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claudio abbado


La Scala di Abbado e di Grassi
a cura di Giuliano Bovo


paolo grassi


mirella freni e nicolai ghiaurov

 
E' quasi un luogo comune pensare alla Scala, e al mondo dell'opera lirica in generale, come a qualcosa di riservato a un'élite, preferibilmente di ricchi e di persone un po' avanti con l'età. Come in tutti i luoghi comuni, c'è molto di vero: anche perché l'opera è sempre stata, per sua natura, uno spettacolo molto costoso. Ma non è detto che sia proprio così, e soprattutto non è obbligatorio.
Per esempio, alla Scala c'è la lunga e gloriosa tradizione del loggione: i posti a poco prezzo su in alto, nelle due gallerie sopra i palchi. E nel periodo che va dal 1968 al 1986 c'è stata la gestione di Claudio Abbado e di Paolo Grassi, uno dei periodi più fecondi nella storia del grande teatro milanese.
Dal punto di vista artistico, la Scala è sempre stata un punto di riferimento e ha sempre avuto grandissimi direttori stabili: nel Novecento, per fare solo un brevissimo elenco, si va da Toscanini (inizio secolo) a Muti, passando per De Sabata; ma quello che è successo negli anni in cui il teatro è stato nelle mani di Claudio Abbado è stato qualcosa di particolare, un evento forse unico e irripetibile.
Grazie alle iniziative di Claudio Abbado (direttore stabile) e di Paolo Grassi (sovrintendente), in quel periodo la Scala è stata davvero aperta a tutti. In loggione, si entrava senza troppi convenevoli e i biglietti costavano pochissimo; e per chi invece voleva entrare "normalmente" e stare comodo c'erano tante iniziative. Iniziative volute da Abbado e da Grassi che, col loro semplice nome, spiegavano tutto: chiamare un ciclo di concerti (con i massimi direttori e solisti ) " per lavoratori e studenti" era un po' come dire che la Scala (e la Musica, e la Cultura) non sono cose noiose né tantomeno roba da ricchi; e che anche tu potevi entrare, anzi eri invitato a farlo. Intendiamoci: la Scala rimane sempre un teatro settecentesco, e i posti sono quelli che sono (meno di duemila). Ottenere i biglietti è sempre stata un'impresa, soprattutto per le rappresentazioni più importanti; ma questo dei "Concerti per lavoratori e studenti" era un segnale importante, sul quale oggi c'è chi storce il naso e fa dell'ironia, ma che nasceva da un disegno molto civile e molto preciso di queste due grandi personalità.

le nozze di figaro: scena di ezio frigerio

Nel dettaglio, Claudio Abbado fa il suo esordio alla Scala nel 1966; nel 1968 diventa direttore stabile. Nel 1972, Paolo Grassi sostituisce lo storico sovrintendente Ghiringhelli, che era in carica dalla ricostruzione del teatro dopo la seconda guerra mondiale. Paolo Grassi è stato, con Giorgio Strehler, il fondatore del Piccolo Teatro di Milano. Dietro all'esperienza del Piccolo c'è l'idea del teatro come bene pubblico, non più riservato a pochi fortunati ma patrimonio di tutti; e Grassi cercherà di portare avanti quest'idea, con ottimi successi, anche nel massimo teatro d'opera del mondo. Paolo Grassi lascerà la Scala, per diventare presidente della Rai, nel 1977; Claudio Abbado abbandonerà l'orchestra della Scala solamente nel 1986, dopo vent'anni , dapprima per guidare l'Opera di Vienna e poi per prendere il posto di Herbert von Karajan alla guida della Filarmonica di Berlino.

frederica von stade

Alla Scala, ho vissuto non un momento solo, ma un'infinità di momenti belli. La prima volta che ci sono entrato avevo 21 anni, e da poco avevo trovato la chiave per accedere ad un mondo meraviglioso che prima non capivo e che non apprezzavo affatto. Il primo approccio all'opera lirica non è facile per nessuno, del resto: è proprio un altro mondo, parallelo al nostro e spesso superiore. La cosa più facile è respingerla in blocco, salvo poi restare affascinati da qualche frammento ascoltato per caso e per caso sfuggito alle morse della "censura di mercato" che ci affligge su tutte le reti, radio e tv.
Ero rimasto colpito dalle interviste a Claudio Abbado per questo "Boris Godunov " che inaugurava la stagione 1979-80, da rappresentare nella versione originale scritta da Mussorgskij: Abbado raccontava che vedeva così avverarsi uno dei suoi primi progetti di quand'era studente al Conservatorio, un sogno da appassionato di musica prima ancora che da musicista.

la donna senz'ombra: scena di jean-pierre ponnelle

La mia "prima" alla Scala, il 6 gennaio 1980, coincide con una rappresentazione pomeridiana. Gli addetti ai lavori non amano le rappresentazioni pomeridiane: le chiamano "matinée", ed è un termine datato e leggermente spregiativo. Una volta se ne facevano tante, oggi sono praticamente scomparse. Dagli addetti ai lavori, infatti, le recite pomeridiane vengono considerate come qualcosa di sottotono e magari di disdicevole: si possono fare ma non è fine, è roba da pensionati e da provinciali, quelli che vengono da fuori e che magari si portano dietro il pasto. Forse è per questo che non si fanno più, così come sono scomparsi i "Concerti per lavoratori e studenti", definizione che non piace più a chi comanda oggi.
Ma io abito a 40 Km dal centro di Milano, e quest'ironia sui provinciali che vengono da fuori e poi devono correre via per prendere l'ultimo tram o l'ultimo treno non l'ho mai ben capita: che cosa c'è di strano? Non tutti abitano a Milano, per fortuna; e non tutti hanno l'autista o possono permettersi il taxi. Non tutti vanno all'opera perché "bisogna andarci" e per farsi vedere, e magari vedere la propria foto sul giornale il giorno dopo. Ci sono - esistono e non sono pochi - anche gli appassionati veri, che nella loro vita quotidiana lavorano e timbrano regolarmente il cartellino, e che affrontano qualche scomodità (non sacrificio: scomodità, disagio) pur di assistere a qualcosa di straordinario, eventi magici che chi conosce l'opera ed è stato a teatro conosce bene. Ironie (e nasi storti) che sono l'esatto contrario dell'ideale di Scala aperta che avevano Strehler, Grassi, Abbado...

il ratto dal serraglio: scena di luciano damiani

Non è mai stato facile entrare alla Scala, dicevo. Le file per comperare i biglietti, loggione o palchi che siano, sono sempre state lunghe e faticose; e ci sono sempre stati i bagarini, per forza di cose e per tradizione. Ma da un certo momento in avanti (diciamo metà anni Ottanta e inizio anni Novanta), è apparsa una figura nuova e inquietante: il bagarino di professione. Le file, ai bei tempi, erano autoregolamentate; non tutto era perfetto (anzi, era un bel casino), ma chi aveva pazienza e costanza (e anche il fisico!) riusciva quasi sempre a vedere almeno una replica. Ma, a partire da quelle date che dicevo, l'ingenuo spettatore (aspirante spettatore) si trovava sempre più di fronte a file organizzate, e il più delle volte organizzate da personaggi discutibili, sempre gli stessi e perciò facilmente riconoscibili. Risultato: dopo un paio di litigate con i "professionisti" del bagarinaggio, la persona onesta (il vero appassionato) rinuncia ad assistere agli spettacoli. E queste piccole vicende, del tutto marginali tra i mille eventi che ci sconcertano, fanno da specchio all'Italia di questi ultimi anni.

boris godunov: scena di ljubimov e borovskij

Però era divertente, fare le file per i biglietti. Ne conservo un bel ricordo: quando ho iniziato, c'erano ancora i "vedovi Callas", quelli che rimpiangevano i tempi andati e dicevano che cantanti come lei non c'erano più. Col tempo, ho imparato ad apprezzarli e a condividere le loro posizioni: di Maria Callas ci sono rimasti i dischi, e sono assolutamente impressionanti. La stessa sensazione provo io quando ripenso a certi momenti, che corrispondono a spettacoli storici; sensazione di irripetibilità che ho notato di condividere con molte altre persone, e che non ha nulla a che fare con la nostalgia. Ma le code erano anche un'occasione per fare lunghe chiacchierate, spesso con persone competenti. In coda per il loggione c'erano (e speriamo che ci siano ancora, alla riapertura del teatro: che i bagarini gli lascino il posto, intendo) operai e studenti, ma anche coristi, studenti di canto, musicisti... Era facile fare conoscenza, magari vedersi anche fuori, eccetera. I biglietti erano una vera e propria conquista, che costava, più che i soldi, tanta pazienza nelle lunghissime code; che però portavano spesso a conoscenze, storie ed amicizie che in qualche caso durano tuttora.

simon boccanegra: scena di ezio frigerio

L'acustica del loggione è ottima, e a dirlo sono quelli che se ne intendono, gli esperti. Ovviamente, essendo lassù al quinto-sesto piano, la scene si vedono poco e male; ed è un peccato. Se uno vuole godersi lo spettacolo, è meglio che vada in platea: si perderà però lo spettacolo dell'orchestra in movimento, e questo è un peccato molto più grosso. E poi ci sono i palchi, che però sono diseguali, dato che sono disposti a ferro di cavallo: da alcuni si vede e si sente benissimo, da altri meno. Ma queste sono cose che si sanno: quello che non ho mai letto, ma constatato di persona, è che la Scala è calda e accogliente. Tutto sembra studiato per metterti a tuo agio, i velluti rossi e perfino le panche di legno; e forse così si costruivano case e teatri, prima dell'invenzione del cemento armato e dei mobili fatti in serie.
L'altra cosa di cui non si parla quasi mai è che alla Scala suonano soltanto strumenti non amplificati, così come si è sempre fatto nei millenni. Lo strumento acustico, non amplificato elettricamente o elettronicamente (e, a maggior ragione, la voce umana) ha sempre qualcosa di unico e di irripetibile. Non esistono due violini, o due trombe, con la stessa voce; e i colpi di timpano nel finale della "Butterfly" diretta da Riccardo Chailly me li porto ancora dentro, così come l'immensa onda d'urto del "Dies irae" dal Requiem di Verdi cantato dal Coro della Scala. Da allora non sopporto più la musica amplificata, ed evito i concerti di rock o di jazz, che pure mi interesserebbero. La musica acustica è un'altra cosa; viene da epoche lontane e da memorie ancestrali, è un'esperienza fisica e mai uguale nel tempo, che ti tocca direttamente e senza violenza.

la carriera di un libertino: sipario di david hockney

Difficile fare una lista completa, ridursi a scegliere dei titoli o delle date. Per Abbado, di certo i suoi grandi spettacoli verdiani con Giorgio Strehler come regista: il Macbeth (scene di Damiani) e il Simon Boccanegra (scene di Ezio Frigerio); per Muti i grandi spettacoli mozartiani, ma anche (e soprattutto) il suo Gluck: l'Orfeo (1989) l'Alceste (1987) e l'Armida (1996). E poi Pollini, Solti, Bernstein, Pretre, Sinopoli, Chailly; e Isaac Stern (1980) che suona la cadenza del "Concerto per violino" di Beethoven davanti a duemila persone (orchestrali compresi) in rigoroso e religioso silenzio, oppure i fiati e le mezze voci di Frederica von Stade come Cherubino, diretta da Muti, nelle "Nozze di Figaro" di Mozart... E Wolfgang Sawallisch, che prendeva per mano orchestra cantanti e pubblico, e tutti insieme, con la compagnia di una guida alpina attenta e paziente come lui, camminavamo senza fatica per vette e sentieri altrimenti impraticabili: "La Donna senz'ombra" di Richard Strauss, "Cardillac" di Hindemith, i "Maestri Cantori" di Wagner, e anche il gentile e sorridente Mozart del "Ratto dal serraglio".

shirley verrett nel macbeth

Quest'anno sono venuti a mancare due dei nomi più grandi di quel periodo, il direttore d'orchestra Carlos Kleiber e il grande basso Nicolai Ghiaurov. A loro sono legate emozioni indimenticabili (e lunghissime code per arrivare ai biglietti!). Di Kleiber, impossibile non nominare la Bohème di Puccini (1981, con Mirella Freni) e l'Otello di Verdi (1980 e 1987); di Ghiaurov, soprattutto la sua presenza fisica e la sua voce, nei tanti ruoli che ha interpretato per tanti anni alla Scala (compreso quel Boris con Abbado).

maurizio pollini      maria callas nell'alceste (1954)

Adesso la Scala sta per riaprire, dopo i mastodontici lavori di questi ultimi tre anni. La riapertura verrà effettuata con la stessa opera che aprì la sala del Piermarini nel lontano 1778: "L'Europa riconosciuta" di Antonio Salieri. Speriamo che la Direzione torni a programmare qualche recita pomeridiana (pardon, "matinée"), che la Biglietteria s'interessi almeno un po' ai bagarini organizzati, e che si attui una politica di prezzi abbordabili, e pazienza se lo Stato ci rimette qualcosa. Altri sono gli Sprechi, e di sistemi per far sparire soldi pubblici ce ne sono tanti (ormai ne sappiamo qualcosa anche noi, e conosciamo anche qualche nome). Quella di cui parlo oggi è una stagione passata, e non vorrei sembrare nostalgico se la voglio ricordare, ma piuttosto riproporla come modello per il futuro. In quell'inizio di stagione 1979-80, io ero un giovane operaio di provincia, poco preparato e di cultura approssimativa. Sarei mai entrato alla Scala se non ci fosse stato Claudio Abbado?

isaac stern



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  8 novembre 2004