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Usa, Unione Europea e Iraq
Tre questioni su cui riflettere
di Michele Casiraghi


A proposito della guerra in Iraq, ci sono tre affermazioni ricorrenti su stampa e tv, provenienti spesso indifferentemente da ambienti del centrodestra o del centro-sinistra, che io trovo assolutamente sorprendenti per la mancanza di senso critico che esprimono.
La prima: visto che il conflitto è in atto, e dato per scontato il suo esito a favore di Usa e GB, non ci resta che auspicare che sia breve, provochi la caduta di Saddam e un numero limitato di vittime.
La seconda: poiché l'intervento unilaterale ha dimostrato l'impotenza dell'UE a condizionare in qualche modo le strategie geopolitiche internazionali, è necessario dotarsi di una forza militare propria da gettare sul piatto della bilancia in occasioni simili, quando dovessero ripetersi.
La terza: poiché se critichiamo gli Usa ci si accusa di antiamericanismo, dobbiamo sempre star lì a far precisazioni per dir che non è vero, che distinguiamo Bush dal suo popolo (che guarda caso, però, lo sostiene) eccetera, eccetera.

Guerra lampo fino alla vittoria finale?
Mi sembra doveroso far osservare che, fermo restando che è ovviamente – e anche banalmente - bene che tutti auspichino il minor numero di vittime possibile, non è certo augurando a Bush e Blair il più pieno dei successi che si allontana l'incubo che la cosa torni a ripetersi in un prossimo futuro. Se così fosse, se questi due personaggi e gli entourage che li sostengono non dovessero pagare, quantomeno, un alto prezzo politico per ciò che hanno fatto, finirebbero esattamente per dimostrare che ciò che non è stato legittimato dalla giurisdizione internazionale se lo legittimano facilmente da sé. Il che, onestamente, è cosa non solo ributtante ma pericolosa per il mondo intero, che non ha bisogno di affidarsi nelle sante mani di nessuna potenza predestinata, ma di costruire sistemi di relazione equilibrati il più possibile. Se poi il nazionalismo anche ovvio di parte del popolo iracheno e della collettività araba intera è costretto dalla guerra – oltre che a subirne le conseguenze devastanti - a identificarsi nel regime di Saddam, non abbiamo ancora una volta che da ringraziare noi stessi e gli Usa per averlo in passato sostenuto. Com'è noto, si tratta di una costante per niente occasionale: quella dell'aver dato appoggio, in molti paesi ricchi di risorse, a vere e proprie satrapie e dittature. Un dittatore, infatti, se amico, generalmente le gestisce a favor suo e nostro, lasciando il popolo in secondo piano o, nel caso, mandandolo in galera o in prima linea. Cosa che quest'ultimo a volte fa, di conseguenza, non per difendere il dittatore stesso, ma la propria terra, la propria casa, la propria identità che sente minacciata, a torto o a ragione.
Perciò, che vincano pure questa maledetta guerra: ma che ne paghino tutto il prezzo politico. E se il modo perché lo paghino appieno non ci garba perché troppo crudele, diamoci da fare per evitarlo, non per spianargli la strada.

Un esercito europeo?!
A me sembra che, aldilà delle apparenze, la gran parte dei problemi che hanno ridotto l'UE (ma anche la Nato) all'attuale stato di impotenza comatosa e di potenziali dissidi e conflitti interni ed esterni, sia stato esattamente l'aver accettato di trasformarsi, anche se in modo precario, in istituzione partecipe di operazioni misericordiosamente qualificate col nome di “interventi di polizia internazionale” o di “assistenza umanitaria”. La causa, quindi, non sta certo nel fatto di non aver eserciti adeguati che mi sembra esser stato, al contrario, una notevole fortuna: se si guarda alle date e alle esperienze , è da quando si è cominciato ad adeguarli e rimetterli in moto che son venuti fuori i problemi...
Infatti, proprio nel momento in cui, caduto il muro di Berlino, la Nato dimostrava in pieno tutta la sua inutilità, sono cominciate le esercitazioni teoretiche degli strateghi per ridefinirne funzioni e quadro d'azione. Visto che il giocattolino era ingombrante e costoso, qualcosa se ne doveva pur fare e se ne è fatto, con alleanze a geometria variabile che, di fatto, hanno semplicemente anticipato legittimandole le teorizzazioni strategiche attuali degli Usa. Ora, sentire Prodi o Chirac o altri che invocano il proprio esercitino – e il centrosinistra che assente realista più del re – è cosa talmente stupida da far impressione. Che se ne avrebbero fatto, nel caso iracheno? L'avrebbero inviato come forza d'interposizione tra iracheni e statunitensi?
Oppure avrebbero condotto le operazioni “al posto” degli statunitensi”?
Sulla questione irachena, ma prima ancora su tante altre questioni che riguardano più strettamente l'orizzonte interno europeo, non sono mancati gli eserciti, ma la volontà e capacità di attivismo politico, il coinvolgimento reale dei cittadini nei progetti, il potere d'attrazione civile del proprio modello nei confronti dei nuovi entranti, spesso interessati solo alle sovvenzioni.
E' mancato un progetto di ridisegno degli equilibri europei nei quali, di militare, non era necessario proprio nulla, anzi: semmai è l'aver lasciato campo libero a logiche geopolitiche condotte in ottica militare che ha causato guai a ripetizione, lasciandoci circondati da situazioni incancrenite (la Serbia, il Kossovo) e dando spazio alle ambizioni di strapotere Usa.
Che vuol fare ora l'Europa? Inseguire il sogno impossibile di costituire una sorta di polo della deterrenza militare multilaterale? Ma per favore!!! L'UE è nata e prosperata in risposta a due conflitti-ecatombe, ed ha potuto crescere e diventare centro d'attrazione per paesi sempre più numerosi proprio per la lezione di civiltà che, nonostante tutto, è riuscita a proporre! Quella lezione, tra l'altro, l'ha potuta dare proprio spendendo meno in armi e di più in welfare: se ora facessimo il contrario, non avremo solo perso l'influenza in Iraq, ma anche noi stessi.
Cerchiamo di continuare sulla nostra strada, che è fatta di integrazione economica, culturale, dei diritti. Di una Costituzione italiana che ripudia la guerra e dunque auspica, implicitamente, che anche chi fa parte della stessa nostra comunità la ripudi prima o poi: la gente per le strade l'ha capito, in Italia e nel resto d'Europa.
Per altre strade, si aprono solo ulteriori disgregazioni, facilitate oltretutto dall'ingresso di paesi che potrebbero avere (o subire) spinte divergenti( vedi già ora Polonia, Ungheria, Cekja)..

L'antiamericanismo: ebbene sì
A Giuliano Ferrara, alla di lui moglie prode Anselma, a Vespa, Schifani eccetera, piacerebbe che ci si dichiarasse finalmente pro-americani a prescindere, con una sorta di sigillo di certificazione apposta poi da non so chi…(forse ancora loro)
In realtà, avendo a modello inconscio o conscio la Fallaci, non si accorgono di esser loro stessi i cascami di un tempo che non c'è più, di una contrapposizione Usa-Urss finita decenni fa e che, semmai, ora si rischia – o si cerca - di risuscitare. Costoro non ci parlano e ammoniscono in nome del passato che citano spesso, ma di un sogno arrogante di supremazia che riguarda il futuro, e che nasce dal loro esser, simmetricamente, il riflesso esatto dei boiardi degli stati satellite del Patto di Varsavia, incapaci di esprimere criticità e capaci invece di sublimare nell'ideologia sopravvissuta ogni residuo di analisi. Bene ha detto un politico Usa: “Abbiamo trattato i nostri alleati come l'Urss trattava i paesi del Patto di Varsavia”.
Regali per i complici, carote per gli indecisi, bastone per i “riottosi”….
Quindi, rispondo: sì, sono antistatunitense e vi diffido dall'usare ancora a sproposito il termine anti-americano, che i brasiliani e tanti altri non c'entrano - ma non rappresento un residuato della Guerra fredda, come voi, né derivo da allora i miei argomenti critici. E' questo che vi dà fastidio? Il sentirvi – in assenza del “nemico” - brontosauri del filo- atlantismo senza che ci sia più ragione d'esserlo?
Sono antistatunitense perché – in questo momento storico - quel paese esprime un sogno arrogante e nello stesso tempo irrealizzabile di supremazia mondiale che, anche se, appunto irrealizzabile, è in grado però di trascinarci tutti per decenni in situazioni angoscianti, nelle quali non si sa per quale motivo logico – se non appunto la potenza - il metro di misura della legittimità delle azioni di ogni nazione diventano il Presidente degli Usa e la Costituzione statunitense. Che, sia detto per inciso, è strutturalmente idonea – e basta leggerla per rendersene conto, tanto è corta - a rappresentare non un modello di cultura giuridica, ma lo strumento occasionale di prepotenza, per la sua assoluta genericità in molti punti e il suo fondamentalismo totale in altri. Gestita da un presidente democratico (non intendo dire del partito democratico, ma democratico e basta) consente libertà d'azione anche per fini encomiabili. Gestita da avventurieri o peggio, può causare disastri.
Quindi, sono anti-statunitense non tanto per la storia più o meno encomiabile e condivisibile di quella nazione, ma perché la democrazia di quel paese si sostanzia negli atti che compie, nelle decisioni che prende, nei progetti che esprime ora. E nessun paese – se non si colloca in un sistema di relazioni che garantisca dignità a tutti – può pretendere di assurgere a divinità in terra.
Nessuno. Nemmeno gli Usa che, per quanto stan facendo, dimostrano a parer mio non di esser alle soglie di un nuovo impero, ma pericolosamente prigionieri del collasso definitivo di quello vecchio, di cui erano stati attori protagonisti.
Quando? Non lo so: ma una nazione che sta perdendo giorno dopo giorno gran parte del proprio potere positivo di attrazione per i valori di cultura e di vita che esprime (e che li sta facendo perdere anche a gran parte dei propri cittadini!) e che deve ricorrere prevalentemente alla forza e ai ricatti economici come strumenti di politica, mi sembra più vicina alla crisi che non alla rinascita.
Proprio come l'URSS di una volta.
Quindi, per favore, lasciamo perdere le sviolinature alle quali ormai gran parte dei cittadini neanche più fa caso e rispondiamo per le rime – analitiche - ai sopravvissuti di un filo-atlantismo perfettamente simmetrico al filo-sovietismo che non ha più ragioni d'essere, se non anagrafiche (vedi Selva…).
Regaliamogli, che è il caso, qualche onorificenza dell'URSS di quegli anni….

Michele Casiraghi




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  28 marzo 2003