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Da Saint Vincent a Monza
di Giacomo Correale Santacroce


 

Se si dice Saint Vincent, cosa viene in mente ? Ovviamente, il Casinò.
Analogamente se si dice Monza, a cosa si pensa? Ovviamente, all'Autodromo.
Per questo, avendo trascorso una vacanza a Saint Vincent (senza mettere piede nel Casinò), vorrei raccontare brevemente la storia di questa cittadina perché, fatte le debite differenze, se ne può trarre qualche insegnamento.

Saint Vincent ha una risorsa straordinaria e fondamentale, che sfugge ai suoi abitanti forse perché la usano quotidianamente senza accorgersene: il clima, mite in ogni stagione. E questo, nonostante sia adagiata su un fianco della Val D'Aosta a soli 550 metri d'altezza, e disti solo mezz'ora dagli oltre 2000 metri di Cervinia. Fra Monte Bianco, Monte Rosa e Gran Paradiso, oltre che fra eccezionali monumenti romani e medievali sparsi nella valle, non c'è che da scegliere tra natura e cultura. Saint Vincent è anche una stazione termale.
Non a caso nei tempi andati è stata denominata “La riviera delle Alpi”, definizione che ancor oggi ricorre occasionalmente nelle promozioni turistiche, quasi distrattamente.
Fino alla seconda guerra mondiale era meta di un turismo molto ricco e selettivo. Dopo la guerra i tempi cambiarono, e quel tipo di turismo entrò in crisi. Qualcosa si doveva fare.
Ma nel cercarlo, non si tenne conto dell'identità e delle risorse del luogo. E si inventò il Casinò, il cui pubblico non era evidentemente molto interessato al clima e alle risorse paesaggistiche e culturali della Vallée.
Oggi questa scelta di mezzo secolo fa dimostra tutta la sua insensatezza. La città si trova a dover fare nuove scelte, per un cambiamento radicale, per una sopravvivenza non assistita. E il Casinò è il maggiore ostacolo a questo turnaround.
Fino ad alcuni anni fa il Casinò ha fatto registrare un buon attivo di bilancio. Ma con il passar del tempo questo attivo è servito sempre più a compensare le perdite del Grand Hotel Billia, svuotato dalla presenza delle ricche famiglie del passato. Oggi le sue suite sono in gran parte riservate, gratuitamente, alle “carte d'oro”, cioè ai maggiori clienti del Casinò.
Nel frattempo anche la massa dei clienti abituali del Casinò si è progressivamente ridotta, sia come numero che come risorse economiche (a Ferragosto gli ingressi sono stati circa tremila, un terzo rispetto a solo pochi anni fa). Tutto il complesso Casinò-Grand Hotel tende ad assorbire risorse, anziché a crearne.
Ma il problema maggiore sta nel fatto che la struttura occupa ormai circa seicento persone, quasi tutte residenti del comune, su 5 mila abitanti.
In breve: dal punto di vista del gioco d'azzardo, Saint Vincent non è diventata né potrà mai diventare una Las Vegas o una Montecarlo. Unica nota positiva è che, nonostante tutto, buona parte del turismo è ancora costituito da famiglie con bambini ed anziani che apprezzano il clima e le risorse ambientali e culturali della “Riviera delle Alpi”.
Capiranno gli amministratori locali e gli stessi cittadini i veri termini del problema, facendo un banale confronto tra i punti di forza e di debolezza della città?
Temo di no (“Il clima? Solo questo?”, così ha risposto un negoziante al mio apprezzamento della risorsa più importante del luogo). E' più probabile che, per scalfire il cemento della crisi, chiederanno un martello più grosso: potenziare il Casinò. E il muro resterà tale e quale.

Certo, la situazione di Monza con il suo Autodromo è di gran lunga migliore. Nonostante la notorietà internazionale, questo è rimasto una realtà ai margini, anche fisicamente, della città. E soprattutto, l'Autodromo conta meno di cinquanta addetti, mentre la città vive e prospera di vita propria.
Tuttavia il paragone reca un insegnamento: quando la notorietà non coincide con l'identità, rischia di essere più un danno che un vantaggio. Perché l'identità resta, vive e cresce, mentre la notorietà è una maschera fissa che imprigiona la realtà.

Giacomo Correale Santacroce


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  1 settembre 2007