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RICORDI
Tempo di guerra
Giovanna Mussi sul  libro "Giocavamo alla guerra" - Memorie di giovani monzesi


esercitazioni dell'UNPA

Esercitazioni dell'UNPA (protezione antiaerea) in piazza Trento e Trieste - 1938

LA DENTIERA

Abitavo in una casa di due piani, noi: papà, mamma, mio fratello maggiore e mia nonna occupavamo il primo piano. Al piano terreno stava un'altra famiglia con 5 figli. In totale 7 tra bambini e ragazzi tra i 6/7 anni e i 14/15. Si giocava insieme nel cortile che affacciava sulla trincea della ferrovia, magari a gruppi secondo l'età. Ci si conosceva bene, ci si frequentava con una certa assiduità. Eravamo, nonostante la guerra, allegri e spensierati anche se i più grandi erano più consapevoli dei pericoli. Non eravamo particolarmente discoli, ma neppure particolarmente tranquilli.
La nostra casa aveva una piccola cantina, dove stava il carbone, nera e senza prese d'aria. I signori della casa accanto invece avevano una cantina spaziosa provvista di areazione tramite bocche di lupo e in più l'avevano fatta tutta puntellare con travi di legno, rendendola più confortevole e più sicura. Era stata aperta una porta di comunicazione tra la nostra cantina e quella dei vicini. Cosi ogni volta che suonava l'allarme attraversavamo la porta di comunicazione e ci riunivamo con i vicini nel “'Rifugio". Non è bello aspettare l'arrivo degli aerei, aspettare e non sapere cosa accadrà, ma quando si è ragazzi ogni occasione per divertirsi è buona.
La signora proprietaria della cantina puntellata, che ricordo vecchissima, ma che doveva avere su per giù la mia attuale età portava la dentiera. Le dentiere di una volta non erano come le attuali, diff~ci1mente aderivano perfettamente alla gengiva e tendevano a ballare in bocca, producendo uno strano battito.
Noi ragazzi eravamo tutti concentrati ad aspettare il battito della dentiera. Quando la signora incominciava a recitare il rosario, presa dalla paura (mi pare avesse anche il figlio minore al fronte) produceva questo strano ticchettio, noi non osavamo più guardaci in faccia nel timore di non riuscire a frenare la risata che ci saliva in gola. Quando poi la pancia della signora incominciava a tremare, si seppellivamo tra le coperte e gli scialli che ci eravamo portati dalle nostre abitazioni per difenderci dal freddo.
Solo ora che una nipote più prepotente di mè anche grazie ad una educazione per nulla repressiva, mi ridicolizza per le caratteristiche tipiche della vecchiaia, mi rendo conto di quanto cattivi siamo stati verso colei che ci aveva accolto nella sua casa per difenderci.

IL SOLDATO TEDESCO

Era il marzo del 45, verso la fine del mese, l'inizio della primavera, lo deduco dal fatto che indossavo un soprabito grigio-azzurro che mia madre mi aveva fatto, rivoltando un vestito vecchio di mio padre.
I capelli erano legati a ciuffo in mezzo alla testa da un fiocco bianco, nella pettinatura allora chiamata a fontana.
Tornavo dal centro di Monza verso la mia casa di San Biagio percorrendo via Zucchi per mano alla mia mamma.
Là dove, ancora oggi, la strada si stringe c'era un caffè Ambrosini o Ambrosoli, non ricordo bene, fiori per la strada tavolini e seggiole di vimini occupate da soldati tedeschi.
Avevo quasi 8 anni, piccola si, ma capace di sentire gli umori delle persone che mi circondavano.
La stretta della mano di mia mamma aumento un poco, io mi irrigidii come ad affrontare un
problema che individuavo nella presenza dei tedeschi. Bastava procedere e tutto sarebbe andato bene come le altre volte. Avvenne però un fatto insolito un soldato tedesco mi prese per un braccio e mi trattenne. Strinsi convulsamente la mano di mamma in cerca di protezione. Avevo paura non so precisamente di cosa, ma avevo paura. Il soldato cominciò a parlarmi e quella lingua ignota aumentava la tensione che c'era in me. Forse capi che ero spaventata, mi sorrise e tolse dal portafoglio una piccola fotografia di una bimba che mi rassomigliava e disse in quel poco di italiano che conosceva che era sua figlia che era a casa in Germania.
Non era un bel soldato aitante, giovane, alto e biondo come ne ricordavo, era piccolo con i capelli scuri e un po' di calvizie. E' restato così nei mie ricordi ad addolcire le tristezze della guerra portate soprattutto dai soldati tedeschi.

NATALE 1944

Il presepe era pronto sul piano del buffet tra la base e l'alzata chiusa da sportelli con vetri legati in piombo.
Avevamo raccolto il muschio ( la tepa) che cresceva sul lato nord degli alberi in fondo alla strada ed ora faceva da tappeto alle statuine "di prima della guerra
Il muschio si conservava benissimo in quella sala da pranzo gelida con i fiori di ghiaccio sulle finestre che avrebbe conosciuto un po' di tepore solo per il pranzo di Natale.
Le statuine di gesso affondavano fino a mezza gamba nel muschio, rischiarate dal lumino di cera racchiuso nel suo contenitore di vetro colorato. Uno scenario sullo sfondo riportava un paesaggio della Palestina alquanto fantastico, attorno rami di alloro come cornice.
Gesù bambino che regolarmente trovavo nella sua mangiatoia la mattina di Natale era di cera, molto ben fatto e piccolino come tutte le statuine che ancora conservo.
In cucina la mamma e la nonna facevano miracoli con il poco che si era riusciti a trovare tra parenti (avevo degli zii macellai) fornitori dì mobili di mio padre che stavano in Brianza, scolare di mia mamma che insegnava a Lissone.
Qualche osso con un poco di carne per il brodo, un pezzetto di salsiccia per il ripieno dei cappelletti, una fettina di lardo portata da una scolara come regalo di Natale "alla Signora Maestra" 3 uova sempre portate da alcune scolare tra le più abbienti e dulcis in fundo un cappone fornito da un fornitore di mio padre che fabbricava mobili in stile a Meda, Io come ogni bambino aspettavo i regali che allora portava Gesù Bambino con tutta la caparbietà di cui sono ancora capace e con una fiducia infinita che non conosco più. Il mattino quando mi sono svegliata ho trovato la mia vecchia cucinetta della bambola ridipinta di un improbabile turchese che ancora mi fa accapponare la pelle, ma che avevo trovato splendido. Mio padre la sera, tornato a casa da Milano dove aveva il suo negozio di mobili dipingeva questi quattro legni non avendo altro da offrirmi.
Ho trovato anche tre vestiti per la bambola che mia mamma aveva cucito usando stoffe dei campionari di tessuti per arredamento. Bellissimi. Mia madre era molto brava anche a cucire, Non ricordo i regali di mio fratello, probabilmente non mi interessavano.
Ho passato la mattinata a giocare sul divanetto di vimini in cucina, unico locale riscaldato, mentre mamma e nonna finivano di preparare il pranzo.
Aspettavo con ansia il pranzo di Natale non per i cappelletti in brodo di carne, non per il cappone bollito, ma per il pane bianco che mamma riusciva a comperare al mercato nero a Lissone e che trafugava a suo rischio e pericolo, nella cartella, al suo rientro in tram a Monza
I miei figli quando li rimprovero perchè sprecano qualcosa mi rifanno il verso "non avete fatto la guerra".
Eppure nessuno che non abbia mangiato quel pane nero elastico come una gomma daI sapore di segatura in quantità limitata dalle tessere potrà mai capire con tutti i suoi sensi cosa voleva dire un pezzo di pane bianco da masticare lentamente gustando il sapore della farina.

Giovanna Mussi


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 15 novembre 2003