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RACCONTO BREVE
Il destino e la destinazione
di Vittorio Bellini

Lunga la strada rettilinea che porta in città, lunga nell'ora di punta la colonna di auto in coda serrata che la serie di semafori arresta e libera e arresta...
Davanti, una utilitaria bianca come la mia, e dentro solo il giovane che la guida. Dopo ogni sosta riparte in ritardo esasperando la mia impazienza, alimentata dal timore sciocco che altri si immettano nel buco dalie vie laterali. Il fatto è che ad ogni sosta si distrae guardando a sinistra e allora mi accorgo che l'attenzione è a una giovane donna di là dalla strada: cammina ora rimanendo indietro ora anticipando nell'accompagnare il nostro discontinuo procedere. Anche a me ora viene di guardare, interessato solo tanto da placarmi appena l'impazienza, mi volgo a ritrovarla un po' indietro, ad accompagnarla un po' avanti.
Bella nella decisa camminata, capisco approvo la sua esitazionene di contro alla mia insofferenza di prima, il suo interesse: dopo alquante soste, ora è anche il mio. Già lo invidio, giovane e poi davanti nella fila: sempre più forte di me, in coda, invidiare chi mi precede, nel dubbio insensato che ne abbia il diritto. Oggi mi viene poi anche di pensare al Destino: che li ha fatti incontrare e li fa andare insieme, accompagnarsi al passo fianco a fianco e qualche metro d'asfalto. che li separa, un po' indietro un po' avanti quando avrebbero potuto essere altrove, lui già lontano nella strada, altrimenti meno frequentata e scorrevole. intanto cresce l'interesse e la osservo meglio: bella d'una giovane maturità, il portamento eretto e il passo deciso sulle belle gambe diritte e forti da sotto l'orlo della gonna tesa appena sopra il ginocchio, fino alla caviglia sottile sul tacco alto delle scarpe scollate. Cresce l'invidia insieme a certa altra impazienza per l'incerta conclusione, nell'estenuante indugiare della coda.
Il penultimo semaforo è tre macchine avanti, ancora una volta rosso, ma già intravvedo sul fianco il riflesso giallo preannuncio del liberatorio verde e mi scopro per la prima volta a non esserne sollevato. Insieme mi accorgo di un'altra luce che lampeggia sulla macchina rivale; segnala la volontà di svoltare a destra, l'ultima laterale prima della circonvallazione: un appuntamento, forse d'affari, ira ogni caso più forte del suo destino. Più forte, mi domando, si può, del Destino?
Al verde gira deciso senza voltarsi, come inconsapevole, già immemore, della rinuncia. Alla mia immotivata delusione subentra ora un senso di trionfo: faccio mio il suo destino, fin dove ancora non so, non so come andrà a finire all'ultimo semaforo. Davanti al rosso e sotto il cartello perentorio di svolta a destra nel senso obbligato sull'anello delle antiche mura, mi volgo ancora una volta come per il commiato, dubbioso di ritrovarla, quando improvvisamente mi sfila sotto gli occhi davanti al parabrezza, attua, versa sulle strisce che di 1à il giallo è albine e incombe il sospirato colore. Così vicina anche più bella,' le sorrido con un cenno del capo: che passi senza timore, sari, il mio primo indugio. La seguo sorridendo, non so più se a lei o a me, al mio ancora incerto ereditato destino. Quando svolto me la ritrovo proprio a fianco, che cammina di là. dal vetro e allungo il braccio ad abbassarlo: affacciato a salutare, incurante del sollecito sonoro di chi mi segue.
Due settimane dopo erano già quindici giorni che ci davamo del tu, quattordici che ci davamo appuntamento all'incrocio sotto il semaforo galeotto. Camminavamo tenendoci per mano lungo il marciamiede, come indifferenti al fiume di macchine che ci passava a fianco. Ma io, se non a lei, pensavo che tra quelli là dentro c'era forse qualcuno in cerca del suo destino, invidioso di noi: ancora un modo, in fondo, per pensare a lei.

Vittorio Bellini


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  14 dicembre 2001