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RICORDI
Pasolini e le lucciole
Giorgina Baldi


Pasolini-

olio di Daniele Capecchi

Pasolini-

elaborazione di Gianluca Gambardella


Tutte le commemorazioni si svolgono sotto il segno del rimpianto. Persone che in vita furono presi a schiaffi e a insulti, e dei quali si affrettò la morte civile con ingiurie e pettegolezzi, uomini che quando vissero divisero  il mondo, e molti giudicarono nemici  e pericolosi, ricevono omaggi e riconoscimenti dai vivi. A nemico che fugge, soprattutto nell'aldilà, ponti d'oro e parole d'argento. Di Pier Paolo Pasolini, a più di trent'anni dalla morte, nessuno sembra  ricordare la carica provocatoria che scatenò l'ira a destra e a sinistra; nessuno mostra di  ricordare la rabbia e lo sdegno che suscitò. Passato sotto le ruote della macchina di Pelosi che, da solo o con altri, lo uccise nell'immondezzaio di Ostia in una notte balorda, è diventato inoffensivo. Oggi  gli si potrebbe anche rendere l'onore delle armi, persino rimpiangerlo, ma niente di più. Nell' “operetta immorale sugli intelligenti d'Italia” Venerati Maestri di Edmondo Berselli, Pasolini si salva come “sfruttatore di lucciole”, come un antimoderno che “aveva il vantaggio di essere contemporaneamente comunista, cattolico, islamico, medievale, greco, omosessuale, calciatore. E quindi di poter sparigliare alla grande facendo il luterano o il corsaro”. Proprio le lucciole, quei piccoli insetti luminosi  che erano scomparsi nelle notti insidiose delle borgate romane, lo salvano dalla lista  nera di Berselli, quella  che mette in mutande “l'intellighenzia” italiana, che nasce come elenco delle giovani promesse che diventano i soliti stronzi prima di diventare venerati maestri. “Temo solo il giudizio di Pier Paolo e di mia moglie Elsa Morante“ diceva Moravia “sono più intelligenti di me”. Poca cosa per un poeta civile come Pasolini,  il “frocio” violento che non poteva andare con una donna “perché mi sembrerebbe di scopare con mia madre”, provocatore di contestatori con l'elogio del poliziotto, nemico dei democristiani, poi malvisto dalla sinistra perché scomodo con quel suo battere con i ragazzi di vita, per quel suo tirar fuori la storia del fratello partigiano ucciso a martellate da altri partigiani. Entrato nella leggenda, è diventato inoffensivo. Persino chi non lo amò in vita  oggi, trent'anni dopo, potrebbe rimpiangerlo senza timore d'essere contraddetto. Quando lo raccolsero come uno straccio all'idroscalo di Ostia molti tirarono un sospiro di sollievo. E' morto “il poeta”, disse chi gli voleva bene, un visionario che aveva anticipato tutto: dalla necessità di riscoprire l'indignazione fino all'omologazione che ci avrebbe reso tutti più brutti, più infelici e più uguali. Dalla leggenda, ora Pasolini è passato direttamente nel dimenticatoio. Pochi articoli sui giornali per dire poco chi è stato e qualcosa di più sulla sua morte. E, puntuali, ogni tanto arrivano le rivelazioni del suo assassino, quel Pelosi “riccetto”che dice di aver avuto dei complici quando lo massacrò a colpi di bastone accanto alla palizzata di una casetta abusiva in riva al mare. Nemmeno questo fa riparlare del poeta Pasolini.  Qualcuno quella notte sentì gridare, ma nessuno si affacciò. Anche la morte di un grande poeta è solo una morte . Ma resta la sua opera che celebra i fasti di quello che sta avvenendo nella società. E' compito dei poeti raccontare il futuro e Pasolini aveva previsto tutto, non solo il ritorno delle lucciole. Naturalmente nessuno lo confessa: l'elogio di un poeta corsaro è una civetteria di cui nessuno ha il coraggio.

Giorgina Baldi
dal blog giorginabaldi.splinder.com

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 1 novembre 2006