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MONZESI
Raffaele Della Valle
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Raffaele Della Valle    Nato ad Aqui Terme (AL) nel 1939 da padre napoletano e madre pavese. Sposato con tre figli che oggi lo affiancano nell'attività professionale. Trasferitosi a Monza nel 1946 si laurea in Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano e pochi anni dopo apre uno studio in Monza. Nel corso della sua carriera si è occupato di casi notissimi, a partire da quelli di Enzo Tortora e della modella inglese Terry Broome, giungendo presto a vasta notorietà in campo nazionale. Si è anche a lungo interessato di politica, militando dapprima nel Partito Liberale Italiano e successivamente in Forza Italia. E' stato consigliere comunale a Monza per circa tredici anni, membro del consiglio nazionale del PLI, deputato di forza Italia dal 1994 al 1996, capogruppo parlamentare e vicepresidente della Camera dei Deputati. Dal 1996 ha tuttavia rinunciato ad ogni incarico politico. E' membro di innumerevoli associazioni, cittadine e no, ma ciò a cui tiene di più è la sua adesione al “Tribunale dei disabili”, un'associazione volontaria per l'assistenza e l'aiuto ai disabili formata da magistrati e avvocati, coordinata a Monza dal giudice Pietro Calabrò

foto di Fabrizio Radaelli


Monza, 1946. La guerra è da poco finita e sulle ampie terrazze del Tribunale di Monza un gruppo di bambini sta giocando rumorosamente, incurante del chiasso che potrebbe disturbare qualche udienza in corso al piano sottostante. Ma loro in quel tribunale ci abitano, perché sono figli di magistrati che in quegli anni difficili non solo lavoravano al tribunale, ma anche ci avevano trovato casa con tutta la famiglia. Uno di questi bambini è più vivace degli altri. Con una grande cascata di capelli neri e due occhi vivi e smaliziati, trascina un carrello a ruote costruito in casa, una specie di automobilina a pedali. Quel bambino non sa ancora che in quel tribunale dovrà tornarci molte altre volte nella vita, e non certo per giocare. Quel bambino si chiamava Raffaele Della Valle.

Eh sì, - ci dice sorridendo – mio padre era pretore, a quell'epoca gli uffici del Tribunale non occupavano tutto l'edificio e così ai magistrati in servizio venivano concessi alcuni dei locali interni ad uso abitazione. E così io ci sono cresciuto dentro al tribunale. E mi ricordo anche l'effetto che mi faceva assistere a qualche processo, con le arringhe dei difensori che per un bambino come me sembravano straordinarie fiabe popolate di straordinari personaggi. Alcuni dei grandi avvocati dell'epoca, da Gonzales a Greppi, per me erano di casa, figure familiari della mia infanzia.

E dunque era quasi un destino il suo, quello di diventare avvocato.

Sì, ma tenga anche presente che venivo da una famiglia di magistrati. Non solo lo era mio padre, ma anche mio zio.

Ma perché ha scelto di diventare proprio avvocato penalista?

Con tutto il rispetto per i miei colleghi civilisti, credo che occuparsi di fatti penali abbia un significato più profondo da un punto di vista professionale e anche umano. Il civilista, è noto, si occupa di contrasti tra i diversi soggetti in quanto portatori di interessi economici. E dunque di eredità, di separazioni e divorzi, di liti condominiali e di contrasti societari. Tutte cose importanti, per carità, ed è giusto che qualcuno se ne occupi! Ma il penalista ha a che fare col bene più prezioso dell'uomo, con la sua libertà. E quando riesco a dimostrare l'innocenza di un uomo, io gli restituisco la liberta personale, lo faccio rinascere alla vita sociale, mi sento come un medico che ha strappato alla morte un paziente. Mi creda, è molto più stimolante, più appagante da un punto di vista professionale. E poi c'è un altro aspetto del mio lavoro che non va dimenticato.

Quale?

Si pensa spesso che i clienti di un penalista siano tutti “grandi” nomi, si pensa spesso al processo che fa scalpore e notizia, che finisce sulle prime pagine dei giornali. Ma questo è un millesimo della nostra attività. Sapesse invece quanti “poveri cristi” finiscono a chiederci consulto, magari vessati dallo strapotere dello Stato nei confronti del cittadino indifeso. Questa è un'attività che magari non finisce sui giornali, ma che è molto più vasta e ricorrente che non il “grande” processo di cui tutti parlano.


Come ha cominciato, avvocato?

Un po' come tutti in questa professione. Dopo la laurea, il tirocinio e l'abilitazione, ho aperto il mio studio, proprio lo stesso dove ci troviamo ora, in Via De Amicis. All'inizio della carriera, un giovane avvocato deve darsi da fare anche con piccole cause, con quello che i professionisti già affermati “scartano” perché di poco interesse, a volte con le difese d'ufficio a nullatenenti. Ma io avevo trovato un mio sistema per emergere.

E cioè?

Cercavo di collegarmi ai grandi nomi del diritto penale dell'epoca, ad avvocati che erano d'esempio anche sul piano dottrinale, chiedendo loro di collaborare in qualche causa. Parlo di nomi come De Marsico, Dall'Ora, Candian, personaggi che hanno fatto la storia del diritto penale in Italia. In realtà ero io a fare la parte più rilevante del lavoro e ad occuparmi di tutti i problemi spiccioli del procedimento. Ma contemporaneamente avevo l'occasione di vederli all'opera nell'impostazione del processo e nella ricerca delle migliori strategie difensive. E così imparavo continuamente e miglioravo, facevo esperienza e anche la fama del mio studio si accresceva.

Quello però che La ha affermata definitivamente è stato il “caso Tortora”.

Sì, ma vorrei fosse chiaro che Tortora era per me anzitutto un amico. Ci conoscevamo da tempo, entrambi militavamo nel PLI, eravamo membri del Consiglio Nazionale del partito. Mi era già capitato di difenderlo per piccole cause, piccoli processi per diffamazione come spesso capitano agli uomini di spettacolo. Poi ci fu quella famosa telefonata alle 4 del mattino, quando mi disse che lo stavano arrestando con quell'incredibile accusa. Il film che è stato tratto dalla vicenda ricostruisce con fedeltà quanto accadde. Io credo che quel processo, quella “battaglia” processuale anzi, abbia svolto un ruolo antesignano sul tema dei diritti del cittadino, del giusto processo, del rapporto tra amministrazione giudiziaria e mass media, insomma su tutti quei temi che oggi sono sul tappeto in relazione alla riforma della giustizia nel nostro paese.

Già, il PLI, Partito Liberale Italiano. In quegli anni Lei non solo svolgeva la Sua impegnativa professione, ma trovava modo di impegnarsi in politica.

Sì, già nel 1959 ero segretario della Gioventù Liberale di Monza. Poi per ben 13 anni, dal 1970 al 1983, fui consigliere comunale del PLI e nel 1976 venni anche eletto consigliere nazionale del partito. Poi per circa un decennio, dal 1983 al 1990, cessai quell'impegno, le esigenze della professione erano diventate troppo pesanti. Ricominciai nel 1992, alle elezioni politiche, quando mi presentai candidato al Parlamento e non fui eletto per una manciata di voti. Eletto risultò Egidio Sterpa, ma per alcune ore i nostri due nomi ballarono sul filo di lana.

Poi c'è una svolta importante.

Sì, nel 1994 nasceva Forza Italia e io ne fui tra i fondatori. Ho partecipato alle prime riunioni in cui si discuteva del nuovo partito e se ne delineavano le caratteristiche, chiamatovi personalmente da Silvio Berlusconi. Alle elezioni di quell'anno fui eletto deputato alla Camera e subito dopo anche capogruppo del partito, con un voto unanime. Sa, in tutta la sua storia, Forza Italia ha avuto solo quattro capigruppo alla Camera, e io fui il primo. Ma ciò che mi diede ancora maggiore soddisfazione fu l'elezione a Vicepresidente della Camera, nel settembre del 1994. Nonostante fossi stato candidato ufficialmente da Forza Italia, venne da me l'allora capogruppo del PDS, Giovanni Berlinguer, dicendomi che in considerazione del mio nome aveva lasciato libertà di voto ai suoi deputati. Fu davvero una grande soddisfazione per me.

E di cosa si è occupato in particolare come parlamentare?

Data la mia esperienza professionale, ho fatto parte della Commissione Giustizia, dove sono stato relatore della legge sulla custodia cautelare. Ed ero anche membro della Commissione Stragi, che all'epoca si occupò del caso bolognese della “Uno Bianca” e della strage di Ustica. E oggi mi ha fatto molto piacere che il Ministro della Giustizia mi abbia chiamato a far parte della Commissione di riforma del codice penale, presieduta da Carlo Nordio, anche se è un lavoro piuttosto impegnativo con riunioni a volte bisettimanali.

Poi nel 1996 lei volle ritirarsi dalla vita politica. Perché lo ha fatto?

Principalmente per due motivi. Anzitutto i miei impegni professionali. Non potevo più trascurare il mio studio. Ma anche perché sono sempre stato un fautore del “ricambio” della classe politica e in genere di qualsiasi ruolo di vertice. Quando fui eletto deputato dichiarai subito ai miei elettori che non avrei inteso “a vita” il mio ruolo politico, e ricordo anche che con Diego Novelli presentammo un disegno di legge, peraltro mai neppure presentato alla discussione, che limitava ad un massimo di due legislature l'eleggibilità dei deputati. Nella stessa Camera Penale di Monza, che ho contribuito a fondare e della quale sono stato il primo presidente, questo principio è stato accolto. Io ne sono stato presidente per un mandato, poi ho fatto largo ad altri. Del resto, quale sprone potrebbero avere i giovani a crescere se i posti di comando fossero stabilmente occupati dai più anziani?

Avvocato, Lei è certo fra i pochi monzesi ad aver goduto di una popolarità nazionale e ad aver girato in lungo e in largo l'Italia, sia per motivi professionali che politici. Ma che immagine si ha della nostra città al di fuori dei confini urbani?

Per dirla in tutta franchezza, fatta eccezione per la rinomanza dell'autodromo, Monza non ha alcuna immagine all'esterno dei suoi confini. E questo vale persino per il suo Tribunale, che, non lo si dimentichi, è il 6° d'Italia. I più si immaginano Monza come un grosso paesone alle porte di Milano, un pezzo dell'indistinta periferia del capoluogo, della banlieue milanese. Di quanto abbiamo artisticamente, culturalmente e storicamente nella nostra città i restanti italiani sanno poco o nulla, fatta ovviamente qualche debita eccezione. Su questo non c'è il minimo dubbio.

Ma da dove nasce questa incredibile situazione?

Mah, io credo che in realtà Monza non abbia mai goduto di un'autentica promozione di se stessa. E sa il perché? Perché i monzesi in fondo non vogliono così bene alla loro città, non la amano profondamente: pensi che tanta gente “snob” di Monza ha Milano come punto di riferimento. Credono che andare al cinema a Milano, andarci al ristorante, persino a farci gli acquisti sia più “alla moda” e meno provinciale. Ridicolo! E questo ha creato la progressiva decadenza della nostra vita, in tutti i settori. Pensi al calcio (io sono uno dei pochi monzesi che continua a seguire il Monza anche nelle partite di C2), all'atonia della vita culturale (a Monza solo dieci anni fa si è arrivati ad un teatro cittadino e forse domani lo perderemo), agli eterni problemi di trasporto e collegamento con Milano, mai risolti. E' una città addormentata, ripiegata su se stessa. E la responsabilità di ciò è solo dei monzesi.

Ma questa, per dirla in termini processuali a Lei cari, è una grave accusa di correità.

Le faccio due soli esempi, ma significativi Prenda il Comitato Pro Brianza Provincia, al quale collaboro da anni e che ritengo svolga un ruolo fondamentale per il futuro della città. Ma si è accorto che ai suoi vertici stanno persone che non hanno origine monzese? Dal presidente Valli al direttore Luigi Moretti, da Luigi Losa al sottoscritto, nessuno di questi è monzese “doc”. Di monzesi autentici c'è solo qualche sporadica presenza. Ma il resto della città dov'è? Cosa fa? E prenda poi il problema dei parlamentari: di monzesi, almeno solo di cittadinanza, la città ne ha avuti molto pochi negli ultimi decenni. Anche l'attuale deputato eletto a Monza è estraneo dalla città, “paracadutato” da fuori. Si dice spesso che Monza sia “colonizzata” da Milano, ma io dico che è Monza che si lascia colonizzare, che non sa recuperare il proprio orgoglio. E infine consideri altri segnali inquietanti: in città diminuisce l'interesse per la politica, i giovani latitano in questo impegno e alle ultime elezioni amministrative più di 40.000 elettori non sono andati alle urne.

Beh, dinanzi a questo quadro, mi verrebbe da chiederLe perché Lei si ostini a restare monzese.

Perché voglio molto bene a questa città dove vivo da più di cinquant'anni e proprio per questo sono così addolorato. Veda, io a Monza ci vado allo stadio, ci faccio i miei acquisti, mangio nei suoi sempre migliori ristoranti, ho persino lo stesso fidato parrucchiere da moltissimi anni. Io la mia città la vivo davvero e questo valore voglio trasmetterlo ai miei figli. Non ho certo bisogno di Milano per queste necessità. E così, quando mi dicono “Ah , Lei è il famoso avvocato Della Valle, del foro di Milano” io posso rispondere “No, prego, del foro di Monza”.

Carlo Vittone


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 19 luglio 2003