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MONZESI
Nando Nusdeo
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Nando Nusdeo    Nato a Monza nel 1938, sposalo con due figli. Dopo aver conseguito un diploma di scuola professionale, comincia giovanissimo a lavorare alla C.G.S. di Monza. Si licenzia e per alcuni anni svolge attività di guida alpina aL Pian dei Resinelli. In seguito diventa rappresentante di articoli sportiti, professione che in parte svolge tuttora. Inizia prestissimo l'attività alpinistica. A quindici anni comincia ad arrampicare con i "Pell e Oss" monzesi e nel 1961 diventa accademico del CAI. Tra le molte vie percorse in quegli anni vanno ricordate: la via Bonatti sul Grand Capucin, la parete nord delle Grandes Jorasses (sperone Walker), le pareti nord delle cime di Lavaredo (via Comici e la via Cassin), la parete ovest del Dru in prima ripetizione italiana. Si dedica poi a spedizioni alpinistiche in tutto il mondo: nel 1962 alle Torri del Paine in Patagonia dove conquista la Torre Sud dedicandola al sacerdote ed esploratore italiano Alberto Maria De Agostini, nel 1965 alla Cordillera Blanca (Aguya Nevada), nel 1968 in Afghanistan per una spedizione italo-polacca sul Lunko occidentale, nel 1969 all'Alpa Mayo ancora in Cordillera Blanca. Dopo il 1968 partecipa ad altre spedizioni in Groenlandia, Bolivia, Alaska. Ancora nel 2000, a 62 anni, scala l'Amadablan (6854 m). Per il salvataggio di due alpinisti inglesi sulla parete nord dell'Eiger è stato insignito dell'Ordine del Cardo. E' membro del direttivo dei "Pell e Oss" di Monza.

foto di Fabrizio Radaelli


Con un fisico ancora ben asciutto e potente e un volto che ispira un'immediata simpatia, tipica di chi ha frequentato a lungo la montagna, si sente orgoglioso di trovarsi a rappresentare la prestigiosa scuola alpinistica monzese, che un tempo era ai primi posti sia in campo nazionale che internazionale.

Sì, era davvero così e mi ricordo un bell'aneddoto su questo. Era il 1976 ed ero partito con alcuni amici per una spedizione in Groenlandia, terra che non ha montagne altissime ma tutte molto belle e spesso quasi sconosciute. Non avevamo intenzione di fare chissaché, era del semplice turismo alpinistico. Giunti là, incontrammo un gruppo di scalatori inglesi, con l'aria di gente che andava forte. Facemmo conoscenza, ma quando seppero che eravamo italiani e soprattutto che venivamo da Monza, cominciarono a guardarci un po' male e a essere un po' scortesi con noi. Conoscevano di fama i "monzesi" fino in Inghilterra e avevano il timore che volessimo "rubare" loro la conquista di una vetta a cui tenevano molto. Ci volle un po' per chiarire l'equivoco.

Ma come è nata questa "scuola monzese" dell'alpinismo italiano?

Beh, già prima della guerra c'erano stati alpinisti che avevano fatto vie molto dure, Mosi e Colnaghi primi tra tutti. Poi nel 1946, in pieno dopoguerra, si forma un gruppetto di giovanissimi che comincia ad arrampicare fortissimo. C'erano Bonatti, Oggioni, Aiazzi ed altri ancora. E' noto che poi si chiamarono i "Pell e Oss" ma all'inizio quello fu solo un soprannome che qualcuno diede loro perché erano magrissimi e un po' arruffati.

Ha mai arrampicato con Bonatti?

Mi ricordo una "cresta Segantini" in notturna nel 1954, c'era anche Walter ma io ero legato con un altro compagno. Veda, tra me e Walter ci sono quasi dieci anni di differenza d'età. Io appartengo ad una generazione successiva e quando ho cominciato ad arrampicare su vie impegnative lui era già andato via da Monza.

E come si è avvicinato alla montagna?

Erano gli anni del dopoguerra e della ricostruzione. Lussi o grandi divertimenti non ce n'erano. Da ragazzino andavo all'oratorio degli Artigianelli e lì si organizzavano le prime gite in montagna. Si prendeva il treno, oppure, per risparmiare, la bicicletta e si andava sopra Lecco, ai Resinelli. E si cominciava ad arrampicare sul "Nibbio", un grosso sperone roccioso che domina la valle. Le Grigne erano la nostra
grande palestra. Poi quella che era una passione è diventata una scelta di vita, ho fatto la guida e poi il rappresentante di articoli sportivi, soprattutto di prodotti per la montagna. Era un lavoro indipendente che mi permetteva di gestirmi il tempo e anche di prendermi lunghe ferie per partire con le spedizioni.

Già, le tante spedizioni nel mondo. Ma come riuscivate a pagarvele?

Eh sì, le spedizioni costavano molto, ma trovavamo sempre il modo di finanziarcele con mille espedienti. Una volta, per esempio, facemmo fare 5000 cartoline con raffigurata la montagna che avevamo scalato in Sudamerica e l'annullo filatelico delle poste cilene. Le mettemmo in vendita tornati in Italia. Andarono a ruba e così ci coprirono i costi.
Ingegnoso. Ma gli sponsor?No, veri e propri sponsor in senso moderno a quell'epoca non si trovavano. Diciamo che molte ditte specializzate ci conoscevano e ci davano i loro materiali. Poi magari la Simmenthal di Monza o la Vismara di Casatenovo ci fornivano dei prodotti alimentari. Gianvittorio Fossati Bellani, noto imprenditore e grande appassionato di montagna, era il nostro ambasciatore nel mondo degli industriali.
Qualche volta anche lo stesso Comune di Monza ci ha aiutato economicamente con dei contributi. Ma il nostro restava sempre un alpinismo "operaio".

Alpinismo operaio?

Si, fra tutti noi non giravano molti soldi e questo si faceva sentire rispetto ai materiali, alle attrezzature, perfino ai mezzi di trasporto. Quando andavamo sul Bianco si partiva col treno, si arrivava a Courmayer dopo ore e ore di viaggio e si saliva a piedi fino all'attacco della parete. Oggi uno può andarci in poco tempo in automobile e magari usare l'elicottero per arrivare dove vuole iniziare la scalata. Ma "operaio" anche perché molti di noi erano effettivamente operai e questo ha avuto anche qualche conseguenza negativa.

In che senso?

Beh, mentre la tradizione alpinistica di altre città, come per esempio Torino, vedeva la partecipazione di molti studenti, da noi non c'era quasi nessuno studente o comunque persone abituate a scrivere. E così si sono perse molte testimonianze e bisognerebbe impiegare molto tempo a ricostruirle. Nel 1996, per il cinquantenario della nascita dei "Peli e Oss" avevamo pensato a un libro che raccontasse la nostra storia, ma, proprio per quello che ho detto, il progetto si è per ora arenato.

E' un peccato, provate a fare uno sforzo.

Sì, è un'idea che vorremmo riprendere, anche perché molti materiali si possono trovare sulla stampa locale, soprattutto sul "Cittadino", e sulle pubblicazioni del CAI.

Quanti sono oggi i "Pell e Oss" di Monza? Continua un'attività alpinistica?

Siamo circa 200 soci e abbiamo una sede in Via Boito. L'attività alpinistica prosegue e oltre ai soci più anziani ci sono alcuni giovani interessanti. Ma abbiamo anche un'attività sociale più ampia, che comprende anche lo sci da fondo e l'escursionismo.

E sull'alpinismo di oggi, con tutte le polemiche che spesso nascono a proposito?

No, non mi scandalizzano le polemiche sui materiali o su forme d'alpinismo che alcuni considerano "profane", come il free-climbing o l'alpinismo estremo. I tempi sono cambiati ed è giusto che si facciano cose nuove, anche perché, per quanto riguarda l'alpinismo tradizionale, si è fatto praticamente tutto e quindi occorreva trovare nuove strade.

Lei ama sempre fotografare i posti in cui è stato. Il paesaggio più bello, tra i tanti che ha visto?

Forse le montagne dell'Hoggar, in pieno Sahara. Quando si arriva in cima e si vede il mare di sabbia infinito. Sembra neve, ma si è in mezzo al deserto.

Carlo Vittone


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 24 maggio 2003