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INQUINAMENTO
ARIA LETALE
Stretto rapporto fra ricoveri ospedalieri, decessi e inquinamento atmosferico
di Maria Luisa Clementi

Inquinamento

Un po' di monossido di carbonio, una spruzzata di ossidi d'azoto, una spolveratina di biossido di zolfo, ozono quanto basta, e polveri a volontà. E' la ricetta del cocktail di inquinanti atmosferici che va per la maggiore nelle città italiane. Volendo riderci sopra, lo si potrebbe battezzare Aria d'inferno, ma in realtà c'è poco da stare allegri.
La miscela di agenti nocivi che rende irrespirabile l'aria delle città della Penisola (e degli altri paesi industrializzati) ha effetti deleteri sulla salute dei cittadini. E' causa di malattie e di decessi evitabili e di fatto costituisce una questione di sanità pubblica destinata a farsi più pressante negli anni a venire.
L'ultima conferma dell'esistenza, ormai assodata, di un'associazione tra inquinamento dell'aria ed effetti dannosi per la salute umana in termini di mortalità e morbilità, è stata fornita in questi giorni dai risultati dello studio MISA, una metanalisi degli studi italiani sugli effetti acuti dell'inquinamento atmosferico rilevati in otto città italiane nel periodo 1990-1999.
L'indagine, finanziata dall'Associazione italiana di epidemiologia e dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica, è stata realizzata grazie all'impegno di un lungo elenco di istituzioni (ASL, ARPA, CNR, comuni, università) che hanno messo a disposizione le risorse umane e materiali indispensabili all'attivazione di un gruppo di lavoro formato da epidemiologi e statistici in ciascuna delle città coinvolte.
Secondo i risultati di MISA, a Torino, Milano, Verona, Ravenna, Bologna, Firenze, Roma e Palermo c'è una relazione statisticamente significativa tra la concentrazione di ciascuno degli inquinanti atmosferici studiati (SO2, NO2, CO, O3, PM10) e la mortalità giornaliera totale. La relazione permane anche quando si valuta la mortalità per le sole cause cardiorespiratorie. E se si esclude l'ozono, lo stesso vale per i ricoveri dovuti a malattie respiratorie e cardiache.
Per quantificare i decessi sono stati utilizzati i certificati di morte, mentre per i ricoveri si è fatto ricorso alle schede di dimissione ospedaliera. I dati ambientali e la valutazione dell'esposizione si basano invece sulla rilevazione (mediante centraline) dei valori giornalieri degli inquinanti, della temperatura e dell'umidità atmosferica. Dopo aver ottimizzato l'affidabilità, la completezza e l'omogeneità dei dati, i ricercatori hanno stimato che a ogni incremento di 10 microgrammi per metro cubo della concentrazione degli singoli inquinanti (1 milligrammo nel caso dell'ossido di carbonio) corrisponde un aumento della frequenza dei decessi e dei ricoveri oscillante tra l'1 e il 5 per cento.
Variazioni di questa entità, applicate a livello di popolazione, hanno un signioficato sanitario rilevante. Ecco un esempio: se a Roma muoiono in media 56 persone ogni giorno per cause naturali, e per ogni incremento unitario della concentrazione di PM10 (polveri aerodisperse) i decessi aumentano dell'1,3 per cento, significa che un incremento di 50 microgrammi di PM10 rispetto al livello di riferimento (previsto dalle normative europee sulla qualità dell'aria) fa morire almeno tre-quattro persone in più. E se ciò avviene per un solo inquinante, in una sola città, in un solo giorno, si fa presto a immaginare che cosa succede per tutti gli inquinanti, nel corso di un anno, sull'intero territorio nazionale. Grazie a interventi efficaci di riduzione degli agenti nocivi dispersi in atmosfera (leggasi diminuzione del traffico veicolare) le vite salvate potrebbero essere dell'ordine delle migliaia, mentre i ricoveri risparmiati e gli attacchi d'asma evitati in bambini e adulti sarebbero decine di migliaia. Cifre paragonabili a quelle stimate dallo studio sugli effetti dell'inquinamento a lungo termine pubblicati l'anno scorso dal Centro dell'OMS per la salute e l'ambiente di Roma, riferiti a Milano, Torino e alla capitale.
La metanalisi italiana mostra anche che gli effetti dell'aumento degli inquinanti non sono istantanei, ma si manifestano con un certo ritardo: per la mortalità le stime di rischio più alte si hanno uno o due giorni dopo il picco di emissione; per i ricoveri, invece, gli effetti più vistosi sono diluiti nei tre giorni successivi all'aumento degli inquinanti. Dallo studio emerge che le variazioni percentuali di mortalità sono più alte negli anziani e che gli effetti peggiori dell'inquinamento si verificano d'estate. Nei mesi caldi l'effetto deleterio delle polveri, per esempio, è più che triplicato, in parte a causa del fatto che si passa più tempo all'aria aperta e in parte perché in questo periodo dell'anno nelle città rimangono le persone più anziane e, quindi, più suscettibili. L'analisi dei dati rivela anche l'esistenza di un gradiente tra Nord e Sud del paese: le città del Centro e del Sud Italia subiscono effetti peggiori rispetto ai centri urbani settentrionali. Quest'ultima considerazione è in linea con quanto emerso da APHEA 2, una metanalisi assai simile allo studio MISA, condotta in 29 città europee, da cui emerge che le città dell'Europa meridionale (come Atene, Roma, Barcellona) hanno stime di rischio più alte rispetto ai capoluoghi del Nord.
Tutte le stime di rischio sfornate dall'indagine italiana risultano comunque più alte sia di quelle prodotte negli Stati Uniti (National Morbidity, Mortality and Air pollution Study, pubblicato nel 2000) sia di quelle prodotte in Europa (APHEA 2). E i ricercatori stanno lavorando a nuove ipotesi di studio per approfondire le ragioni di queste differenze.

Maria Luisa Clementi
per gentile concessione di Tempo Medico

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 11 luglio 2001