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Botero


INTERVISTA
Botero: L'arte si riprenda la fantasia
A colloquio col grande Fernando Botero, che riceve la cittadinanza italiana in Toscana. Le sue allegorie spropositate, il suo tocco esagerato e la sua Colombia malridotta.
di Pietro Del Soldà

MILANO - Il barocco della Nueva España, scriveva Octavio Paz, come un grido pietrificato concilia l'armonia classica e la sete d'assoluto dei romantici. Lo stesso diceva Italo Calvino, meditando sulla esplosiva cucina messicana in cui, dagli ombrosi conventi barocchi di Oaxaca, le monache sublimavano la loro repressa sensualità. A queste riflessioni ci riconducono le parole dell'artista colombiano più noto nel mondo, Fernando Botero, mentre ci racconta la nascita delle sue figure umane barocche ed obese. "Come un pittore astratto, mi lascio guidare dal colore che spontaneamente si espande sulla tela, sublimando poi questa esplosione nell'obesità dei miei ritratti".
Fernando Botero è in Italia per ricevere la cittadinanza onoraria di Pietrasanta, in Versilia, dove da trent'anni periodicamente ritorna a scolpire, "perché l'Italia" - dice - "è per me il paese della scultura, come la Francia è il paese dove dipingere".

Maestro Botero, sono dunque i colori a dar vita ai suoi personaggi dalle forme eccessive.
Quando comincio a dipingere so molto poco del quadro che farò.
Ho ben chiaro il tema centrale, ma non i colori che userò. Sono loro che dirigono la pittura. Io non faccio che applicarli sulla tela e loro mi suggeriscono i motivi, che io interpreto nei termini della realtà. Per questo ho bisogno di assoluta libertà nelle proporzioni.
Devo essere capace di includere forme piccole o grandi per seguire il colore alla maniera di un pittore astratto. Viviamo un tempo in cui, per l'arte, il linguaggio conta assai più della verità, ed io sacrifico la rappresentazione della realtà in nome della fantasia, del linguaggio dei colori.

Lei è un artista apolide. E'nativo di Medellin, Colombia, e mentre riceve la cittadinanza onoraria da un comune toscano, il Messico ospita, quasi fosse la sua patria, una grande esposizione sulla sua attività. Quanto ha influito l'arte messicana sulla sua formazione?
Molto, anzi moltissimo. Il mio amico Alvaro Mutis ha definito un atto di giustizia poetica che questa grande mostra si svolga in Messico. Tuttavia, in Messico arrivai come artista in parte già compiuto. Negli anni precedenti, all'inizio degli anni'50, vissi in Europa tre anni che furono determinanti. Soprattutto i due anni trascorsi a Firenze, dal'53 al'54, studiando l'arte dell'affresco dei grandi maestri toscani, si rivelarono decisivi per la mia maturazione artistica.

Lei dice che nelle sue opere sacrifica la realtà per seguire la fantasia. Tuttavia negli ultimi anni, a partire dal'97, ha dedicato numerose opere alla tragedia politica e sociale che sta vivendo il suo martoriato paese, la Colombia.
Io non credo nell'intellettuale o nell'artista impegnato, che con le sue opere vuol modificare la realtà politica. Penso che l'arte sia un'oasi, una sorgente di piacere, una via di fuga dai drammi sociali, dai conflitti in cui viviamo. Tuttavia, in questi ultimi anni, di fronte al dramma del mio paese dominato dalla violenza e dal terrore, ho sentito un obbligo morale di testimonianza che non ho saputo frenare. Così ho dedicato circa venticinque opere ai grandi problemi della Colombia di oggi, come il narcotraffico, la guerriglia o le bombe che insanguinano le città.

Due milioni di sfollati interni, 22 omicidi al giorni, il 70% dei sequestri di persona di tutto il mondo segnano oggi la Colombia. In uno dei suoi quadri 'politici', "Los esmeralderos", ritrae un gruppo di lavoratori colombiani, cercatori si smeraldi, sulle cui teste vola minaccioso un gruppo di corvi malauguranti. Raccontare oggi il popolo colombiano significa fare cronaca di una morte annunciata?
No, nonostante tutto io non perdo la speranza. Quel quadro nasce per testimoniare una realtà, quella dei cercatori di smeraldi e del traffico illegale di queste pietre, che in Colombia abbondano, perché da questi traffici hanno avuto origine molte attività illegali di oggi, tra cui il narcotraffico. Non perdo la speranza, anche se non mi stanco di ripetere che le mie opere non aspirano ingenuamente a cambiare la realtà, ma semplicemente, in questi quadri politici, a testimoniarla. Non posso comunque nascondere che qualcosa è mutato nella mia disposizione a dipingere e a scolpire. Se per lungo tempo creare è stato per me fonte di piacere, in questi anni ho sperimentato il dolore legato alla creazione di tali opere che raccontano la irrazionalità in cui viviamo.

Pietro Del Soldà
per gentile concessione di il Nuovo



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 8 settembre 2001