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La siepe
di Isa Melli


la siepe

Anche il più improvvisato e confuso aspirante giardiniere, dovendo progettare il suo primo giardino, un'idea l'avrà: “Intanto mettiamo una siepe”. Ogni casa, la sua siepe: un sentimento forte, un concetto condiviso, un'esigenza pacifica. Una siepe, intanto, traccia dei limiti, struttura, fa chiarezza: avremo un al di qua e un al di là.
Un giardino è sempre qualcosa di speciale, di diverso, di staccato, in più. Ideato per ospitar bellezza, è anche un quadro all'aria aperta. Profumi, colori, forme… Ecco allora che la siepe sarà anche la cornice. Si può, col bosso, disegnare, modellare, quasi scolpire. Oppure, accostando essenze varie (legnose, erbacee, perenni e stagionali), è possibile seguire quel percorso che nell'estetica - e non solo del giardino - è forse il più sofisticato: far finta di aver voluto lasciar fare alla Natura. Comunque, per chi non vuol complicarsi la vita, anche l'inflazionata siepe di lauroceraso dirà quel che una siepe deve principalmente dire: Qui è mio.
Provoca effetti. Barriera frangivento, se rende più mite il clima del nostro microcosmo, provocherà troppa rugiada. “Ombra, umidità, muschio, mi costringi a cambiar posto all'orto!”: già sentiamo il disappunto del vicino che, del resto, senza il rispetto del mezzo metro dal confine, può invocare il codice civile. La siepe è dunque faccenda da legislatore. Ma anche da storico, se tutti i manuali sono concordi nell'insegnarci che, in Inghilterra dopo il 1760, gli Enclosures, i tanti piccoli atti di privatizzazione dei campi aperti d'uso comune, hanno segnato, con siepi o muretti a secco, l'inizio della più grande rivoluzione agricola moderna. Niente più pascoli, allora si coltiva.
Ad una siepe oggi, soprattutto, chiediamo protezione. Scavare una profonda trincea attorno al nostro spazio privato ed impiantarvi, ad esempio, del biancospino, fitto schieramento di armi protese (dai leggiadri fiori così amati da Proust), è anche atto simbolico. Gesto geloso e difensivo perché anche i giardini possono essere introversi od estroversi. Quelli “orientati verso l'interno (verso la famiglia o il singolo che li abita) sarebbero nella tradizione dei giardini tedeschi e inglesi”, puntualizza Ippolito Pizzetti (Pollice verde, Rizzoli, 1982, pp.290-91), mentre tradizionalmente “i giardini italiani sono rivolti all'esterno e si mostrano a chi passa”.
Ma è pur vero che, mentre non vogliamo più essere visti, escludiamo di poter a nostra volta vedere oltre quella siepe che abbiamo imposto al mondo. Quest'ambivalenza gode della miglior letteratura. “Siepe che passo chiudi coi tuoi rami / dici un divieto acuto come spine”: è Giovanni Pascoli il quale addirittura si augura “ch'io veda soltanto la siepe dell'orto”. Ama questa misericordiosa protezione “utile e pia”, come del resto ama la nebbia cui chiede insistentemente “Nascondi le cose lontane”. Vuol proprio gli basti quanto già ha trovato al di qua del suo limite.
Una siepe, la più celebre, ha il merito di aver fatto nascere L'infinito. Dove Pascoli, storicamente più vicino a noi, preferirà “non vedere”, Leopardi - nel primo Ottocento – aveva in sé ancora tanta forza da poter superare l'ostacolo. La sua mente ci riuscì. Intuizioni grandiose lo raggiunsero, al di là del proprio limite, a Recanati oltre quella siepe e quel colle che tanto gli erano “cari”.
Un'ultima riflessione sull'eterno dilemma umano del mostrarsi o del nascondersi nel quale potremmo forse dibatterci presto se, al vivaio al momento della scelta, la pacifica siepe non sembrerà cosa poi così scontata… È dell'antropologo francese Marc Augè (Ville e tenute, Eleuthera, 1994, p.98) quando afferma di sentirsi addirittura provocato dalla ritrosia di certe case che “si nascondono ancora dietro al fogliame, come donne civettuole, ed è già un privilegio scorgerne per caso, lanciando per un istante lo sguardo indiscreto in fondo ad un viale, un pezzo di muro scoperto”.
Regalare ancora emozioni a chi passa. Perché no?

Isa Melli

da "La bussola del verde", anno VI, numero 21, marzo-maggio 2004, MCM, Firenze.



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  20 marzo 2004