prima pagina pagina precedente


MONZESI
Enrica Galbiati
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Enrica Galbiati    Nata a Monza nel 1930, nubile. Dopo gli studi al liceo Zucchi, si laurea in Matematica e Fisica presso l'Università Statale di Milano. Già da studentessa comincia ad insegnare in una scuola serale e d'avviamento professionale, poi vince il concorso di stato ed entra in ruolo prima alla scuola media Zucchi e in seguito al liceo scientifico Frisi. Alla fine degli anni '70 diventa preside del liceo classico Zucchi, incarico che ricopre ininterrottamente per circa vent'anni fino al pensionamento nel 1998. Nello stesso anno è chiamata in qualità di tecnico a svolgere il ruolo di Assessore all'Istruzione e alle Biblioteche nella giunta del sindaco Roberto Colombo e resterà in tale carica fino al giugno 2002.

foto di Daniele Rossi


Generazioni di studenti monzesi l'hanno conosciuta, o come insegnante o come preside. Poi, cessata la carriera scolastica, la prosegue idealmente con un'esperienza di amministratrice pubblica nel settore dell'istruzione che lei stessa giudica interessante ma anche logorante. Circa cinquanta anni di lavoro e di impegno fanno di lei una sorta di “memoria storica” della scuola monzese.

Signorina Galbiati, partiamo dall'inizio, da quando Lei sedeva nei banchi. Come ricorda la scuola di Monza nella Sua gioventù?

Ricordo molto bene gli anni della guerra, quando ero liceale allo Zucchi. Avevo come professoressa di lettere Angela Maria Amirante, che poi ritroverò come mia preside quando io stessa divenni insegnante al liceo Frisi. La Amirante era un personaggio eccezionale. Era di famiglia ebrea e in casa sua nascondeva la professoressa Levi, anch'ella ebrea e forse ricercata. E poi era solita non consegnare al nostro preside, fascista, i compiti di italiano ritenuti “pericolosi” per l'ortodossia del regime. Noi studenti intuivamo qualcosa delle ragioni di quel suo atteggiamento, anche se non sapevamo di preciso nulla. Quando suonava l'allarme per i bombardamenti scappavamo nelle cantine del palazzo, in quella che oggi è la Galleria Civica, ma che all'epoca era appunto solo una cantina col pavimento in terra battuta. E lì, con altri docenti, avremmo potuto stare ore a far niente; non con la professoressa Amirante che continuava, in rifugio, a far lezione o a interrogare. E poi ricordo bene la mia classe, i miei compagni: ma sa che eravamo in 48 in una classe? E che riuscivamo comunque a fare lezione?

E poi l'esperienza di studentessa universitaria.

Sì, il mio primo anno d'università fu tragico. Avevo dei grandi maestri, i professori Ricci, Chisini, Polvani e altri ancora, ma, all'inizio, incontrai grandi difficoltà: per motivi vari, all'ottima preparazione ricevuta in campo umanistico, faceva riscontro un approccio lacunoso e discontinuo, proprio per le materie da me scelte, da sempre. In facoltà eravamo pochissime donne, forse 5 o 6 in tutto.

E già da studentessa cominciò ad insegnare?

Sì, fin da subito insegnare mi piacque molto. Mi piaceva molto il rapporto con gli alunni e anche quello con i colleghi. Spesso si instauravano contatti che procuravano un grande piacere intellettuale. Anche se non era una vita facilissima per una giovane alle prime armi. Vinto il concorso per il Liceo, fui assegnata per un anno ad Arona, sul lago Maggiore, un posto molto lontano e difficilmente raggiungibile sulle sconnesse strade d'allora. Ma non mi persi d'animo. Con la mia Fiat 500 partivo alle 4 del mattino con qualsiasi tempo e raggiungevo Arona. Il preside di quella scuola arrivò a darmi le chiavi della scuola di modo che potessi entrare se arrivavo troppo presto.

E poi un gradino ancora, l'esperienza di preside.

Per un preside la cosa più difficile è prendere in mano la parte più propriamente amministrativa dell'incarico. Qui conta soprattutto avere buoni collaboratori. E poi il ruolo gerarchico nei confronti degli insegnanti. Ricordo come mi innervosiva arrivare a scuola e scoprire quanti insegnanti erano assenti o in ritardo. Io credo che un insegnante debba dare l'esempio ai suoi studenti anche dal punto di vista del comportamento. Come faccio a rimproverare uno studente perché fa troppe assenze o arriva sempre in ritardo se poi io stesso mi comporto così? Un singolo ritardo lo si può tollerare, ma quando diventano continui e ripetuti bisogna intervenire.

Già, l'hanno chiamata la “preside di ferro”.

Oh, non lo prendo certo come un insulto. Io sono fortemente legata ad un modello di serietà e di disciplina che mi sono formato nella mia educazione giovanile e dal quale non mi sono mai separata perché l'ho sempre ritenuto più che valido nel corso di molti anni.

Non pensa che certi modelli siano tramontati?

No, lo ripeto, certi comportamenti restano validi in ogni tempo. E poi, veda, se certi miei atteggiamenti considerati “rigidi” li avessi tenuti con uno e non con un altro, se fossi stata accusata di favoritismo nei confronti di qualcuno, allora avrei giustificato certe critiche. Ma io mi sono sempre posta in maniera assolutamente paritaria con tutti nella difesa di quei princìpi. E poi sa una cosa? A distanza di tanti anni ho scoperto che sono rimasta in ottimi rapporti con tutti i miei ex colleghi e anche con tanti miei ex studenti che ancora oggi mi capita di incontrare in giro per Monza. Magari all'epoca mi detestavano (sorride), oggi mi fermano e mi salutano con affetto. Io li ringrazio e li saluto, ma sono decine e decine e non sempre ricordo il nome di tutti…

E poi l'ultima e più recente esperienza, quella di assessore.

Ah, quello non fu certo un mio desiderio. Mi proposero di farlo e dovettero anche insistere perché accettassi. Di quell'esperienza la cosa più bella era il contatto con gli uffici, tutti popolati di persone squisite e disponibili. Per me è stato molto pesante gestire quell'incarico. Dovevo imparare tante cose nuove per me e farlo in fretta . E anche lo stress fisico era notevole. Ma lo sa che non ho perso una sola seduta di consiglio comunale in quattro anni, anche se teoricamente avrei potuto farne a meno? E alle volte finivano a tarda ora nella notte. Ma ritenevo giusto essere presente e l'ho sempre fatto, sempre al mio posto per tutte le sedute.

E oggi che si ritrova finalmente “disoccupata”?

No, non mi sento “disoccupata”, cose da fare ne ho sempre tante. Anche se vorrei un po' riposarmi davvero, desidero anche riprendere la mia materia e i miei studi. In questo periodo mi sto guardando i nuovi libri di testo per la scuola, alcuni mi sembrano validi, altri no davvero.

E i Suoi tanti nipoti e pronipoti?

Beh, a loro ogni tanto mi capita di dare qualche consiglio quando me lo chiedono. Ma in genere sono capaci di cavarsela da soli. Un po' di tempo fa mi ha fatto molto piacere vedere la pagella della figlia di mia nipote: frequenta il liceo scientifico Frisi e ha ottimi voti in tutte le materie. Soprattutto in matematica e fisica!

Generazioni di studenti monzesi l'hanno conosciuta, o come insegnante o come preside. Poi, cessata la carriera scolastica, la prosegue idealmente con un'esperienza di amministratrice pubblica nel settore dell'istruzione che lei stessa giudica interessante ma anche logorante. Circa cinquanta anni di lavoro e di impegno fanno di lei una sorta di “memoria storica” della scuola monzese.

Signorina Galbiati, partiamo dall'inizio, da quando Lei sedeva nei banchi. Come ricorda la scuola di Monza nella Sua gioventù?

Ricordo molto bene gli anni della guerra, quando ero liceale allo Zucchi. Avevo come professoressa di lettere Angela Maria Amirante, che poi ritroverò come mia preside quando io stessa divenni insegnante al liceo Frisi. La Amirante era un personaggio eccezionale. Era di famiglia ebrea e in casa sua nascondeva la professoressa Levi, anch'ella ebrea e forse ricercata. E poi era solita non consegnare al nostro preside, fascista, i compiti di italiano ritenuti “pericolosi” per l'ortodossia del regime. Noi studenti intuivamo qualcosa delle ragioni di quel suo atteggiamento, anche se non sapevamo di preciso nulla. Quando suonava l'allarme per i bombardamenti scappavamo nelle cantine del palazzo, in quella che oggi è la Galleria Civica, ma che all'epoca era appunto solo una cantina col pavimento in terra battuta. E lì, con altri docenti, avremmo potuto stare ore a far niente; non con la professoressa Amirante che continuava, in rifugio, a far lezione o a interrogare. E poi ricordo bene la mia classe, i miei compagni: ma sa che eravamo in 48 in una classe? E che riuscivamo comunque a fare lezione?

E poi l'esperienza di studentessa universitaria.

Sì, il mio primo anno d'università fu tragico. Avevo dei grandi maestri, i professori Ricci, Chisini, Polvani e altri ancora, ma, all'inizio, incontrai grandi difficoltà: per motivi vari, all'ottima preparazione ricevuta in campo umanistico, faceva riscontro un approccio lacunoso e discontinuo, proprio per le materie da me scelte, da sempre. In facoltà eravamo pochissime donne, forse 5 o 6 in tutto.

E già da studentessa cominciò ad insegnare?

Sì, fin da subito insegnare mi piacque molto. Mi piaceva molto il rapporto con gli alunni e anche quello con i colleghi. Spesso si instauravano contatti che procuravano un grande piacere intellettuale. Anche se non era una vita facilissima per una giovane alle prime armi. Vinto il concorso per il Liceo, fui assegnata per un anno ad Arona, sul lago Maggiore, un posto molto lontano e difficilmente raggiungibile sulle sconnesse strade d'allora. Ma non mi persi d'animo. Con la mia Fiat 500 partivo alle 4 del mattino con qualsiasi tempo e raggiungevo Arona. Il preside di quella scuola arrivò a darmi le chiavi della scuola di modo che potessi entrare se arrivavo troppo presto.

E poi un gradino ancora, l'esperienza di preside.

Per un preside la cosa più difficile è prendere in mano la parte più propriamente amministrativa dell'incarico. Qui conta soprattutto avere buoni collaboratori. E poi il ruolo gerarchico nei confronti degli insegnanti. Ricordo come mi innervosiva arrivare a scuola e scoprire quanti insegnanti erano assenti o in ritardo. Io credo che un insegnante debba dare l'esempio ai suoi studenti anche dal punto di vista del comportamento. Come faccio a rimproverare uno studente perché fa troppe assenze o arriva sempre in ritardo se poi io stesso mi comporto così? Un singolo ritardo lo si può tollerare, ma quando diventano continui e ripetuti bisogna intervenire.

Già, l'hanno chiamata la “preside di ferro”.

Oh, non lo prendo certo come un insulto. Io sono fortemente legata ad un modello di serietà e di disciplina che mi sono formato nella mia educazione giovanile e dal quale non mi sono mai separata perché l'ho sempre ritenuto più che valido nel corso di molti anni.

Non pensa che certi modelli siano tramontati?

No, lo ripeto, certi comportamenti restano validi in ogni tempo. E poi, veda, se certi miei atteggiamenti considerati “rigidi” li avessi tenuti con uno e non con un altro, se fossi stata accusata di favoritismo nei confronti di qualcuno, allora avrei giustificato certe critiche. Ma io mi sono sempre posta in maniera assolutamente paritaria con tutti nella difesa di quei princìpi. E poi sa una cosa? A distanza di tanti anni ho scoperto che sono rimasta in ottimi rapporti con tutti i miei ex colleghi e anche con tanti miei ex studenti che ancora oggi mi capita di incontrare in giro per Monza. Magari all'epoca mi detestavano (sorride), oggi mi fermano e mi salutano con affetto. Io li ringrazio e li saluto, ma sono decine e decine e non sempre ricordo il nome di tutti…

E poi l'ultima e più recente esperienza, quella di assessore.

Ah, quello non fu certo un mio desiderio. Mi proposero di farlo e dovettero anche insistere perché accettassi. Di quell'esperienza la cosa più bella era il contatto con gli uffici, tutti popolati di persone squisite e disponibili. Per me è stato molto pesante gestire quell'incarico. Dovevo imparare tante cose nuove per me e farlo in fretta . E anche lo stress fisico era notevole. Ma lo sa che non ho perso una sola seduta di consiglio comunale in quattro anni, anche se teoricamente avrei potuto farne a meno? E alle volte finivano a tarda ora nella notte. Ma ritenevo giusto essere presente e l'ho sempre fatto, sempre al mio posto per tutte le sedute.

E oggi che si ritrova finalmente “disoccupata”?

No, non mi sento “disoccupata”, cose da fare ne ho sempre tante. Anche se vorrei un po' riposarmi davvero, desidero anche riprendere la mia materia e i miei studi. In questo periodo mi sto guardando i nuovi libri di testo per la scuola, alcuni mi sembrano validi, altri no davvero.

E i Suoi tanti nipoti e pronipoti?

Beh, a loro ogni tanto mi capita di dare qualche consiglio quando me lo chiedono. Ma in genere sono capaci di cavarsela da soli. Un po' di tempo fa mi ha fatto molto piacere vedere la pagella della figlia di mia nipote: frequenta il liceo scientifico Frisi e ha ottimi voti in tutte le materie. Soprattutto in matematica e fisica!

Carlo Vittone


in su pagina precedente

 12 aprile 2003