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Quale pacifismo?
di Vittorio Amodeo


Folon

Con il termine di pacifismo va inteso quel movimento di pensiero (e conseguente azione pratica) che intende dimostrare la possibilità e il dovere di eliminare le guerra dai rapporti tra gli stati.
Credo che in questo senso, di negazione radicale della guerra, il primo pacifista si possa considerare il grande Erasmo che, nel lontano 1515, così scriveva: “La guerra: niente c'è di più empio, di più sciagurato, di più largamente pernicioso, di più pervicace, di più sinistro, infine di più indegno dell'uomo, per non dire del cristiano”. E successivamente pensatori come Rousseau, Kant, Bentham si applicarono a dimostrare la possibilità e la convenienza di abolire le guerre e mantenere la pace tra i popoli.
Oggi il pacifismo è nuovamente attuale perché è assai largo lo schieramento di persone, in tutto il mondo, che giudicano la crisi irachena vada risolta con la trattativa e le ispezioni, evitando nel modo più fermo una guerra, di per sé disastrosa, che avrebbe tra l'altro l'effetto di alimentare proprio quel terrorismo di matrice islamica fondamentalista che, a parole, si dice di voler combattere.

Oltre a tutto l'Iraq appare estremamente disponibile: nessun paese accetterebbe ispezioni ovunque e senza preavviso, sorvolo di aerei spia, satelliti e quant'altro. L'Occidente, USA in testa, lo accusa di possedere armi di distruzione di massa che, tra l'altro, molti altri paesi vantano impunemente di avere: ma per l'Iraq sarebbe una colpa inaccettabile, deve disarmare. Però l'Iraq nega di avere queste armi. Gli viene replicato che deve dimostrare di non averle: ma come si può dimostrare ciò che non si ha, se non consentendo ispezioni ovunque? Non basta, superior stabat lupus, inferior agnus, dunque la logica non serve quando si vuole menare il colpo mortale.

I pacifisti, tra i quali primeggia il “chirurgo di guerra” Gino Strada, sanno bene quale enorme messe di sofferenze una guerra genera, e rifiutano le logiche distorte che vogliono portare a un'aggressione all'Iraq mascherando con pretesti di sicurezza gli interessi dell'Occidente, che sono in realtà petroliferi e strategici,. “No alla guerra senza se e senza ma” è uno dei loro slogan, come pure “né un uomo né un soldo per la guerra”.
I governi che aderiscono alla linea americana, tra i quali quello italiano, ritengono di poter trascurare le opinioni dei pacifisti, forti delle maggioranze che hanno nei parlamenti. Però le posizioni pacifiste disturbano un poco, quindi bisogna cercare di svalutarle tentando di confondere i loro sostenitori.

L'accusa più rozza, che già i nazisti impiegavano e che il nostro presidente Berlusconi non si vergogna di riadottare, è che i pacifisti fanno il giuoco del nemico, aiutano Saddam, sono anti-patriottici. Questo tipo di accusa indica il livello di malafede di chi la formula, non merita confutazione.
Invece una forma di accusa più sottile è la seguente: “Bene, voi siete contro la guerra, ma cosa avreste fatto quando c'era Hitler? Cedere? Dunque vedete che a volte la guerra ci vuole”.
Qui si fa, non so quanto coscientemente, una notevole confusione. Hitler è stato un aggressore: ha aggredito la Polonia, che era garantita da Francia e Inghilterra. Si vuole la pace: ma se uno stato criminale ne assale un altro, nessuno vuole negare la possibilità o il dovere di difendersi.
In definitiva i pacifisti sono in sintonia con il diritto internazionale e la Carta dell'ONU, che è fondata per preservare la pace e dice no alla guerra, salvo un paese sia aggredito o sia in pericolo la sicurezza internazionale: ma questa è una formula di estrema gravità, che non può essere usata con leggerezza per assecondare la smanie belliciste degli USA. La Carta non conosce le guerre preventive e umanitarie care all'amministrazione americana. Quindi hanno ragione Gino Strada e i pacifisti a dire un no categorico alla guerra contro l'Iraq, un paese provato da un decennio d'embargo che non sta aggredendo o minacciando nessuno.

Vittorio Amodeo

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  22 febbraio 2003