prima pagina pagina precedente indice bei momenti





angeli musicanti


Agostino di Duccio a Rimini
a cura di Primo Casalini


matteo de' pasti: l'elefante dei malatesta
matteo de' pasti: isotta degli atti
Il 12 settembre 1447 una bolla di papa Nicolò V autorizza Isotta degli Atti a riparare, rinnovare ed a dotare di cinquecento fiorini la Cappella degli Angeli nella chiesa di San Francesco a Rimini.
Isotta, definita “domicella ariminensis”, era allora quattordicenne, ed aveva perso da pochi mesi un neonato il cui padre era Sigismondo Pandolfo Malatesta, il signore di Rimini. Poco dopo, il 31 ottobre dello stesso anno, si benedice la prima pietra di una cappella dedicata da Sigismondo al suo patrono, il santo con lo stesso nome. Con queste due date si potrebbe dire che inizia l'avventura quasi ventennale del Tempio Malatestiano, il nome con cui venne successivamente chiamata la chiesa gotica di San Francesco, in cui erano sepolti diversi antenati di Sigismondo. La chiesa era architettonicamente modesta, ma in essa Giotto aveva eseguito dipinti importanti, ed il Vasari scriverà: “lì nella chiesa di San Francesco fece moltissime pitture, le quali poi da Gismondo figliuolo di Pandolfo Malatesti, che rifece tutta la detta chiesa di nuovo, furono gettate per terra e rovinate”. Nel Tempio Malatestiano è conservato un capolavoro di Giotto, un Crocefisso su tavola eseguito attorno al 1312 e che fu termine di riferimento dei pittori della grande scuola riminese del '300, compreso il cosiddetto Maestro di Tolentino, che era probabilmente Pietro da Rimini.
Nel 1447 Sigismondo aveva trent'anni, e da quindici era signore di Rimini; nel 1434 si era sposato con Ginevra d'Este, morta nel 1440, nel 1442 si risposava con Polissena Sforza, figlia di Francesco, il capitano di ventura che sarebbe poi divenuto duca di Milano. Matrimoni politici entrambi, specie il secondo. Polissena sarebbe morta nel 1449, ed entrambe le mogli, Ginevra e Polissena, furono sepolte nel Tempio Malatestiano, un vero e proprio mausoleo. Il matrimonio con Isotta degli Atti avvenne più tardi, nel 1456.

angelo reggi-cortina    angelo reggi-cortina

A Monteluro sul Foglia, il giorno 8 novembre 1443 Sigismondo, alleato con Francesco Sforza, aveva sconfitto Niccolò Piccinino, dalla cui parte combatteva il giovane Federico da Montefeltro, che l'anno dopo sarebbe divenuto signore di Urbino. Fu il primo scontro fra Sigismondo e Federico, rivali per tutti i successivi venti anni. Una rivalità politica e militare, ma soprattutto una rivalità personale, di cui anche il mecenatismo e la politica culturale erano una manifestazione. Già nel 1444 Federico incaricò l'architetto fiorentino Maso di Bartolomeo di condurre dei lavori nell'antico palazzo gotico di Urbino. Niente di rilevante, per il momento, il palazzo in forma di città (come lo chiamerà Baldassarre Castiglioni) sorgerà diversi anni dopo. Sigismondo, a parte il Tempio Malatestiano, fin dal 1437 aveva iniziato i lavori per il progetto che gli stava più a cuore: il castello Sismondo, che è rappresentato nell'affresco di Piero della Francesca eseguito nel 1451 e tuttora conservato nel Tempio.
Sulla base dei documenti, datano alla fine del 1447 i lavori d'inizio per le prime due cappelle, quelle che oggi chiamiamo di Sigismondo e di Isotta. Nel giugno 1449 è documentata la presenza a Rimini di Matteo de' Pasti e di Agostino di Duccio e nel 1450 Leon Battista Alberti inviò il disegno per l'esterno del Tempio. Per il programma iconografico e culturale, Sigismondo poteva avvalersi di una cerchia di letterati e di umanisti presente nella sua corte, con alcuni nomi notevoli: il poeta in lingua latina Basinio Basini di Parma e il teorico d'arte militare Roberto Valturio. In tutte le corti rinascimentali era così, con due specificità nel caso del Malatesta: la sua cerchia era laica, e la scelta dei temi è quasi sempre rivolta al mondo antico, agli dei pagani; inoltre Sigismondo non è che si facesse molto consigliare, preferiva imporre la sua volontà, il carattere lo portava alle “stravaganze dell'orgoglio”, come dice André Chastel: all'interno del Tempio i simboli, gli emblemi, gli stemmi di Sigismondo (scacchiera, rosa a quattro petali, monogramma SI, elefante etc) sono presenti più di cinquecento volte.

angeli musicanti      putti che reggono un canestro

Ma attorno al 1450 tutto sembrava andare per il meglio: consiglieri competenti e fidati, possibilità finanziarie assai buone, dopo i successi politici e militari degli ultimi anni, un gruppo di artisti di ottima fama. Sigismondo non si fece scrupolo di utilizzare i monumenti antichi di Rimini per procurarsi i marmi necessari al Tempio. Fra gli artisti c'erano notevoli differenze. Piero della Francesca eseguì il suo affresco seguendo un tema chiaramente dettato da Sigismondo, e lo si vede dalla centralità dell'immagine del Malatesta rispetto al santo patrono, che sembra messo in un angolo. Poi Piero se ne andò da Rimini per altre commissioni per lui più stimolanti: le stravaganze dell'orgoglio non facevano probabilmente per lui. Leon Battista Alberti spedì i disegni, col magnifico progetto solo in parte attuato, in cui era prevista anche una colossale cupola a pieno sesto e con i costoloni (come si vede in una medaglia del Pasti) e diede diversi consigli a Matteo de' Pasti, ma non diresse mai personalmente i lavori. Matteo de' Pasti era un veronese, affascinato dal Pisanello come tutti allora in Italia, noto come medaglista e miniatore, molto vicino alla cultura tardo-gotica, come nel Tempio si vede negli enormi archi ancora a sesto acuto e nelle scelte relative alla decorazione ed alla organizzazione degli spazi. Rimane Agostino di Duccio, ed è interessante capire perché ottenne il lavoro di Rimini. Agostino era uno scultore fiorentino nato nel 1418 e che si era formato con Donatello e Michelozzo nei lavori del pulpito di Prato. Nel 1441 ebbe un serio incidente di percorso: fu esiliato da Firenze per furto di materiali preziosi. Ogni tanto succedeva, specie con gli artisti che assumevano anche lavori di oreficeria. Quindi gli toccò cercar lavoro fuori di Firenze, prima nel duomo di Modena, con le storie di San Geminiano, poi nel Veneto in cui apprezzò la fantasia delle sculture tardo-gotiche e si fece conoscere dal Pasti, che lo chiamò per l'impresa di Rimini.

il pianeta marte      il pianeta saturno      il pianeta venere

Chi ha visto anche una sola volta un bassorilievo di Agostino di Duccio lo ricorda bene, perché è un artista assolutamente personale, su cui si sono diffuse affermazioni tanto facili quanto azzardate. Ad esempio, si sostiene, e non solo da parte degli incolti, che il suo stile è un botticellismo applicato alla scultura. Cosa difficile, visto che nel 1450, in cui Agostino era nel pieno dei lavori riminesi il Botticelli era nato da cinque anni… Più sensato parlare dello stile di Filippo Lippi, anche se i due maestri a cui Agostino veramente si ispira sono Donatello ed il Pisanello: basta osservare i putti del pulpito di Prato, l'uso dello stiacciato (bassorilievo in cui le figure sporgono molto poco), oppure gli affreschi veronesi di Pisanello, specie quelli in Santa Anastasia. Si conosce un disegno del Pisanello che è una copia dei putti del pulpito di Prato. Per completare il quadro, una delle più belle medaglie del Pisanello raffigura proprio Sigismondo Malatesta.
Solo nel 1878 si è appurato che i bassorilievi del Tempio Malatestiano sono stati eseguiti in gran parte da Agostino di Duccio; prima si erano fatti i nomi più diversi, da Donatello a Luca della Robbia ad altri minori, si era persino ipotizzato un fantomatico fratello di Donatello. Alcuni asserirono che si trattava di marmi greci antichi, e questa è una considerazione acuta, perché, se si osservano le opere greche del periodo neoattico, le assonanze con l'arte di Agostino sono notevoli, sia per la tecnica, sia per la scioltezza fantasiosa della rappresentazione. A suo modo, il Muntz aveva ragione, quando disse di Agostino “che aveva perpetrato più eresie che tutti i suoi concittadini insieme”. Risulta dai fatti che Agostino di Duccio cercò di acquistare fama ed apprezzamento a Firenze, ma non ci riuscì, e l'unica sua grande impresa dopo Rimini fu l'oratorio di San Bernardino a Perugia. Che non potesse piacere all'ambiente fiorentino di allora lo si comprende osservando le opere degli scultori fiorentini negli anni in cui operava a Rimini: Desiderio da Settignano, Bernardo ed Antonio Rossellino sono tutti più misurati, sobri e contegnosi rispetto ad Agostino. Paradossalmente era più libero Donatello, il suo vecchio maestro, che avrebbe mostrato nella sua ultima opera, i pulpiti di San Lorenzo, una straordinaria libertà di invenzione (a quasi ottant'anni!). Ma Donatello si era allontanato da Firenze per diversi anni, realizzando l'altare del Santo ed il Gattamelata, le sue grandi opere di Padova. Mentre Donatello usa lo stiacciato quasi come una sfida che gli permette di ampliare lo spazio, di approfondirlo, come nel celebre Banchetto di Erode di Siena, Agostino di Duccio tende a trasformarlo in graffito vero e proprio, come nella veduta della città di Rimini che è nel Tempio Malatestiano. Lo spazio, più che approfondirlo lo nega, sostituendolo con un suo spazio fatto con le curve dei panneggi e degli stessi corpi, che affiorano dalla superficie solo con le labbra, le mani, i capelli. Per molto tempo lo si è tacciato di calligrafismo superficiale, ma ha ben notato André Chastel che i suoi putti riescono graziosi e grevi al tempo stesso.

sigismondo naufrago

In cinque anni, dal 1449 al 1454, Agostino di Duccio svolse a Rimini un lavoro imponente, pur considerando che nel cantiere del Tempio operavano anche allievi suoi e di Matteo de' Pasti.
Sembra si trovi a suo agio nell'appagare le stranezze iconografiche che chiedevano Sigismondo ed i cortigiani zelanti. Più il tema è singolare, più lo gradisce, e le occasioni furono tante.
Comincia con le Virtù nella cappella di Sigismondo, e mostra un po' di impaccio, anche perché il Pasti non lo aiuta, con quelle nicchie strette e poco profonde che quasi soffocano le figure. Ma gli angeli che reggono le cortine sono già mirabili, visto che gli tocca disegnare lievemente, non scavare nel marmo.
Nella cappella di Isotta, il tema è quello dei putti danzanti e musicanti, un tema che Agostino conosceva assai bene. Qui usa per il fondo, al posto del mosaico di Donatello, un colore azzurro-blu, quasi diffidasse delle sue capacità di rappresentazione spaziale e si volesse aiutare con un espediente. I ritmi della rappresentazione derivano da Donatello e dalla antichità classica.
I Pianeti sono il tema della cappella successiva, quella che probabilmente ha fatto più divertire lo scultore nella esecuzione. Il tema è astrologico, con la rappresentazione dei pianeti e dei segni dello Zodiaco, un programma noto sin dal medioevo. Solo che la rappresentazione, anche per volontà di Sigismondo, è spesso sorprendente, quasi eversiva, come nel Saturno e nei carri trionfali di Marte, di Venere e della Luna. In questa cappella ci sono due bassorilievi personalizzati sulla vita di Sigismondo, reale o sognata. Nel primo si vede dal mare la città di Rimini. Davanti al porto c'è un vascello a vele gonfie, senza nessuno a bordo. Il mare è disegnato come se fosse il panneggio di una veste, accentuato solo dalle spirali di alcune onde, specie quelle provocate dal vascello. Di Rimini si vedono le mura e le torri, il castello Sismondo, il ponte di Tiberio. Sopra, il segno del Cancro, una prevaricazione del Malatesta, che fa rappresentare sopra Rimini il suo segno zodiacale, quello di Rimini era lo Scorpione. All'altro bassorilievo è stato dato il nome “Il naufragio di Sigismondo in vista dell'isola Fortunata”. L'ispirazione nasce da un poemetto laudatorio di Basinio Basini. Un uomo nudo (Sigismondo, chi se no?) rema in una barca in mezzo al mare agitato dai venti, rappresentati in basso con le gote gonfie; il mare è popolato di mostri marini, ma anche di delfini scherzosi. Ci sono diverse isole, piccole e con montagne scoscese. In una c'è un grande uccello rapace, in un'altra un leone, nella terza un elefante (chissà di cosa si nutrono…). Una delle isole simboleggia Delo, l'isola di Apollo, e si crea il nesso Apollo-Sole-Sigismondo. E' una specie di Odissea creata su misura del giovane signore di Rimini, ed evidentemente graditissima ad Agostino, che può dare libero sfogo a tutte le sue fantasie ed ai suoi manierismi favolistici.

le isole con l'uccello rapace, l'elefante, il leone

Queste sono le tre cappelle a destra, a cui è da aggiungere la cella delle Reliquie, dove è conservato l'affresco di Piero della Francesca. A sinistra ci sono altre tre cappelle, a cui si aggiunge la cella cosiddetta dei Caduti. In corrispondenza con la cappella dei Pianetei, c'è la cappella delle Arti Liberali, a cui si aggiungono le Scienze del Trivio e del Quadrivio ed altre allegorie. Seguendo le sorprendenti approssimazioni del programma iconografico, Agostino mischia insieme la Filosofia e la Botanica, la Concordia e la Musica. Anche di questi bassorilievi si pensò che fossero originali greci, niente di strano vista l'armoniosa grazia pagana che Agostino persegue. Il raffinato turgore di alcuni festoni di frutta, erbe e fiori, ad esempio quelli nella rappresentazione della Botanica, è una specie di equivalente nella scultura dei festoni che il Crivelli non molto dopo avrebbe inserito nei suoi polittici disseminati nelle Marche dopo la fuga da Venezia (anche lui in fuga, ma per ragioni diverse, aveva sedotto la moglie di un marinaio). Sono artisti resi irregolari dai fatti della vita e che da questa situazione personale traggono lo spunto per un loro stile personalissimo. Sta finendo il vezzo critico di considerarli artisti minori, fuori dalla grande strada del Rinascimento, che invece è costruito da tante irregolarità che si incontrano e si scontrano, basti pensare a Donatello, con quel suo modo di scolpire aperto al nuovo fino agli ultimi anni di vita.
C'è poi la cappella con un tema certamente gradito da Agostino: i Giochi Infantili. Anche qui diciotto riquadri, con bambini che cavalcano delfini, sfilano a cavallo di bastoni, fanno girotondi attorno ad una fontana, fingono di eseguire un concerto o di navigare, si tirano per i capelli, forse per il divertimento di Isotta, che non aveva ancora compiuto vent'anni.

la botanica      la filosofia

Infine, la cappella della Madonna dell'Acqua, con le dodici raffigurazioni delle Sibille e dei Profeti, in più il trionfo di Mineva ed un trionfo militare. Attraverso le Sibille ed i Profeti si stabiliva un nesso fra antichità pagana ed antichità ebraico-cristiana, ma qui, nel Tempio Malatestiano, di cristiano c'è assai poco. Indubbiamente il papa Pio II Piccolomini, quando scomunicò Sigismondo facendolo pure bruciare in effigie nel 1461, aveva dei motivi di odio personale e politico. Sigismondo era spesso maldestro, arrogante quando non se lo poteva permettere, vista l'oggettiva debolezza del suo piccolo stato. Così riuscì a farsi escludere dalla Pace di Lodi del 1454, e fu l'inizio della sua rovina, malgrado l'aiuto che la Repubblica di Venezia non gli fece mancare fino agli ultimi anni. Nei suoi Commentarii Pio II scrisse: "Aedificavit tamen nobile templum Arimini in honorem divi Francisci; verum ita gentilibus operibus implevit ut non tam Christianorum quam Infidelium daemones templum esse videretur" (Costruì un nobile tempio a Rimini in onore di San Francesco; ma lo riempì di tante opere pagane che non sembra un tempio di cristiani ma di infedeli adoratori dei demoni). Dal suo punto di vista, aveva ragione, anche se a Mantova, a Ferrara e ad Urbino le raffigurazioni pagane non mancavano. Solo che Federico da Montefeltro era più cauto ed avveduto, e certe rappresentazioni le teneva per il suo studiolo di Urbino o per quello di Gubbio.
Sigismondo fu sconfitto proprio da Federico, il suo rivale storico, nell'agosto del 1462 sul Cesano, e nel corso degli ultimi anni si ridusse a tenere solo la città di Rimini fino alla sua morte nel 1468, a 51 anni di età. Era talmente privo di risorse che dovettero intervenire i francescani a loro spese per riparare il tetto della chiesa di San Francesco. Isotta visse fino al 1474, aiutando per quanto poteva i figliastri a mantenere lo stato.


sigismondo malatesta in una medaglia del pisanello



in su pagina precedente

  1 novembre 2004