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Le responsabilità di Banchitalia
di Michele Casiraghi

la sede di Banchitalia
 

Triste dover dar ragione a Tabacci..
Per una volta, devo ammetterlo con un qualche rammarico, hanno ragione Tremonti e persino Tabacci, il cui passato politico non è proprio cristallino: la difesa dell'autonomia della Banca d'Italia non può significare che tutto quanto di vergognoso si sta rivelando finisca a tarallucci e vino. Fazio qualcosa c'entra.
Perchè Fazio è stato inadempiente, prima di tutto, sotto il profilo professionale e istituzionale: difenderlo oltre i limiti del ragionevole - anche se qualcuno  nel centro sinistra sta cominciando cautamente ad "abbandonarlo" - significa proprio rischiare di gettare ulteriore discredito sulle istituzioni che vorremmo salvaguardare agli occhi dei cittadini.
A dirlo, sono anche autorevoli commentatori ed esperti non certo appartenenti all'area del centro destra.
Continuare in questa improponibile difesa d'ufficio, inoltre, espone tutto il centrosinistra a due rischi immediati:
  1. ·quello di non difendere adeguatamente il ceto medio truffato, che costituisce spesso il nerbo dell'elettorato incerto la cui scelta si rivela poi decisiva in sede elettorale
  2. ·quello di avvalorare, persino,  i dubbi circa l'intreccio - che esiste, anche se non per forza in forme dichiaratamente illegittime - tra politica, banche, grandi imprese.
Parmalat, infatti, come dice qualche esperto, potrebbe anche esser solo la punta dell'iceberg, poichè l'esposizione debitoria di altre grandi aziende è altissima e anomala, e  ciononostante l'andamento dei loro titoli in quello strano mercato (che mercato non è) della Borsa italiana non sembra corrispondere a indicatori che in qualche modo ne testimonino davvero la qualità.
Proprio recentemente il titolo Fiat, ad esempio, è salito a seguito delle dichiarazione di un suo dirigente circa il futuro possibile (accadrà, poi?) mentre gli indicatori sull'andamento del debito verso le banche e della stessa produzione industriale (-10%) non sono certo rassicuranti.

  
TESTO UNICO DELLE LEGGI IN MATERIA BANCARIA E CREDITIZIA DECRETO LEGISLATIVO 1.9.1993, N. 385

Titolo III,  Capo I, Vigilanza sulle banche,
Art. 51 - (Vigilanza informativa)
1. Le banche inviano alla Banca d'Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. Esse trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d'Italia.
Art. 52 - (Comunicazioni del collegio sindacale e dei soggetti incarica del controllo dei conti)
1. Il Collegio sindacale informa senza indugio la Banca d'Italia di tutti gli atti o i fatti, di cui venga a conoscenza nell'esercizio dei propri compiti, che possano costituire una irregolarità nella gestione delle banche o una violazione delle norme disciplinanti l'attività bancaria.
2. Le società che esercitano attività di revisione contabile presso le banche comunicano senza indugio alla Banca d'Italia gli atti o i fatti, rilevati nello svolgimento dell'incarico, che possano costituire una grave violazione delle norme disciplinanti l'attività bancaria ovvero che possano pregiudicare la continuità dell'impresa o comportare un giudizio negativo, un giudizio con rilievi o una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio. Tali società inviano alla Banca d'Italia ogni altro dato o documento richiesto.
3. I commi 1 e 2 si applicano anche ai soggetti che esercitano i compiti ivi previsti presso le società che controllano le banche o che sono da queste controllate ai sensi dell'articolo 23.
4. La Banca d'Italia stabilisce modalità e termini per la trasmissione delle informazioni previste dai commi 1 e 2.

Art. 53 - (Vigilanza regolamentare)
1. La Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto:
a) l'adeguatezza patrimoniale;
b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni
;
c) le partecipazioni detenibili;
d) l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni.
2. Le disposizioni emanate ai sensi del comma 1 possono prevedere che determinate operazioni siano sottoposte ad autorizzazione della Banca d'Italia.
3. La Banca d'Italia può:
a) convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti delle banche per esaminare la situazione delle stesse;
b) ordinare la convocazione degli organi collegiali delle banche, fissandone l'ordine del giorno, e proporre l'assunzione di determinate decisioni;
c) procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali delle banche quando gli organi competenti non abbiano ottemperato a quanto previsto dalla lettera b)
;
d) adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche per le materie indicate nel comma 1.

  
Le regole sulla sorveglianza bancaria
A dirci che Fazio DEVE cambiar mestiere - e con lui il suo staff - sono le stesse indicazioni sulla sorveglianza previste dalla legge e ampiamente eluse.
Il carteggio Tremonti/Fazio pubblicato dai quotidiani potrà anche non esser di per sè del tutto convincente (ma quante risposte elusive da parte del Governatore!) e non esser sufficiente a scagionare del tutto  il ministro Tremonti per la relativa lentezza delle sue iniziative, ma è la legge stessa a dirci che Fazio è mancato alle sue funzioni, cosa di cui dovrebbe ora esser chiamato almeno a rispondere.
La legge in vigore  viene riportata a fianco (ho stralciato solo alcune parti significative)

Come  l'accaduto dimostra,   l'inadeguatezza professionale di Bancaditalia ci sta tutta e Fazio ne è il dirigente supremo. Se poi ci fosse anche altro, vedremo in futuro.

Le banche come impresa
Converrebbe, inoltre, allargare il ragionamento alla natura stesse delle banche: se le si considera come impresa presentano alcune radicali stranezze.
Anzitutto, dovrebbero vivere dell'intermediazione di capitali, cioè sviluppando servizi/prodotti che consentano ai capitali di trarre profitto dal loro impiego.
Invece appare del tutto singolare, proprio dal punto di vista della loro natura imprenditoriale, che i loro prodotti possano esser venduti  pressochè in assenza di ogni reale garanzia a chi ne usufruisce. Certo, esistono, anche se spesso non sono chiare e sapientemente abbellite (basta ridurre di qualche anno il periodo di tempo nel quale un prodotto è stato tenuto sotto osservazione ed espresso in un grafico), le note informative sul rischio degli investimenti, esiste il rating, ma, nella pratica concreta, il prodotto in sè può anche esser del tutto difforme nei risultati dalla sua ipotetica natura senza che la banca (e cioè il produttore) ne paghi lo scotto.
Un pò come se la Fiat ci vendesse automobili e continuasse a pretendere di considerarle tali e adeguate anche in assenza di volante, ruote, possibile mobilità.
Quando il rischio d'impresa non è dell'impresa
Se vogliamo introdurre davvro un mercato bancario moderno, ci deve esser un livello, al contrario, dichiarato e certo, sotto il quale anche un prodotto bancario non possa esser certificabile come corrispondente alle caratteristiche minime che lo qualificano e identificano.
Infatti, in assenza di queste elementari garanzie, i prodotti bancari finiscono per usufruire di un regime feudale di scambio, nelle quali le disparità tra consumatore e impresa sono impressionanti e tali da addossare al consumatore ogni rischio, compreso quello stesso rischio d'impresa che dovrebbe esser connaturato alle banche, a giusticazione - assieme ad altri fattori - della loro stessa esistenza e funzione imprenditoriale e sociale.
Il fatto che ora si proponga di far intervenire, a ristoro delle perdite subite anche dai consumatori di obbligazioni il fondo interbancario di assistenza, aggiungerebbe al danno la beffa.
Infatti, sarebbe l'intera platea dei titolari di conti correnti, Bot e altro a doversi assumere i danni derivati dal rischio d'impresa, schivato in primo luogo dalle banche stesse e, in seconda battuta, persino dai consumatori di bond eventualmente consapevoli del rischio assunto.
Quindi, dai veri responsabili.
Banche e pubblicità
Ciascuno avrà notato come, negli utlimi anni, la pubblicità delle banche sui media sia vertiginosamente aumentata.
Varrebbe la pena di indagare meglio proprio come nell'ultimo decennio, in realtà, le banche abbiano sviluppato soprattutto una politica di comunicazione promozionale e di incentivazione al consumo dei propri prodotti, ma in un regime, appunto,  di pressochè totale assenza di vincoli e garanzie circa la corrispondenza tra prodotti promessi e prodotti venduti.
Infatti, rispetto a qualsiasi prodotto commerciale - e anche ad alcuni servizi -  le normative nazionali hanno dovuto recepire normative comunitarie piuttosto rigide sotto l'aspetto della consumer satisfaction minima. Il cliente insoddisfatto può recedere dall'acquisto  entro un certo lasso di tempo, la durata della garanzia è stata generalmente allungata; esistono marchi che certificano la rispondenza dei prodotti a determinate caratteristiche prestabilite (i marchi di qualità, gli istituti di standardizzazione..). Il cliente ha diritto alla sostituzione di prodotti difettosi, le aziende sono sovente obbligate al ritiro di quegli stessi prodotti anche su ampia scala. Le etichette devono riportare in modo sempre più dettagliato le caratteristiche del prodotto.

Lo scarto tra "promessa" promozionale e realtà
In questo modo, lo scarto possibile tra promessa pubblicitaria e realtà concreta viene generalmente  ricondotto in termini ragionevoli e, quando questo scarto risulta comunque eccessivo, è sanzionato e/o impedito in molteplici modi. A queste procedure, si sottraggono generalmente solo i prodotti commercializzati con modalità truffaldine.
Per i prodotti e le prestazioni bancarie, curiosamente (ma non troppo) siamo all'età della pietra, è ciò è ancora più grave se consideriamo la forte e diffusa  propensione dei cittadini italiani al risparmio,
quindi all'impiego bancario dei propri capitali e al ricorso ai prodotti bancari per difenderne il potere d'acquisto o valorizzarlo.
Aldilà delle retorica delle dichiarazioni ufficiali, possiamo constatare che, unico arbitro del possibile scarto anche totale tra promessa delle banche e attese dei cittadini, è considerato singolarmente il mercato bancario stesso.
Una banca non affidabile, si dice, prima o poi verrà punita dalle scelte del consumatore.
Il ragionamento potrebbe anche filare ma molto in astratto perchè, in attesa di questa punizione, quanti altri consumatori quella banca potrebbe infinocchiare o rovinare, letteralmente, sia ricorrendo a meccanismi truffaldini che a meccanismi elusivi ampiamente consentiti da una legislazione, appunto, di impronta feudale?

Possibili rimedi
Il tema è evidentemente complesso, tuttavia alcuni provvedimenti non richiedono particolari alzate d'ingegno. Perchè, pur rispettando eventuali specificità del mercato dei capitali (da indagare edefinire, ovviamente) non si comincia ad assimilare maggiormente quei prodotti/servizi agli altri prodotti e servizi? Perchè, ad esempio,  non stabilire che, come per ogni prodotto, debbano esistere garanzie e caratteristiche minime (ad esempio che i bond non debbano scendere al di sotto di un certo valore) di soglia) tali da garantire alle banche una ragionevole possibilità di assunzione di rischio, ma anche al consumatore una ragionevole certezza che quell'assunzione di rischio non vada oltre i limiti del comune buon senso e della correttezza imprenditoriale?
Aldilà del contenzioso su Fazio, che come ho detto è bene non solo che vada a casa, ma venga anche chiamato a rispondere delle inadempienze dell'istituto che presiede, che hanno contribuito alla proliferazione dell'attuale verminaio, c'è parecchia materia di riflessione e intervento per un centrosinistra che si ritenga moderno e che vuol parlare a cittadini altrettanto moderni: che aspettiamo, per farlo?

Michele Casiraghi


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  17 gennaio 2004