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IL GIORNO DEL RICORDO
“Almeno Monza non è lontana come l'Australia”
Ricordi monzesi dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
8. Maddalena Zanella - febbraio 2010
a cura di Umberto De Pace


Premessa: La signora Zanella quale testimonianza delle vicissitudini della sua grande famiglia ha messo a disposizione alcuni scritti di sua sorella Bertilla, dei suoi nipoti Morena e Alan Zanella, Dario e Diego Rapisarda, e del genero di sua sorella Flavia, Gianni Marinello. Dai loro scritti è stato tratto il seguente racconto.

La famiglia Zanella
La famiglia Zanella con i suoi 12 figli nel 1937

Mia madre Maria e mio padre Riccardo si conobbero casualmente nel lontano 1912 mentre passeggiavano nei pressi di un ponte a Camisano Vicentino, paese natale della mamma. Lui aveva 24 anni e lei 18, e stando ai racconti di mia madre lui si fermò a guardarla e la salutò; lei, forse per timidezza lo ignorò, ma in seguito, incuriosita da questo giovane, accettò la sua corte e agli inizi del 1913 si sposarono. L'anno successivo nacque Danilo, il loro primo figlio. Poco tempo dopo inizia la prima guerra mondiale e mio padre deve partire per il fronte con il corpo dei genieri. Frutto di una delle sue poche licenze è stata la zia Flavia. Negli anni successivi alla guerra nascono altri sei figli: Renato, Rosetta, Giuseppe, quindi io nel 1927 e a seguire Adua e Agnese. Con l'intento di creare una sua attività indipendente dalla famiglia d'origine, il papà che era un imprenditore agricolo, decide di lasciare Vicenza agli inizi degli anni Trenta, spostandosi con moglie e prole in Friuli, a Basedo di Chions, dove si stabiliscono per qualche anno. Qui nasce Vasco. Evidentemente non soddisfatti, decidono di tornare in Veneto e si fermano nei pressi di Eraclea (Venezia) dove il papà riesce ad impiantare insieme ad un fratello una discreta attività. Qui nascono i tre figli più piccoli: Ampelio, Mariano e Bertilla e sempre qui i due figli più grandi già si sposano. Nel 1937 la famiglia si sposta ancora, questa volta verso l'Istria, precisamente a Capodistria, avendo trovato lì dei terreni fertili da coltivare.

La famiglia Zanella
Capodistria - fontana di calle S.Andrea negli anni 30
fotografia restaurata da Pietro Valente - istrianet.org
Danilo con la moglie ed il figlio seguono la stessa strada, Flavia con il marito si trasferisce in Piemonte e Rosetta resta con il marito in Veneto. In Istria la famiglia sembra finalmente mettere radici e l'attività del papà sembra prosperare. Riesce ad ottenere un buon terreno che, grazie alla sua abilità, frutta in tempi piuttosto rapidi, mentre la mamma manda avanti la casa e fa nascere un giardino di cui è sempre andata molto fiera. Dai racconti della mamma di questi anni, traspaiono grande serenità e armonia: i figli crescono e vanno a scuola, si creano nuove amicizie, Renato si sposa e porta sua moglie in seno alla famiglia.
Ma la seconda guerra mondiale incalza. Le truppe tedesche arrivano fin quaggiù e si insediano addirittura in casa. La mamma soffre molto di questa intrusione che dura circa due anni. Renato Danilo e Giuseppe vengono arruolati e questo aumenta ancora di più l'angoscia dei nostri genitori, che per lunghi mesi non riescono ad avere alcuna notizia dei tre figli. Nonostante la guerra, però, i nostri genitori sono sempre riusciti a tenere unita la famiglia; le proprietà hanno sempre dato buoni frutti, tali da provvedere non solo ai bisogni della nostra famiglia ma anche a quelli di alcuni vicini e compaesani. Nel 1945 ai tedeschi subentra il governo jugoslavo. Qui comincia un periodo difficile per questa come per tante altre famiglie in quanto gli italiani erano mal tollerati dal nuovo governo. La guerra nel frattempo finisce e i tre figli partiti per il fronte ritornano sani e salvi dei loro cari.
Nel 1953 i nostri genitori, con grande rammarico, decidono di spostarsi entro i nuovi confini italiani e trattano per l'acquisto di nuovi terreni su cui edificare una nuova casa. La situazione però muta nuovamente a seguito dei nuovi trattati politici e a causa dello spostamento dei confini, costretta ad abbandonare tutti gli averi e possedimenti, la famiglia deve spostarsi una seconda volta rientrando verso Trieste. E' il 1954. A Trieste veniamo ospitati nei campi profughi insieme a migliaia di persone costrette anche loro a rientrare dalla fascia costiera dell'Istria. Ad ogni nucleo famigliare veniva assegnato uno spazio della grandezza di una stanza; per i miei genitori fu una grande sofferenza, poiché non erano più tanto giovani e oltretutto erano ammalati; mio padre soffriva d'asma che aveva contratto durante la prima guerra, mia madre dopo un attacco d'infarto era diventata cardiopatica. Tutto ciò rappresentava per loro un grande trauma, e malgrado tutto non ci fecero pesare nulla, dissimulando questa situazione e infondendoci ottimismo. Però noi ragazzi, anche se pur abbastanza giovani capivamo la loro sofferenza e il fatto di dover dividere quello spazio con altra gente. Oltre alle stanze che venivano assegnate ad ogni famiglia c'erano anche delle grandi cucine dove ognuno disponeva di un piccolo fornello per poter preparare i pasti per la propria famiglia. Nonostante tutte queste situazioni e questi disagi, c'erano anche dei momenti di svago e di divertimento; infatti la sera, molto spesso, tutte le persone che vivevano nel campo organizzavano dei giochi ed intrattenimenti per poter passare in modo allegro tutti assieme la serata.
Nel frattempo ognuno di noi figli si cerca una sistemazione ed un lavoro, ciascuno per proprio conto – cosa che fino ad allora non era stata mai necessaria – e questa disgregazione della famiglia acutizza ancora di più la sofferenza dei nostri genitori oramai non più giovani, che con tanta tenacia hanno sempre cercato di tenerci tutti uniti. In questi anni ciascuno ha seguito la propria strada creandosi un nuovo futuro: chi in Italia, come i mie fratelli Renato e Danilo, il primo trasferendosi a Roma il secondo a Eraclea, o la sottoscritta a Monza. Gli altri invece si sono dispersi chi in Francia, come mia sorella Rosetta, chi in Australia, dove andò per primo Vasco. Era il 1955, aveva solo diciannove anni quando, accompagnando un amico al consolato a ritirare il visto di imbarco per l'Australia, senza averlo programmato, decise di seguire l'amico nel lungo viaggio. Prese una valigia di cartone con due stracci e partì. L'anno successivo è la volta di Ampelio che lasciò l'Italia con la moglie e una bambina di soli 10 mesi. Ricordo che papà diceva: "Chissà se li rivedrò più", mamma per tranquillizzarlo gli rispondeva: "Vedrai che avremo di nuovo tutti i nostri figli a casa". Arrivò poi il momento che partì, sempre per l'Australia, Agnese. Si sposò lo stesso giorno in cui partì. L'accompagnammo fino alla stazione del treno in quanto la sua nave salpava da Genova. Forse il momento era il più triste di tutti, perché vedemmo per la prima volta nostro padre piangere. Mia sorella Bertilla lo dice sempre: “Ricordo bene il suo sguardo quando gli dissi … dai, li rivedrai tutti il prossimo anno … e lui mi rispose … secondo me, per loro è come se fossi morto oggi!". Per Bertilla fu particolarmente dolorosa la partenza di Agnese, in quanto era per lei un punto di riferimento, cercava di imitarla in tutto e visto che aveva nove anni più di lei, certe volte gli faceva anche da mamma. Giuseppe, Adua, Mariano e la stessa Bertilla, decidono di rimanere a Trieste. Tutti questi eventi portano i nostri genitori alla consapevolezza che forse non ci saremmo più ritrovati tutti assieme e infatti, finché sono stati in vita, ciò non si è mai verificato.
Sono tanti i ricordi impressi e gli aneddoti del passato. Alcuni di questi riguardano Dik, il nostro cane, che non potendo seguirci nel campo profughi, era stato lasciato a dei conoscenti rimasti oltre confine e che ogni sera puntuale alle 17,00 andava ad attenderci alla fermata dei pullman convinto di un nostro ritorno. Lo stesso cane Dik è stato il primo a riconoscere mio fratello Giuseppe al suo rientro dal campo di prigionia in Germania. Quando mia madre era ancora giovane e con noi piccoli, passava tanto del suo tempo a raccontarci della propria infanzia e gioventù, a leggere – leggeva libri di qualsiasi genere – ed a cantare: spesso cantava con Vasco che aveva imparato a suonare molto bene la fisarmonica ed il mandolino. Gli stessi nipoti l'hanno sentita sempre cantare quando erano piccoli. Un divertimento per me e le mie sorelle maggiori era confezionare abitini e camiciole per nostra sorella più piccola, Bertilla, che per contro desiderava sempre unirsi a noi quando uscivano. Di aneddoti ce ne sarebbero tanti da raccontare, ma il messaggio più importante che i nostri genitori ci hanno trasmesso riguarda l'armonia, il rispetto e la coesione dell'unità familiare nell'amore reciproco. Rimane il rammarico di non essere riusciti ad esaudire il loro desiderio di vederci tutti riuniti per almeno una volta.
Così per i miei genitori l'unico contatto con i loro figli dall'altra parte del mondo erano le lettere. Nonostante la loro età già un po' avanzata, erano due persone molto socievoli e aperte con i giovani, sempre disponibili al dialogo e a comunicare con noi, e cercavano sempre in tutti i modi di nascondere la loro malinconia. Bertilla ad esempio, ricorda con molta gioia il giorno in cui compì i suoi 21 anni, nel 1958 – a quel tempo la maggiore età. Organizzò una piccola festicciola con dei suoi amici e il suo ragazzo come regalo si presentò con un anello di fidanzamento. Nostro padre quando lo vide disse: "ma come! La mia figlia più piccola si fidanza ed io non ne so niente! Avrei potuto organizzare una festa più grande". Bertilla rispose che non ne sapeva niente; lui allora la portò con il suo ragazzo ed i loro amici in un bar lì vicino e pagò a tutti da bere. I loro amici rimasero incantati al vedere che i nostri genitori nonostante la loro età erano così aperti verso i giovani.
A un certo punto anch'io decisi di partire per l'Australia, ma mio padre mi convinse ad andare a Monza; mi spiegò che era stato lì durante la prima guerra e che c'erano tante industrie, e quindi buone opportunità di poter trovare un buon lavoro. Man mano che gli altri fratelli si sposavano lasciavano il campo; Bertilla lo lasciò nel 1962; gli ultimi furono mio fratello Mariano assieme ai miei genitori nel 1963, quando fu assegnato loro un alloggio dall'I.A.C.P. (oggi A.T.E.R.) e subito dopo anche Mariano si sposò.
Ricordo ancora quando mi accompagnarono alla stazione a prendere il treno, mio padre era sollevato e disse: "Almeno Monza non è lontana come l'Australia".

Maddalena Zanella

Capodistria oggi
Capodistria oggi


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  10 febbraio 2010