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Boris Pahor
Un tempo breve, lungo una vita
Umberto De Pace


Boris Pahor
“Professore, mi scusi, volevo chiederle se era disponibile a tenere una sua conferenza a Monza?” – gli domando mentre stringo la sua mano antica, levigata dal tempo, sul palco appena concluso il suo lungo intervento. Mi guarda con un sorriso, e un po' titubante, mi risponde: “E che ... ho molti impegni ... almeno fino a maggio e poi vorrei fare almeno una settimana di vacanza ... “ .
Ascolti professore, senza impegno, se ne può parlare anche più avanti, quando crede, se mi lascia un suo recapito, un numero di telefono ...”.
Va bene, però preferisco che scriviate, sa, così almeno rimane qualcosa di più chiaro ... “ – e così dicendo, cerca tra le pieghe del portafoglio un biglietto da visita, grande come un francobollo, l'ultimo rimasto e me lo porge. E' la mattina del 25 febbraio, appena trascorso; al “Live Club”, una grande discoteca nell'area industriale di Trezzo sull'Adda, l'amministrazione comunale ha organizzato, nell'ambito delle iniziative per la giornata della memoria, un incontro tra lo scrittore triestino, Boris Pahor, e gli studenti.

Sa professore, molti di noi hanno scoperto i suoi libri solo di recente” – al mio fianco, uno dei professori che accompagna gli studenti, conferma. “Eppure, io li ho scritti circa quarant'anni fa, ma anche se li avessi scritti oggi, riporterebbero le stesse cose, tale e quali” – risponde senza alcun stupore. Nel corso della conferenza ad una domanda del pubblico, aveva spiegato il motivo per cui i suoi libri sono stati pubblicati solo di recente in Italia, benché lui sia un cittadino italiano di nazionalità slovena: “Torniamo al solito problema del confine orientale. Voi parlate nei libri di storia di terre redente, noi parliamo di terre occupate ... quindi, far pubblicare il libro di uno sloveno da parte di un editore italiano è sempre stato un problema ...” – e aggiunge - “ …per fortuna, che le cose sono cambiate e oggi si può parlare di queste cose”.

sala

Se ne può parlare, ma siamo solo agli inizi, come ci ricorda la professoressa Tatjana Rojc, dell'Università di Trieste, nella sua introduzione. Trieste, la città delle due anime, in cui l'elemento slavo e italiano, ancora oggi comunicano troppo poco, pur condividendo il comune sentirsi al centro dell'Europa. Il messaggio di Pahor, è comunque un messaggio universale, che travalica le frontiere e le ideologie per parlare al cuore e alle menti dell'umanità intera: “ Boris Pahor sembra dialogare con Primo Levi ... “ – con questa affermazione Rojc, conferma le sensazioni, e le emozioni che provavo leggendo “Necropoli”, le quali spesso, mi riportavano al libro “Sommersi e salvati” di Primo Levi.
La più grande tragedia del '900, ricorda Pahor, non è nata con il nazismo, ma con il fascismo, tant'è che Mussolini è stato il maestro di Hitler, benché purtroppo, l'alunno seppe superare di gran lunga il suo maestro. E dell'internamento nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof, sui Vosgi in Francia, racconta di quando guardava il camino del forno crematorio : “ … sopra il fumaiolo c'era come un tulipano rosso, c'erano due fiamme, e quando le ho viste mi sono ricordato quando, a sette anni, da bambino, avevo visto bruciare la casa della cultura slovena … e dico, guarda, che queste fiammelle qui sono state accese a Trieste nel 1920. E lì, la popolazione slovena è la prima che ha provato il fascismo in Europa”.
Nell'introduzione la professoressa Rojc, ricordava come Pahor sia un grande messaggero di pace, che ha saputo ridare voce a chi voce non aveva, tolta dai regimi autoritari. Pahor non lottò solo contro il nazifascismo, seppe anche denunciare i crimini Jugoslavi del dopoguerra e per questo fu allontanato per due volte dalla Jugoslavia.
Nel suo lungo intervento, Pahor, ripercorre la nascita del fascismo, ricorda i tanti campi di concentramento fascisti; i crimini di guerra commessi dall'esercito italiano; specifica la particolarità della repressione nazista contro gli oppositori combattenti o civili che fossero, e contro le popolazioni che li difendevano; rammenta il suo percorso nei campi di concentramento nazisti (Natzweiler-Struthof, Dachau, Bergen-Belsen); le responsabilità italiane nell'affossare e rimuovere i crimini perpetrati dai fascisti e infine, lancia un monito ai numerosi studenti presenti, mettendoli in guardia su chi ancora oggi, purtroppo anche all'interno delle scuole, difende o tende a minimizzare il fascismo.
Un monito che ci riguarda tutti, come gli stessi organizzatori dell'iniziativa sottolineano, ricordando, come proprio in questi giorni, vi sia stato un'atto vandalico a Milano, sulla lapide del partigiano Eugenio Curiel – triestino anch'egli – ucciso dai repubblichini nel 1945 e la profanazione del memoriale di Mauthausen, dove sul muro dell'ex campo di concentramento è stata fatta un'enorme scritta : “Quello che per i nostri padri era l'ebreo è per noi il nido di musulmani, state attenti! Terza guerra mondiale – Ottava crociata”.

muro

Il sentire la testimonianza diretta, di chi all'epoca era già un uomo adulto, ci permette di misurare, nella sua concretezza e realtà, il tempo che ci separa da quei tragici fatti: un tempo breve, lungo una vita. L'augurio e che anche la nostra città, possa far tesoro, in un tempo breve, della lunga esperienza di vita di Boris Pahor.

Umberto De Pace

Nota: Boris Pahor è nato nel 1913 a Trieste dove vive tuttora. Dopo la laurea a Padova ha insegnato Lettere italiane e slovene nella città giuliana. Durante la seconda guerra mondiale ha collaborato con la resistenza antifascista slovena ed è stato deportato nei campi di concentramento nazisti, esperienza che lo ha segnato fortemente e di cui si trova traccia in gran parte della sua ricchissima produzione letteraria. In italiano, oltre a Necropoli, sono stati pubblicati Il rogo nel porto (Nicolodi, 2002) e Il petalo giallo (Nicolodi, 2003). Segnalato più volte all'Accademia di Svezia che assegna il Nobel per la letteratura, insignito nel 1992 del Premio Preseren, il massimo riconoscimento sloveno, per la sua attività letteraria, già nominato in Francia Officier de l'Oredre des Arts e des Lettres dal ministero della Cultura, nel 2007 Boris Pahor ha ricevuto la Legion d'Onore da parte del presidente della Repubblica francese.


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  5 marzo 2009