prima pagina pagina precedente


MONZESI
Vito Ciriello
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Vito Ciriello    Nato a Cassano Murge (BA) nel 1925, sposato con due figlie. Inizialmente frequenta il ginnasio, poi per motivi familiari si iscrive all'Istituto Tecnico, e nel 1943 si diploma Perito Industriale. Nel 1939/40 viene “radiato dalle scuole del Regno” perché, alla testa di una manifestazione studentesca a Bari, è stato ritenuto che facesse parte dei primi nuclei di Giustizia e Libertà. Affronta gli studi universitari in Economia e Commercio con delle parentesi di studi di Ingegneria Idraulica, in quanto lavorava nel Trentino in una società idroelettrica. A Milano dal 1946 lavora in industrie metalmeccaniche. Entra in IBM nel 1950 e vi rimane fino al 1990, data la sua versatilità ha svolto ruoli diversi nel campo tecnologico, economico, organizzativo e umano, compreso quello di capo dell' ingegneria industriale. Motivi di lavoro lo hanno portato a conoscere moltissimi paesi del mondo, acquisendone conoscenza diretta. Nel periodo giovanile sviluppa un'esperienza sindacale con la FIM-CISL poi si orienta sui temi dell'impresa e della gestione aziendale. Dal 1966 vive a Monza, partecipa alle attività del comitato di gestione della Biblioteca Civica e ed è uno dei promotori della costituzione dei comitati di quartiere, poi diventati Circoscrizioni. Nel 1981 è tra i fondatori del C.C.R. (Centro Culturale Ricerca), del quale è presidente fino al 1999. Da giovane ha lungamente praticato atletica leggera e motociclismo sportivo fino a un grave incidente automobilistico, con frattura di alcune vertebre, i cui postumi si perpetuano fino ad oggi.

foto di Fabrizio Radaelli


Dispiace vederlo claudicante sorreggersi con un bastone per camminare, lui sempre così vitale e sprizzante energia. Ci dice mentre ci accoglie nel salotto di casa: Sono le conseguenze di quel benedetto incidente di tanti anni fa che tornano a farsi vive. Ho davvero vissuto tutta l'esperienza di morte e questa è un'esperienza che fa maturare molto, che fa riflettere molto, sul valore e senso della vita, nell'intimo di noi stessi. Certamente, ma bisogna anche essere predisposti ad una tale riflessione. E Lei è certo un carattere fondamentalmente curioso ed eclettico.

Sì , è vero, e non a caso l'associazione che ho contribuito a fondare si richiama all'idea della ricerca. Una ricerca aperta, a tutto campo, laica nel significato più nobile di questo termine, non certo nel senso di antireligiosa. Ho sempre avuto grande amore e stima per due grandi pensatori, Franco Fornari e Norberto Bobbio, che hanno voluto in campi differenti indagare la ragione umana, le ragioni della cultura e l'analisi dei sistemi sociali. Uno nel campo della psicoanalisi, l'altro della politica, ma con una stessa metodologia.

Una ricerca interdisciplinare dunque?

Sì, necessariamente. Capire l'uomo nel suo essere sociale, partire da ciò che ci circonda - l'enorme sviluppo della tecnologia - per conoscere l'uomo nel suo pensiero profondo e nel suo comportamento.

Temi impegnativi, senza dubbio. Ma Lei, pugliese di origini, come è arrivato a Monza?

Ho viaggiato molto nella mia vita. Quando lo stabilimento IBM si trasferì a Vimercate decisi di vivere a Monza, più che altro per garantire al meglio il futuro scolastico delle mie figlie. E così mi sono radicato qui, in una città che prometteva molto a chi veniva da fuori.

Ci parli della nascita del CCR, considerato da molti una Sua creatura.

No, non c'ero solo io. In realtà eravamo in qualche decina, direi almeno una trentina di professionisti provenienti da esperienze molto diverse e da diverse aree culturali, ma accomunati dal desiderio di chiarirci le idee sui tanti perché della cultura e anche di fare qualcosa in città.

Ci faccia qualche nome.

Beh, non vorrei dimenticarne qualcuno. Comunque ho ben presenti Sergio Premoli, Vittorio De Matteis, Giuseppe Meroni, Claudio Cereda, Michele Faglia, Giordano Genghini, Piero Malvezzi, Nick Albanese, Bruno Di Tommaso, Ettore Sala. Ma l'elenco completo sarebbe davvero lungo. Il tentativo era quello di riunire in un progetto le migliori teste della città.

E come procedeste?

Anzitutto con una lunga serie di riunioni e incontri tra di noi. Volevamo ben chiarirci cosa intendevamo per “cultura” e come avremmo dovuto procedere. Ci definivamo “centro culturale” e dunque dovevamo anzitutto capire di cosa parlavamo e quale ruolo dovesse assumere la “cultura” per incidere sul processo di sviluppo in una società democratica: ricerca, elaborazione, formazione, opinione pubblica, stimolo alle istituzioni e non movimento.

E poi?

Poi cominciammo a realizzare iniziative pubbliche. Vede questa pubblicazione? L'abbiamo edita l'anno scorso per i vent'anni di attività del centro e raccoglie tutto quello che abbiamo fatto. E sono tante cose. (sfoglia la pubblicazione) Guardi qua, nel 1981 un solo breve ciclo di incontri sulla problematiche della coppia nel mese di ottobre, poi l'anno successivo l'attività è durata da aprile a ottobre, l'anno dopo ancora da febbraio a novembre, e nel 1984 il calendario copre già tutti e dodici i mesi. E che relatori! Appena nati già ospitavamo Bobbio e Fornari, Padre Turoldo e Carlo Sini.

Ma non c'era un filo conduttore unico?

Sì, le ho già detto: la ricerca, la cultura intera dell'uomo e il suo comportamento nella società. Questo era ed è ancora oggi l'unico nostro filo conduttore. Ma è talmente vasto che potevamo ospitare iniziative che trattavano di psicoanalisi o di poesia, di urbanistica o di arte contemporanea, di musica o di letteratura, di politica o di trasporti in Brianza. Non c'è alcuna contraddizione.

Ma come riuscite a reggere a questo sforzo organizzativo. In fondo siete un'associazione di volontariato.

Beh, il piccolo trucco è stato suddividerci al nostro interno in una decina di sottogruppi, ognuno dei quali segue un argomento particolare in autonomia dagli altri. E l'intero centro funge da sintesi dei singoli percorsi. Conoscendo le motivazioni umane la nostra caratteristica è l'accoglienza e la promozione e gestione della partecipazione.

E i soci?

Vede questo grafico? Indica la nostra crescita negli anni. Dai poco meno di 200 del 1982 agli oltre 1000 di dieci anni dopo. Anche se oggi conosciamo un riflusso nel numero dei soci effettivi, continuiamo ad avere un bacino di ascolto di un vasto numero di persone provenienti anche dai comuni del circondario. E attualmente abbiamo sempre più di un'iniziativa al mese, raggiungeremo almeno la trentina-quarantina l'anno. Spesso siamo riusciti a invitare a Monza relatori di livello nazionale, fra i primi nomi della cultura italiana. Oltre a quelli che ho citato pensi a Giulio Giorello, ad Alberto Martinelli, a Michele Salvati, a Salvatore Veca, a Vittorino Andreolli, a Sivio Garattini , a Giancarlo Bosetti, a Umberto Galimberti, a Vittorio Possenti.
E abbiamo anche organizzato incontri di formazione per i soci e stampato una decina di pubblicazioni, molte sul tema della poesia.

Torniamo un momento a Lei. Diceva di aver scelto Monza sia per problemi familiari che per l'attrattiva che la città esercitava su di Lei.

Sì, Monza offriva un buon livello di studi per le mie figlie. Ma era anche una città che mi attirava. Quando ho dovuto scegliere dove abitare l'ho riconosciuta come vera città, a differenza dei comuni dell'hinterland milanese che erano solo dei grossi paesoni.

E che giudizio né dà oggi, dopo quasi quarant'anni di vita qui?

Credo che Monza non sia all'altezza di ciò che potrebbe essere. E questo soprattutto da un punto di vista culturale. Pensi solo alla carenza di strutture universitarie e di ricerca avanzata. E poi Monza non ha avuto una propria strategia di sviluppo: se vuole essere punto di riferimento per la Brianza – magari costituendosi in provincia – deve assolutamente esserlo da un punto di vista culturale, di cultura politica, filosofica e sociale. Credo anche che questa carenza si giochi anche dal punto di vista di una vera e radicata cultura politica e democratica: abbiamo ancora enorme bisogno di sviluppare e promuovere una vera partecipazione popolare. Insomma, sono tante le cose su cui lavorare, nel breve e nel lungo periodo.

Ma allora sta dicendo che si è pentito di averla scelta come città, di esserci venuto ad abitare.

No, assolutamente no, perché credo fermamente che, anche se sono tante le cose da fare, tante siano anche le eccezionali risorse di cui la città dispone. Monza potrebbe rinascere, se scegliesse di accorgersi davvero dei suoi attuali limiti.

Carlo Vittone


in su pagina precedente

 7 giugno 2003