prima pagina pagina precedente salva il testo


Lettere dall'Iraq e dall'Afganistan
trasmesse da Emergency


Questa settimana vi inviamo due lettere che abbiamo ricevuto dai nostri colleghi in missione e che vogliamo condividere con voi. La prima è di Mario, l'infermiere che si trova in nord Iraq, e la seconda è di Massimiliano, amministratore del nostro progetto in Afganistan. ketty agnesani - mailto:ketty@emergency.it

Erbil, 27 marzo 2003

Iraq
E alla fine i soldati americani sono arrivati... ieri sera, appena calata la luce, abbiamo iniziato a sentire il rombo degli aeroplani pressoché ininterrotto. Abbiamo subito pensato che, come le altre sere, stessero andando a Mosul e dintorni per lasciare il loro carico di bombe. Di diverso c'era che il rombo era continuo, non a ondate, e non abbiamo sentito esplosioni, da qui la deduzione che forse non si trattava di semplici bombardieri. Il traffico sopra le nostre teste è continuato per tutta la notte, alle sette di stamattina era possibile vedere qualche jet militare andare avanti e indietro. Poi le news dalla BBC: 1000 americani in nord Irak prendono un aeroporto. E alle 11 vediamo dal cancello del nostro ospedale il primo camion pieno di militari americani armati. Uno solo per ora, ma "radio people" dice che intorno a Erbil sono stati paracadutati in parecchi e agiranno nei prossimi giorni insieme alle milizie curde. Staremo a vedere.

Sembra che la gente stia lentamente tornando in città, dopo la fuga precipitosa della settimana scorsa sulle montagne. Ma i negozi continuano a rimanere chiusi: chi è tornato lo ha fatto solo perché le condizioni climatiche di questi ultimi giorni (freddo e pioggia) rendono la vita, negli accampamenti di fortuna, molto difficile.
Ho avuto modo di vedere molti accampamenti durane il mio viaggio della settimana scorsa a Sulaimaniya : quello che colpisce è come la gente si sia organizzata immediatamente, tende, camion, plastiche, secchi, tavoli e perfino sedie. Sembrava un picnic che si estendeva per circa 150 chilometri. Per forza, ho pensato: sono abituati. Sono abituati a scappare e poi a tornare e penso che ogni famiglia curda possieda tutto il necessario per mettersi, nel giro di poche ore, in viaggio verso il "picnic della guerra".

Sono stato a Kabat ieri, a controllare il nostro posto di primo soccorso che si trova proprio a ridosso del confine irakeno. Il personale è spaventato... certo la posizione non è delle più felici, è attaccato a un grosso serbatoio dell'acqua (good target) ed è la prima casa in cima alla salita proveniente dal ponte che divide i due territori.
Ieri si è aggiunto un altro problema... alcuni militari avevano preso una casetta per la notte proprio vicino al posto di primo soccorso e a un'altra casa, dove giornalisti della BBC e di altre reti sono pronti con i loro "cannoni" fotografici per immortalare l'eventuale inizio delle ostilità. Dopo una notte passata a litigare con i giornalisti sembra che gli americani abbiano capito che non è un buon posto per fermarsi, evitando così di mettere ulteriormente a rischio altre persone..

Comunque il lavoro continua... pochi pazienti, clima di attesa, e la paura dei gas che lentamente sta passando. Forse l'attesa sarà breve, ora che sembra che gli americani si stiano attestando a 60 km a nord est di Erbil, nell'aereoporto di Harier. Qualcuno è contento, qualcuno ha paura, io penso solo ai feriti che arriveranno, alle loro storie, ai loro familiari e a mia figlia, orgogliosa del lavoro che fa il suo papà e che all'asilo continua, ostinata, a ripetere che ha capito solo che la guerra non serve a niente.

Mario


Kabul, 20 marzo 2003

Afganistan
Sono tornato ieri da un viaggio di due settimane che mi ha portato a visitare una buona parte di questo paese fino a sconfinare in Iran. Lo scopo del viaggio era quello di trovare materiali da costruzione per l'ospedale che Emergency sta costruendo a Laskargah, nella provincia dell'Helmand, a sud di Kandahar.
La prima impressione è stata che Kabul è Kabul, poi c'è l'Afghanistan.
Immense distese desertiche, villaggi di Cuci dediti alla pastorizia che girano coi dromedari. Città come Herat, con moschee antiche con minareti altissimi fatti solo di fango. Montagne bellissime. E' un paese veramente segnato dalla guerra e da quello che questo comporta, le strade per esempio sono un ricordo e per percorrere i circa 480 Km che separano Kabul da Kandahar occorrono circa 15 ore con una jeep mentre i camion impiegano circa una settimana!
Ho visto però un paese vivo, gli afgani sono incredibili, sorridono e salutano, il loro motto sembra essere: Muskele nist (non c'è problema).
Se manca la strada, la inventano; non c'è da mangiare, digiunano; se si rompe la macchina, si fermano sul bordo della strada ed aspettano che qualcuno si fermi ad aiutarli e state certi che qualcuno si fermerà.
Sono persone curiose, nel senso positivo del termine, ed estremamente positive e generose.
Penso che loro non vogliano essere come noi, secondo me vogliono vivere nel loro paese, secondo le loro regole, come piace a loro e dopo troppi anni di spedizioni coloniali, più o meno dichiarate, mi sembra che ne abbiano anche il sacrosanto diritto.
Stamane è iniziata l'ennesima guerra, per ora qui non se ne risente.

Massimiliano


in su pagina precedente

  28 marzo 2003