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Le ragioni dell'America
di Vittorio Amodeo


Thomas Friedman è un reputato commentatore del New York Times. In un editoriale apparso sul NYT e su Repubblica del 25 febbraio, dopo aver stigmatizzato la diplomazia americana che pensa di sviluppare i rapporti internazionali con qualche telefonata qua e là senza neppure scomodarsi a muovere i funzionari, Friedman espone le ragioni che, a suo dire, giustificano una guerra all'Iraq da parte dell'America. Ascoltiamo queste ragioni, che sembrano esposte con più chiarezza rispetto al confuso strombazzamento, con minacce di ogni genere, che fa quotidianamente l'amministrazione USA.
Il giornalista così esordisce: “Dite la verità alla gente. Saddam oggi non rappresenta una minaccia per l'America”. Qui sobbalziamo: come non è una minaccia, se la propaganda ufficiale continua a ripetere che lo è, che bisogna neutralizzarlo per le minacce che rappresenta? In realtà Friedman conferma ciò che quasi tutti ritengono, vale a dire che un paese provato da una disfatta militare nel '91 e da dieci anni d'embargo, ispezionato in lungo e in largo per sette anni più i mesi correnti, non possa rappresentare una minaccia per nessuno e tanto meno per il colosso americano.
Ma Friedman così prosegue: “La guerra per spodestarlo è un'opzione, ma un'opzione legittima. Perché egli insidia le Nazioni Unite, perché se lasciato fare cercherà di venire in possesso di armi con cui minacciare i suoi vicini, perché crediamo che il popolo iracheno meriti di essere liberato dalla sua tirannia, e perché vogliamo aiutare gli iracheni a creare uno stato progressista… Ecco i motivi che giustificano la guerra – ci vorranno anni di occupazione dell'Iraq”.
Finalmente vengono esposte le presunte “ragioni” della guerra. Ma si dà il caso che queste ragioni siano illegittime secondo la Carta dell'ONU, la quale impedisce e condanna azioni volte a mutare il regime interno di uno stato sovrano. E Friedman dovrebbe saperlo, anzi sono certo che lo sa, ma fingono, lui e i suoi compatrioti, di dimenticarlo quando si tratta di giustificare azioni aggressive del loro paese.
E' tale la presunzione di essere comunque nel giusto che gli americani non vengono neppure sfiorati dal dubbio se gli iracheni siano contenti di essere massacrati dalle bombe americane e avere il loro paese distrutto e occupato militarmente da stranieri, pur di respirare la “libertà” di esportazione USA.
Gli americani dovrebbero avere più rispetto per le posizioni degli altri, anche quando non coincidono con le proprie convinzioni. Stabilire cos'è bene e cos'è male per un paese è questione intricata, che il paese deve innanzi tutto risolvere da sé evolvendo attraverso i contatti e gli aiuti internazionali, non sotto la minaccia delle bombe e dell'invasione straniera. Presumere di dettare legge da migliaia di chilometri di distanza mediante la forza è né più né meno che imperialismo, idoneo a coprire ben altri interessi economici e strategici accuratamente sottaciuti. Perché di questi Friedman non parla?
Dunque le presunte “ragioni” americane per la guerra sono illegittime e inconsistenti. Il guaio è che l'America, ogni due o tre anni, sente il bisogno di fare una guerra, e questo per motivi elettoralistici e finanziari. Questa posizione americana aggrava i problemi del mondo anziché aiutare a risolverli, come sarebbe nelle sue possibilità di superpotenza. Se gli USA non modificano il loro atteggiamento di fondo occorre dare ragione a Nelson Mandela, che vede nella attuale politica americana una minaccia continua per la pace nel mondo.

Vittorio Amodeo

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  1 ° marzo 2003