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Santa Cecilia intervista Johann Sebastian Bach
Un racconto di Andrea Frova


infinito

Un giorno Santa Cecilia, patrona della musica, in una delle sue rare uscite dalla sala di musica che il buon Dio le aveva affidato in custodia, prese ad aggirarsi per i giardini del Cielo, ammirando come la natura avesse esibisse tanti bei fiori simili a strumenti musicali: campanule, canne, fiori di loto come membrane di tamburo, liane mosse dal vento che emettevano suoni come corde di violino.
Nel suo pensieroso peregrinare, le accadde di imbattersi in Johann Sebastian Bach, il grande musicista del Settecento che ha informato, con il suo genio creativo, la musica di tutti i secoli a seguire. Anche Bach difficilmente si staccava dal grande organo che il Padreterno gli aveva messo a disposizione, quindi incontrarlo a spasso era un fatto rarissimo. Cecilia ebbe un autentico tuffo al cuore. Pensò: quale migliore occasione per sondare il suo pensiero sugli sviluppi di tanta musica del Novecento, quella musica dissennata che tanto dolore suscitava nell'animo della Santa? Era innegabile, e a Cecilia ciò appariva ben chiaro anche guardando da lassù, che la gran parte dei compositori del Novecento aveva seminato per strada il pubblico degli appassionati della musica colta. Come non accorgersi che quando nei concerti erano in programma composizioni di Schoenberg o dei suoi discepoli Berg e Webern, come di tanti altri "innovatori" che da loro avevano tratto esempio, le sale da concerto restavano semivuote e i pochi applausi erano dovuti per lo più alla cortesia dei presenti o al loro timore di apparire degli ottusi tradizionalisti? Santa Cecilia aveva le sue opinioni, naturalmente, ma il parere di Bach era determinante. Preso coraggio, la Santa si rivolse al venerabile vecchio e, rammentatogli il proprio nome e rango, così lo interpellò.



Santa Cecilia



Johann Sebastian Bach
S. Cecilia: Vorrei chiederle, signor Bach, che cosa ne pensa delle innovazioni introdotte nella musica del Novecento dalle regole dodecafoniche inventate da Schoenberg e dalla sua scuola di Vienna.

Bach: Per carità, non me ne parli, è il mio cruccio più grave, e mi toglie molto del piacere di soggiornare quassù.

È quello che temevo. Ma perché, in due parole?
Perché hanno abbattuto tutti i pilastri sui quali chi mi ha preceduto o seguito, oltre a me stesso, aveva costruito la grandezza della musica occidentale. Hanno escluso la melodia, l'armonia, il ritmo, tutto ciò che consente l'espressione e suscita l'emozione… E in compenso hanno introdotto regole cervellotiche, come la non ripetitività delle note che, più ancora che atonalità, potremmo definire aberrante antitonalità. Se penso ai vertici raggiunti subito prima di loro da Brahms, da Mahler, da Richard Strauss…

Non era facile riuscire a distruggere questa millenaria e splendida costruzione in così breve tempo…
Bastava decidere che tutto ciò che fino a ieri era stato considerato bello - per il fatto di riflettere le aspettative e le capacità del nostro orecchio e del nostro cervello - era da buttare, anzi che il bello stesso era da buttare, perché contava soltanto il nuovo. È esattamente ciò che hanno fatto, parole loro, non mie.

Ma il nuovo può essere geniale…
E infatti c'è chi è riuscito a innovare salvaguardando il bello. Vuole dei nomi? Debussy, Stravinskij, Bartók, Shostakovich, Hindemith, Prokofieff, Gershwin, Janácek e pochi altri. Noti bene, tutti della prima metà del ventesimo secolo.

Lei ritiene però che siano molti di più quelli che hanno trovato nell'innovazione un comodo surrogato per il talento…
Certo, e non escludo dal giudizio chi ha addirittura creduto di ispirarsi a me, come Anton Webern, che si è votato al contrappunto. Ma io il contrappunto lo costruivo nell'ambito dell'armonia tonale, in modo che conservasse le virtù precipue di ciò che è musica; e davo al tempo il ruolo portante che gli spetta. Webern invece lo ha collocato nel vuoto più assoluto, vuoto di tempo e vuoto di spazio… La sua musica mi fa raccapricciare non meno di quella degli altri della banda. Mi riporta alla mente le parole del grande poeta Thomas Eliot: "Figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto senza moto". Per sua fortuna, è improbabile che da queste parti quel Webern mi capiti a tiro…

Vedo che lei ha ancora la capacità di indignarsi, come quand'era giovane.
Sì, come quella volta che per difendere mia cugina Maria Barbara dalle avance di uno studente per le vie di Arnstadt estrassi la spada e per poco non ci rimisi un paio delle mie indispensabili dita.

Ma la vita le ha riservato tante amarezze e delusioni, dovrebbe aver imparato a tollerare.
Invero poche persone hanno incontrato tante avversità quanto me. A cominciare dalla morte della prima moglie, la cugina Maria Barbara appunto, che avevo dovuto sposare perché mi avevano scoperto ad amoreggiarci in Chiesa. Sa… nell'intimità della tribuna dell'organo, durante le prove… Però l'adoravo e la sua scomparsa fu una terribile tragedia. Senza contare che mi lasciò con quattro marmocchi sulle spalle.

È per questo, immagino, che si risposò subito con Anna Magdalena…
Naturalmente, e mi arrivarono addosso altri sei figli, di cui uno handicappato, senza contare i tanti deceduti prematuramente.

Malgrado la mia limitata esperienza in proposito, credo di capire che lei non disdegnasse i piaceri dell'alcova. O sbaglio?
Le mie grandi passioni sono sempre state la musica e la bellezza muliebre; e magari un po' anche il denaro, forse perché mi trovavo spesso completamente al verde, con tante bocche da sfamare. Eppure mi facevo in quattro per arrotondare lo stipendio. A Lipsia, dove ero Kantor della chiesa di S. Tommaso, malgrado l'età avanzata arrivai a dover gestire simultaneamente tre cori in altrettante chiese, per le quali dovevo comporre settimanalmente tre diverse cantate liturgiche da eseguire la domenica…

Ma è proprio a Lipsia che lei compose le sue più belle opere corali, come la Passione secondo Matteo
Vero, ma dovetti farlo quasi di straforo, nei ritagli di tempo, giacché nei miei meschini superiori non destavano alcun interesse. Gli stava a cuore solo la routine domenicale. In compenso, a Lipsia i bisogni finanziari mi costrinsero persino a dare lezioni private a signore delle buona società che erano così poco dotate da non riuscire a suonare nemmeno "Fra Martino campanaro".

Belle signore, immagino…
Quando possibile…

E allora, quella sua fama di uomo tutto casa e chiesa?
A quel tempo mi sarebbe stato impossibile trovare un lavoro adeguato senza muovermi all'ombra delle cattedrali. Quanto alla mia fama di uomo ligio alle regole e ai doveri… me l'hanno cucita addosso le gerarchie luterane, giacché come esempio di libertà intellettuale non sarei servito alla loro causa. Naturalmente tutti fingevano di non sapere che al Caffè Zimmerman di Lipsia facevo ridere i soldati e gli ubriaconi con le battute a doppio senso che infilavo nelle mie operette.

Ma non si trattava di cantate profane?
Se preferisce, per parlare con sussiego… ma erano cose di modesto livello, un po' scopiazzate.

Battute a doppio senso ha detto. Per esempio?
A una Santa non si possono riferire…

E via, signor Bach, anch'io ho vissuto nel mondo… Non ha detto lei stesso che nell'intimità delle prove…
Se insiste, nella "Cantata del caffè" c'è un padre che concede alla figlia il permesso di sposare un giovanotto a patto che lei perda il vizio del caffè. Bene, sa che cosa si sente rispondere? Si sente rispondere a voce altissima (e io intanto facevo arrestare l'orchestra di botto): "Promesso, ma allora me ne devi trovare uno che sia duro, duro davvero…", duro nel senso di coraggioso e forte, lei capisce naturalmente, ma non le dico come sghignazzavano gli avventori gonfi di birra!

Scommetto che le sue operette le rendevano più quattrini delle messe… Ma le altre disgrazie cui mi accennava?
Non si contano: litigi furiosi con gli ecclesiastici, con le autorità comunali, con i colleghi più avidi, con gli allievi che cercavano di sottrarmi i meriti. Persino mio fratello, quand'ero bambino, mi nascondeva le partiture per impedirmi di suonare, temendo che riuscissi meglio di lui.

E anche la prigione, se non erro…
Malauguratamente sì. Quel bacchettone luterano del Principe Wilhelm Ernst di Weimar, dove mi trovavo come Maestro di Cappella, mi fece rinchiudere per un mese perché avevo accettato un posto migliore presso Leopold di Coethen. Un illuminato principe calvinista che si curava poco della religione e mi lasciò libero di comporre le mie musiche più belle: le suite orchestrali, i concerti con strumento solista, i concerti brandeburghesi, i pezzi per clavicembalo… non una riga di roba liturgica. Fu il periodo più bello della mia carriera. Purtroppo in seguito sposò una stupida che non amava la musica - l'avevo battezzata principessa "amusa" - che mi fece licenziare assieme alla mia meravigliosa orchestra di solisti. Fu allora che, a Lipsia, dovetti piegarmi a lavorare di nuovo per la Chiesa luterana.

In mezzo a tante difficoltà, c'è qualcosa nella sua vita che lei ricorda con particolare soddisfazione?
Certo, per esempio quando fui sfidato dall'imperatore Federico il Grande di Prussia, buon flautista e compositore, a improvvisare canoni a più voci su un suo perfido tema che aveva escogitato ad arte per mettermi in difficoltà. Benché fossi distrutto del lungo viaggio che mi aveva portato alla sua reggia di Potsdam, mi imbattei in una di quelle giornate felici in cui tutto riesce alla perfezione. Gli sfoderai una tale varietà di improvvisazioni, canoni e fughe - idee che in seguito, messe meglio a fuoco, costituirono la mia tanto decantata Offerta Musicale - da lasciarlo di stucco. A ripensarci, forse arrivai a umiliarlo un tantino, perché quando mesi dopo gli offrii in omaggio la partitura elegantemente scritta si mostrò quasi disinteressato.

E poi arrivò la cecità. Alla larga dai chirurghi, se possibile…
Eh sì, l'errore fu di mettermi nelle mani di quel ciarlatano di Taylor, che feci venire apposta dall'Inghilterra a peso d'oro, perché si diceva che aveva risolto i disturbi alla vista del mio amico Haendel. Ci vedevo pochino e faticavo a scrivere le note sul pentagramma. Taylor promise una perfetta guarigione, venne, mi operò a casa mia, incassò una fortuna e ripartì dicendo che tutto era a posto. Il suo intervento fu decisivo davvero: nel giro di due giorni piombai nel buio più assoluto.

Ma l'aria che respira qui in Cielo non le ha restituito la salute?
Ammetto di aver recuperato parecchio, ma fatico ancora a distinguere il Padreterno da un contrabbasso. E dire che dovrebbe essere fatto a nostra immagine e somiglianza…


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  25 febbraio 2005