
franco.isman@arengario.net

Vauro su il Manifesto


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  16 febbraio 2004