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INTERVISTA
Vittorio Dotti
Milanese, avvocato, ex capogruppo dei deputati di Forza Italia

"mi sono convinto - dopo un breve periodo di illusioni iniziali - che Berlusconi sia entrato in politica solo per difendere i propri interessi personali, sia quelli finanziari sia quelli giudiziari"
a cura di Sandro Invidia

 
Vittorio Dotti


Milanese, classe 1940, liceo Berchet, avvocato civilista, specializzato in diritto commerciale.
Conosce Berlusconi nel 1980 ed inizia la sua collaborazione professionale: prima Caltagirone, poi le reti televisive; finisce per lavorare quasi esclusivamente per Fininvest. A Milano; a Roma operava Previti.
Il suo impegno politico è praticamente iniziato con la scesa in campo di Berlusconi: eletto deputato per Forza Italia nel 1994 diviene presidente dei deputati di questo partito, vicepresidente della Camera e quindi capogruppo. Fa parte dei moderati del partito, le cosiddette colombe, assieme a Della Valle, Urbani ed altri, poi emarginati; in contrapposizione con i falchi, Previti in testa.
Il suo sodalizio con Berlusconi termina bruscamente nel 1996 a seguito del cosiddetto caso Ariosto: la sua compagna Stefania Ariosto accusa Berlusconi e Previti di corruzione dei giudici asserendo di essere stata testimone del passaggio materiale di una "mazzetta". Dotti, accusato di aver saputo e taciuto viene estromesso da tutti gli incarichi e non viene ricandidato.

Avvocato Dotti: come le sembra questa campagna elettorale?
È sicuramente una campagna elettorale strana, perché è fondata sul tentativo reciproco di delegittimazione dei candidati.
Trovo che soprattutto dalla parte di Berlusconi i toni usati siano inaccettabili, per la loro violenza e l'eccessiva personalizzazione dello scontro.
Da parte di Rutelli, è vero che si fanno delle critiche dirette a Berlusconi, ma sono delle critiche, a mio avviso, che riguardano quelle posizioni personali di Berlusconi che sono effettivamente rilevanti ai fini di una scelta dei cittadini. Se si parla dei processi che riguardano Berlusconi, non si può negare che questi processi esistano; se si parla della inchiesta dell'Economist e degli altri giornali stranieri e italiani sui fatti che formano l'oggetto di questi processi, anche questo non può essere considerato aprioristicamente come una demonizzazione, perché queste cose - intendo dire le inchieste, i processi, la perizia della KPMG - esistono.
Da accuse del genere ci si deve difendere nel merito, si deve rispondere con argomenti, mentre la replica che Berlusconi dà è una replica irosa, che mette in luce uno stato d'animo di particolare aggressività.
Entriamo per un attimo nel merito di almeno un processo. Io, ieri, sono rimasto molto colpito nel trovare, sul Corriere della Sera, questo titolo: "Corrompere i giudici non era reato" Si riferisce alla soluzione difensiva adottata dai legali di Berlusconi in merito al processo "Mondadori". Lei è un avvocato: mi può spiegare il senso di questa affermazione?
Quando si parla di notizie di carattere giudiziario, bisogna sempre mettere in conto che i giornalisti non sono dei giuristi, non sono degli avvocati, non sono dei giudici… Bisogna vedere se stanno riferendo esattamente quello che è stato detto o no. Da quello che ho capito io, leggendo l'articolo, gli avvocati delle difesa di Berlusconi sostengono che non sarebbe stato reato a quel tempo corrompere i giudici perché un reato specifico di corruzione in atti giudiziari è stato introdotto nelle nostra legge in epoca successiva. Mentre prima era previsto genericamente il reato di corruzione dei pubblici funzionari, dei pubblici dipendenti, di chi svolge una funzione pubblica. A mio giudizio, questa previsione generica comprende necessariamente anche la corruzione dei magistrati, anche se in un momento successivo il legislatore ha ridisegnato, inasprendo la sanzione penale, il reato specifico di corruzione in atti giudiziari.
Però, dire che prima non era reato mi sembra veramente una battuta.
Ma secondo lei, si può candidare alla guida di un Paese chi ha tanti procedimenti giudiziari pendenti?
Più che di possibilità, io parlerei di opportunità: non c'è nessun divieto per nessun cittadino di candidarsi, se non per coloro che sono in situazione di incompatibilità con le cariche, ma questi casi li stabilisce la legge in modo tassativo.
Qui occorre parlare di sensibilità e di rispetto verso le istituzioni; c'è chi non si candiderebbe o si dimetterebbe, se fosse stato già eletto, di fronte al sospetto di aver commesso anche una minima irregolarità; e c'è chi, invece, ritiene addirittura di potersi candidare alla guida del Paese pur essendo accusato dalla magistratura di reati gravissimi.
In materia non c'è un divieto, non c'è un filtro e, d'altra parte, questa può essere considerata una prova estrema di democrazia: se al popolo va bene ugualmente il candidato oggetto di scandali e di procedimenti giudiziari, il popolo ha il diritto di votarlo. È semmai un problema di sensibilità istituzionale e di livello morale di chi vota.
Parliamo di conflitto di interessi. Cos'è? Ai tempi in cui frequentava Berlusconi e Forza Italia, ha mai affrontato la questione?
Guardi, la posizione di Berlusconi è quella di negare che esista un conflitto di interessi.
Berlusconi sostiene questo, e lo ha anche detto recentemente: se lui, come capo del governo, promuove dei provvedimenti legislativi o di tipo governativo che vanno a vantaggio di tutti cittadini, e lui ne beneficia in quanto cittadino, questo non può essergli vietato.
A mio parere non è così che si può eludere l'argomento.
Conflitto di interessi c'è tutte le volte che un esponente della classe governativa che ha la possibilità di emanare provvedimenti legislativi o amministrativi può essere mosso a compiere questi atti di governo da un interesse che non è generale di tutti i cittadini ma suo particolare.
Ed è una situazione obiettiva, a monte. Se uno è titolare di molte aziende in molti campi economici e si candida a fare il presidente del consiglio o il ministro in settori nei quali potrebbe prendere provvedimenti che interessano direttamente i suoi campi d'azione, è evidente che sarà in situazione di conflitto di interessi.
Nel caso di Berlusconi, oltre a quelli assicurativo, finanziario, edilizio, editoriale, c'è soprattutto il campo della televisione. In un Paese come il nostro, in cui da anni esiste una sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittimo il possesso di tre reti, tutta la legislatura che volge al termine è passata senza che si sia riusciti ad approvare il progetto di risistemazione dell'assetto televisivo nazionale (il 1138, ndr), giacché una certa parte politica è riuscita a non fare mai avanzare questo progetto. Adesso arriviamo ad una nuova legislatura, in cui il nuovo presidente del consiglio potrebbe essere proprio colui che dalla regolamentazione televisiva sarebbe il primo danneggiato.
Tutto il mondo sta considerando questa situazione addirittura ridicola. In nessun paese civile si può verificare che un governante versi in una situazione di conflitto di interessi così palese.
Lei dice che per Berlusconi il conflitto di interessi non esiste. Quindi lei non crede che l'11 di maggio il Cavaliere comunicherà la vendita del gruppo Mediaset.
In ogni caso un conto è comunicarlo e un conto è farlo.
L'uomo è sicuramente molto intelligente e conosce alla perfezione le regole dei media. Lui potrebbe effettivamente dare questa botta finale che, probabilmente, convincerà molti tentennanti o molti potenziali astenuti della sua buona volontà di sanare questa anomalia. Che poi, dopo, questo avvenga realmente, ho i miei dubbi. Anche perché se qualche misura verrà presa, e se queste misure andranno nel senso del blind trust, allora non si risolverà praticamente niente.
Perché?
Perché il blind trust ha un senso quando il proprietario del patrimonio che viene conferito in trust non sa assolutamente in quali campi viene investito. Così non può influire sui propri interessi, non sapendo se i suoi gestori "ciechi" l'hanno investito nel petrolio, piuttosto che nell'editoria, o nell'agricoltura…
E per converso, i gestori non hanno nessun tipo di interesse ad incanalare la gestione in una maniera o nell'altra.
Qui, invece, non si tratta di somme di denaro, ma di un patrimonio che è già ben identificato: sono delle società che si sa benissimo in quale campo operano.
Qui l'unica vera soluzione è una vendita, ma una vendita vera, non a dei prestanome, non ai fratelli, ai figli o agli amici... Vendita che, tra l'altro, porterebbe nelle casse di Berlusconi delle cifre da capogiro. Non è che ne avrebbe un grande svantaggio.
Neanche una commissione di saggi potrebbe servire?
La commissione di saggi potrebbe essere incaricata di dire qual è l'unica soluzione possibile. E si arriverebbe ancora alla vendita!
Torniamo alla campagna elettorale. Angelo Panebianco, sul Corriere, sostiene che la discussione sui programmi, in campagna elettorale, è utile perché serve "a legare le mani" al futuro vincitore. Concorda con tale analisi?
Sicuramente, la mancanza per i cittadini della possibilità di rivolgere, attraverso gli organi di stampa, domande dirette ai candidati su punti precisi di programma, è una carenza gravissima di questa campagna elettorale. Si chiede alla gente il consenso senza dire il perché. Senza dire per quali ragioni, per quali obiettivi. Quindi si chiede alla gente di scommettere su delle persone; questo vale soprattutto nel caso di Berlusconi, che chiede il voto per sé perché è il più bravo di tutti, perché è il più ricco, perché è quello che più ha saputo fare nella vita, perché è un grande imprenditore… come se gli imprenditori fossero gli unici meritevoli di guidare una nazione. Come se De Gasperi, o Ge Gaulle, o Adenauer o Churchill fossero stati degli imprenditori… Comunque, la cosa peggiore rimane il fatto che i cittadini devono decidere sull'uno o sull'altro sulla base dell'influenza dei media o sulla base di chi è più bravo ad alzare la voce o a proporsi come un prodotto gradevole alla vista e all'udito, ma a scatola chiusa. Questa è una cosa assurda.
Una riforma della legge elettorale dovrebbe imporre un certo numero di confronti diretti, davanti al pubblico, a reti unificate e a cadenze precise, di modo che ci sia una progressione nella presentazione dei programmi.
Detto questo, rimane da ribadire un fatto: chi non spiega i propri programmi per non vincolarsi, probabilmente lo fa perché sa di non poterli mantenere. Già questo dovrebbe essere un motivo per non dargli il voto.
Nella versione più raffinata, questa reticenza diventa: "li diremo al momento opportuno"
Sì, ma se il momento opportuno viene dopo le elezioni…
Da cittadino, lei, su quali temi avrebbe voluto maggior chiarezza dai due schieramenti? E su quali argomenti avrebbe voluto "legare le mani" ai due schieramenti?
Sicuramente sui progetti di modifica costituzionale, perché sono la cosa che ritengo più pericolosa in caso di vittoria della Casa delle Libertà.
Troppe volte i suoi esponenti hanno proclamato l'intenzione di modificare la Costituzione - addirittura la parte prima della Costituzione - senza però mai precisare e dire in che cosa e come la vogliono cambiare.
Premetto che secondo me la parte prima dovrebbe essere immodificabile, perché racchiude i diritti fondamentali, le libertà individuali, di parola, di pensiero, di movimento, di associazione…
Allora, se si vuole andare ad incidere sulla parte prima, si dica, per favore, che cosa si vuole modificare! Perché non rassicurare i cittadini sul fatto che questa prima parte della Costituzione - gli articoli sulla libertà di stampa, sulla libertà di insegnamento, per fare degli esempi - non verrà modificata? Queste assicurazioni finora non sono venute!
Qualcuno teme che una vittoria del Centrodestra possa mettere in pericolo l'autonomia della magistratura.
Questo è proprio uno di quegli argomenti su cui i cittadini si aspetterebbero una presa di posizione ben precisa. Questo timore deriva non da fantasie, ma da dichiarazioni fatte da esponenti del Polo, specie durante il periodo infausto del tentativo di bicamerale per la modifica costituzionale. Lì sono emerse delle idee, tipo quella di porre il pubblico ministero alle dirette dipendenze dell'esecutivo, che porterebbero veramente alla fine dello stato di diritto, alla fine delle garanzie: vorrebbe dire che un pubblico ministero si muove solo su indicazioni del ministro della giustizia, ed il ministro della giustizia fa parte di un governo che è espressione di una certa politica, di una certa parte politica.
Figuriamoci cosa potrebbe succedere oggi se ministro della giustizia fosse uno che può chiamare il procuratore della repubblica di Milano o di qualsiasi altra città e dire: "no, tu questo non lo fai, questo lo fai, questo te lo dimentichi, questo fascicolo lo archivi e invece, guarda, persegui questo reato!" magari a carico di un avversario politico…
Un'altra idea emersa in quella sede è quella secondo la quale ogni anno il Parlamento dovrebbe decidere quali sono i reati a cui dare la precedenza: creando questa graduatoria la politica farebbe passare nel dimenticatoio delle ipotesi delittuose che, magari, stanno molto a cuore ad una parte politica e non all'altra.
Ancora: si vorrebbe abolire l'obbligo dell'azione penale, per cui i p.m. potrebbero decidere di non fare un'azione e farne un'altra, a carico magari dell'immigrato che ha rubato, mentre il corruttore che ha pagato tangenti per qualche "affaruccio" non viene perseguito…
Mi sembra chiaro che una magistratura indipendente è il presupposto della democrazia.
Così come mi sembra altrettanto chiaro che bisognerebbe favorire una depoliticizzazione della magistratura: su questo io sarei d'accordo.
La magistratura deve essere un arbitro veramente imparziale. Però, una volta assicurata l'imparzialità, deve perseguire tutti e non sottostare alle scelte di un parlamento, che è politico!
Lei ha rilasciato a Sette, qualche giorno fa, un'intervista in cui parlava anche dei suoi rapporti con l'altro avvocato del gruppo: Cesare Previti.
Oggi, sull'Unità, si riporta una frase del suo collega: "Ancora non si sa qual è la vera matrice del terrorismo, che cosa sono state la Resistenza, il comunismo nazionale e quello internazionale. Ma durerà poco: poi faremo piazza pulita" 22 dicembre 2000.
Riconosce Previti, in questa frase?
Beh, l'uomo, gli aspetti umani della persona che conosco si ritrovano agevolmente in queste parole. Previti, se vogliamo guardarlo con una lente benevola, è certamente un personaggio guascone, un capitan fracassa, uno dal pugno di ferro… questo è il tipo. Certo che se queste dichiarazioni, probabilmente estrapolate da un contesto più ampio, dicono esattamente quello che sembra, dobbiamo riconoscere che si tratta di affermazioni estremamente allarmanti. Sono dichiarazioni paragonabili a quelle che avrebbero potuto fare i colonnelli greci o Pinochet, quando ha preso il potere in Cile.
"Faremo piazza pulita" è come dire: facciamo pulizia; togliamo il marcio. E il marcio, nelle parole precedenti, riferite dall'Unità, riguarderebbe anche la Resistenza, tra l'altro assimilata al terrorismo.
Presa con tutte le dovute cautele, se fosse vera, se l'avesse pronunciata, una tale dichiarazione dovrebbe dare agli italiani materia su cui meditare molto al momento del voto.
Sempre nell'intervista a Sette, lei ricorda, dopo la rottura con Forza Italia, il suo avvicinamento politico a Dini e la reazione smodata dei tg di Mediaset: "mi sono ritirato perché altrimenti mi avrebbero distrutto"
Cos'è: ha temuto un trattamento simile a quello che poi sarebbe toccato a Montanelli?
Innanzitutto, prima di far paragoni fra me e Montanelli, teniamo conto di chi è Montanelli: Montanelli è un monumento per il giornalismo italiano e per la coscienza civile italiana.
Non si può pensare di distruggere Montanelli, mentre si potrebbe benissimo pensare di distruggere Dotti! Con la violenza, con il sarcasmo, con la denigrazione… Così come avevano iniziato a fare quella volta.
Io, accettando l'offerta, avevo emesso un comunicato stampa in cui dicevo che Dini (che era stato fino a poco prima il ministro degli esteri del governo Berlusconi) mi aveva offerto di entrare in un partito che era moderato, di centro, aggregato al Centrosinistra, garantendomi una posizione di indipendente, nella quale avrei potuto continuare a dire e a fare le stesse cose che facevo in Forza Italia, dove tenevo una posizione di centrista.
I solerti media della Fininvest scatenarono una specie di fuoco di sbarramento al quale io non ero disposto a sottostare per ragioni mie personali e familiari.
Se avessi tenuto duro sarei stato eletto perché il collegio che mi avevano offerto era un collegio buono: Moncalieri, dove ha vinto il candidato del Centrosinistra.
Ha rimpianti?
No
Facciamo un gioco: se lei oggi volesse convincere qualcuno a votare per Berlusconi, su quali aspetti umani e politici del leader punterebbe?
Una ragione per votare Berlusconi può essere la sua capacità di prevedere e ipotizzare soluzioni innovative e di agire velocemente, mettendole in pratica e riuscendo a cogliere gli obiettivi.
Per queste peculiarità lo considererei una risorsa per il Paese. Purché, però, non fosse lui a presiedere un governo. Potrebbe essere, ad esempio, un buon ministro dell'industria
Un motivo per non votarlo?
Il conflitto di interessi. Io mi sono convinto - dopo un breve periodo di illusioni iniziali - che Berlusconi sia entrato in politica solo per difendere i propri interessi personali, sia quelli finanziari sia quelli giudiziari.
Più in generale, non lo ritengo idoneo a gestire, captare, filtrare gli interessi e i bisogni di tutti gli italiani ma soltanto quelli di una certa parte, che è quella imprenditoriale. Non si pone il problema di come un governo dovrebbe rivolgersi ad una buona metà del Paese che ha bisogno di assistenza, di scuola, di sanità, di educazione. Se si vogliono tagliare le tasse vuol dire che si vogliono tagliare questi servizi e riservarli solo a chi ha i mezzi propri per provvedere.
Questo lo pone già al di fuori della nostra visione costituzionale, che è una visione sì liberale, ma liberale con uno sfondo sociale molto pronunciato.
Se Berlusconi domani la chiamasse al telefono e le proponesse un incontro pacificatore, lei ci andrebbe?
Sicuramente sì. E le spiego perché: perché io faccio una distinzione molto netta fra gli aspetti umani, privati e gli aspetti politici. Io non ho nessuna animosità, nessuna inimicizia personale nei confronti di Berlusconi, che ricordo, anzi, come una persona simpatica e alla quale, in definitiva, devo anche della gratitudine, perché ho molto lavorato per il suo gruppo.
Però, questo non mi impedirebbe di dirgli chiaramente in faccia che non lo ritengo idoneo a governare questo Paese: per il conflitto di interessi e per il suo scarso senso dello Stato. Del nostro Stato e della sua storia.


Sandro Invidia
sandro.invidia@arengario.net




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7 maggio 2001