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MONZESI
Anna Sorteni
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Anna Sorteni    Nata a Venezia nel 1930, sposata con due figli. Suo padre, Leo Sorteni, fu il primo sindaco di Monza dopo la Liberazione. Si laurea in Architettura al Politecnico di Milano e comincia a presto collaborare con lo studio di architettura del padre, che rileva nel 1960 e tuttora conduce. Nel 1978 insieme ad un gruppo di persone fonda il “Museo Etnologico di Monza e della Brianza” del quale è tuttora presidente. Socia ed ex presidente del Soroptimist di Monza, è membro della sezione monzese di Italia Nostra.

foto di Fabrizio Radaelli


Di corporatura minuta, col volto affilato e i capelli tagliati corti, per anni affermato architetto, ha probabilmente trasferito le sue doti e il suo rigore professionale in un'impresa che oggi la coinvolge quasi totalmente: quel “Museo Etnologico” che se anche privo di una stabile sede espositiva continua a raccogliere e classificare migliaia di reperti del nostro passato, per preservare la memoria del mondo da cui proveniamo e che rischiamo altrimenti di dimenticare. Ci accoglie nella sede del museo, cinque stanze in Villa Reale colme fino al soffitto di scaffali.

Architetto Sorteni, ma come Le è venuta in mente l'idea del Museo Etnologico?

Nacque quasi per caso. Veda, io ero molto amica di Pina Sacconaghi, nota pittrice monzese. Sua madre e sua nonna erano grandi amanti del ricamo e le avevano lasciato decine e decine di stupendi ricami, di quelli che si facevano una volta. Pina Sacconaghi si rivolse a me chiedendomi come fare a preservare quel patrimonio e magari anche a mostrarlo al pubblico. Così ci recammo al Museo Poldi Pezzoli di Milano chiedendo se erano interessati a valorizzare quelle cose, ma l'incontro fu piuttosto deludente. Non erano interessati. Allora, quasi per reazione, decidemmo di creare noi qualcosa per quegli scopi, e così fondammo il Museo Etnologico, con regolare atto notarile e undici soci fondatori. E sa una cosa?

Mi dica.

L'anno seguente il Poldi Pezzoli organizzò un'esposizione proprio di ricami. Forse la nostra visita li aveva interessati a quel genere di materiali e si erano ricreduti. Ma noi ormai avevamo imboccato la nostra strada.

Ma intendevate collezionare solo ricami?

No, certo, quello era solo il punto di partenza. In realtà volevamo fare un museo del lavoro e della produttività delle nostra terra, in tutti i settori. Oggi di musei simili se ne vedono molti, specie all'estero, ma a quell'epoca, sto parlando del 1978, era veramente un'operazione ardita e antesignana.

E come procedevate?

Quasi esclusivamente attraverso donazioni. In rarissimi casi abbiamo dovuto spendere dei soldi per acquisire qualche oggetto. Abbiamo creato una sorta di passaparola tra amici e simpatizzanti, e così di continuo ci venivano proposti nuovi pezzi. Oggi ne abbiamo raccolto circa 10.000, di tutti i tipi. Si va dalle macchine e dai macchinari veri e propri a documenti storici all'oggettistica più varia. E siccome siamo anzitutto un museo, ogni pezzo che decidiamo di acquisire viene studiato e catalogato, se ne fa una scheda apposita secondo le più rigorose norme in vigore nei musei.

E come è strutturato il Museo?

Siamo circa 200 soci guidati da un consiglio direttivo e il nostro lavoro è fondamentalmente su base volontaria. Solo in tempi recenti abbiamo avviato qualche necessaria collaborazione professionale part-time. E abbiamo avuto la disponibilità da parte del Comune di Monza ad occupare queste stanze e alcuni depositi al piano terra dell'ala Nord della Villa Reale che costituiscono i nostri spazi e dove anche possiamo esporre una minima parte della nostra collezione e renderla accessibile a piccoli gruppi di visitatori.

Ma non siete presenti anche al Mulino Colombo, nel centro storico vicino al ponticello di San Gerardo?

Sì, ma questa è una storia a parte, anch'essa nata dal caso.

Ce la racconti, La prego.

Per motivi professionali un giorno si è presentato nel mio ufficio un mio cliente. La sua famiglia era proprietaria da generazioni di un vecchio edificio posto ai margini del Lambro che un tempo fungeva da mulino. Voleva ristrutturarlo e mi chiese un parere da tecnico. Ma quando lo vidi all'interno, con le vecchie macine, le tramogge e tutti gli utensili di quell'antico lavoro, mi resi conto che era un patrimonio che non doveva andar perduto. Così fu venduta solo una parte dell'edificio e convinsi la famiglia Colombo a trasformare in un piccolo museo la parte inferiore, dove c'era il vero e proprio mulino. E' stato al Comune di Monza, con l'obbligo di provvedere al restauro.

E il Museo Etnologico cosa c'entra?

Beh, quei locali rispondevano appieno agli scopi sociali della nostra associazione e così qualche anno dopo il restauro ci facemmo avanti, proponendo di prenderne in carico la gestione. Cosa che oggi facciamo grazie ad una convenzione stipulata col Comune. Li teniamo aperti per le visite guidate, soprattutto da parte delle scuole, ed abbiamo anche realizzato un vero e proprio Videomuseo e organizziamo le nostre mostre..

Cosa sarebbe il Videomuseo?

All'interno del mulino abbiamo ritrovato in una cassa circa 500 documenti storici che testimoniano dell'attività del mulino e anche della vita concreta della famiglia che ci lavorava. Li abbiamo tutti sottoposti a scansione e inseriti in un computer, dove i visitatori possono leggerli e consultarli a piacere. Alcuni sono davvero molto interessanti. Ma il tema dei vecchi mulini ci ha affascinato e abbiamo anche promosso un'altra iniziativa.

Ci dica.

Abbiamo avviato uno studio analitico su tutti i mulini ancora esistenti nella Valle del Lambro. Abbiamo studenti che si recano sul posto a raccogliere documenti e e tracciano tutti i rilievi di quei siti, che vengono poi studiati storicamente e attraverso testimonianze dirette. Per questo progetto godiamo di un finanziamento regionale e di un altro dalla Fondazione della Comunità di Monza e Brianza. Fino ad oggi ne abbiamo censiti circa trenta, che operavano per le più svariate lavorazioni. Non va dimenticato che un tempo l'acqua corrente era una fonte energetica di primaria importanza e si cercava di sfruttarla in tutti i modi.

E quando contate di terminare e pubblicare i risultati di questa ricerca?

Nella primavera del 2003 e mi auguro saremo puntuali.

Veniamo a un tasto dolente: siete un museo senza una vera sede espositiva, il che è un grave handicap per il vostro lavoro e per l'idea stessa di museo.

Sì, la nostra associazione intende ostinatamente trovare una sede espositiva. Veda, oltre a quanto conserviamo qui un po' ammucchiato, abbiamo altri depositi con numerosissimi altri pezzi meritevoli di essere conosciuti. E le donazioni che riceviamo non si fermano, aumentando anno dopo anno il nostro patrimonio. Io penso che si dovrebbe giungere a costituire un museo misto pubblico-privato, dove l'ente pubblico mette i locali e noi le nostre collezioni e anche la gestione e la promozione del museo. Un po' come è accaduto nel caso del Mulino Colombo. In tutti questi anni abbiamo bussato a cento porte e anche ottenuto cento diverse promesse per trovare una soluzione che in fondo sarebbe solo un arricchimento del patrimonio culturale di Monza. Ma finora non è sortito nulla di concreto.

E allora?

E allora, che dire? Noi siamo persone pazienti….aspetteremo ancora.

Carlo Vittone


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 6 dicembre 2003