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sulla stampa
a cura di G.C. - 13 aprile 2006


L'ultima tentazione del Cavaliere
"Un decreto per ricontare i voti"
Claudio Tito su
la Repubblica

ROMA - Un decreto per ricontare tutte le schede, o almeno tutte quelle contestate. Ecco l'ultimo colpo di coda di Silvio Berlusconi. L'ultima mossa per strappare fuori tempo massimo la vittoria elettorale. Un provvedimento che avrebbe dovuto varare il suo governo e che il presidente della Repubblica avrebbe dovuto sottoscrivere. Con un solo obiettivo: verificare il sospetto di brogli, mettere in discussione per un tempo lunghissimo la vittoria dell'Unione e far slittare la nascita del nuovo governo ben oltre l'elezione del nuovo capo dello Stato. Appuntamento dopo il quale scatteranno tutte le procedure per la formazione dell'esecutivo targato Romano Prodi. Un'ipotesi stoppata immediatamente dal Quirinale costringendo Palazzo Chigi a rivedere quella tentazione.

Una tentazione che per un pomeriggio era andata oltre il semplice desiderio del premier uscente. Nelle ultime ore il Cavaliere ne aveva parlato a lungo con il ministro degli Interni, Beppe Pisanu, e aveva accennato il discorso agli alleati. Ieri così ha sottoposto le sue intenzioni a Ciampi. Nell'incontro, durato oltre un'ora con l'inquilino del Quirinale, il presidente del consiglio ha infatti sollevato il problema. "Abbiamo notizie di tante, troppe irregolarità. Servirebbe una verifica, ma reale. Come è possibile che abbiamo avuto la maggioranza al Senato e non alla Camera? C'è qualcosa che non va. Si potrebbe intervenire con un provvedimento per ricontare tutte le schede. Chiunque vinca, ne trarrebbe giovamento".

Argomenti che hanno lasciato interdetto Ciampi, anzi assolutamente contrariato. Ha fatto di tutto in quegli 80 minuti di faccia a faccia per far cadere la cosa. Un segnale chiaro per far capire che un decreto di quel tipo non avrebbe mai ricevuto il suo avallo. Già da martedì la preoccupazione del Colle era stata quella di far abbassare i toni dello scontro post-elettorale.

Temeva che la sfida sulle schede contestate potesse degenerare mettendo in discussione non solo i risultati di questa elezione ma la credibilità dell'intero sistema. Non a caso, nei contatti informali, avrebbe richiamato ad una "maggiore responsabilità istituzionale". Un appello che ad esempio è stato subito accolto dall'Udc, il partito del presidente della Camera Casini, e da Alleanza nazionale, la formazione di Fini, pronti a sostenere il Cavaliere sul "riconteggio" dei voti ma non a contestare l'esito del voto fino questo punto.

Berlusconi, insomma, voleva percorrere tutte le strade per rimettere in discussione l'esito del voto. Anche perché non si fida dei magistrati di cassazione chiamati a controllare la coerenza tra i numeri contenuti nei verbali dei seggi e quelli trasferiti agli uffici centrali elettorali. E perché teme che la vicenda possa essere trasferita alle future giunte per le elezioni di Camera e Senato che verranno composte con un criterio proporzionale, e quindi l'Unione avrà la maggioranza. Riflessioni che hanno accompagnato anche la cena di ieri sera a via del Plebiscito tra lo stesso Berlusconi, Pisanu e Letta. I quali hanno dovuto fare i conti con il no più o meno implicito del Quirinale. Ma soprattutto il premier ha dovuto fare i conti con le tante perplessità sollevate dallo stesso ministro degli Interni e dal suo sottosegretario.

Tant'è che in uno scatto il Cavaliere ha chiesto al capo del Viminale: "Ma tu, da che parti stai? Sappiamo che ci sono stati dei brogli e tu hai il dovere di verificare. Almeno hai controllato che il voto elettronico corrisponda al cartaceo in quelle quattro regioni?". Del resto, la soluzione prospettata da Palazzo Chigi metteva in ansia il Viminale e il Colle. Pisanu e Letta hanno impiegato tutta la serata di ieri per convincere il premier a più miti consigli. Spiegandogli tutti i rischi di quell'operazione.

La prospettiva, poi, di tenere in vita artificialmente il governo uscente in attesa dei dati definitivi rappresenta un vero e proprio spauracchio per il capo dello Stato. Che già deve fare i conti su una procedura "allungata" a causa dell'ingorgo istituzionale che costringerà il Parlamento a eleggere prima il nuovo presidente della Repubblica e poi a occuparsi dell'esecutivo prodiano. Anche ieri il Professore ha sollecitato tempi più stretti trovando nuovamente la risposta negativa del capo dello Stato. Per il momento la convocazione dei Grandi elettori per la scelta del dopo-Ciampi è prevista per l'11 maggio.



Mossa eversiva
Antonio Padellaro su
l'Unità

Sconfitto dagli elettori, Berlusconi non intende mollare palazzo Chigi e chiede l'annullamento del risultato. Ma quello stesso voto sul quale egli lancia a vanvera accuse irresponsabili di brogli è stato giudicato corretto e regolare prima dal suo ministro dell'Interno e poi dal presidente della Repubblica. Siamo di fronte a un fatto gravissimo e senza precedenti in qualunque paese democratico dove non si è mai visto un presidente del Consiglio che si rifiuta di accettare il responso delle urne. Berlusconi non vuole aspettare la decisione della Corte di Cassazione a cui la legge affida la convalida delle elezioni perché sa benissimo che la ratifica ci sarà visto lo scarso numero di schede contestate. E allora l'ex premier pretende una sua commissione di verifica del voto per la cui immediata istituzione ha già pronto un decreto sotto il quale pretenderebbe la firma di Ciampi. È inutile dire quale risposta ha ricevuto dal Quirinale ma ciò evidentemente non lo ha fermato. Annunciando, ieri sera, che il voto "deve cambiare" Berlusconi cerca adesso in maniera scoperta di far salire la tensione nel paese fomentando il sospetto di uno scippo perpetrato dalla sinistra ai danni del suo elettorato. Di fronte al carattere eversivo di questa mossa disperata occorre tenere i nervi saldi mantenendo la piena fiducia nelle istituzioni. Ma è anche necessario chiudere rapidamente anche quest'ultima incredibile pagina antidemocratica accelerando il passaggio di poteri al governo Prodi. È un appello che rivolgiamo al Capo dello Stato e alle forze responsabili del centrodestra. Ora basta. Berlusconi deve andarsene a casa.


Il veleno del caimano
Edmondo Berselli su
la Repubblica

Ieri è tornato il Caimano. Il giorno prima era apparsa la Salamandra, l'essere che passa indenne attraverso le fiamme. Domani non si sa. Il premier Silvio Berlusconi è andato al Quirinale e ha incontrato il presidente della Repubblica. Dopo le elezioni, e soprattutto dopo un confronto elettorale condotto e finito allo spasimo, non era un incontro di routine. Così come non era di routine l'incontro che nella mattinata Carlo Azeglio Ciampi aveva avuto con Romano Prodi, il capo dell'Unione e prossimo a ricevere l'incarico di formare il nuovo governo.

Al termine della conversazione con il capo dello Stato, durata un'ora e un quarto, Berlusconi ha realizzato uno dei suoi exploit mediatico-populisti. Con un assolo formidabile, ha rivelato di avere espresso al presidente della Repubblica i suoi dubbi sul risultato elettorale. E ha denunciato che ci sarebbero un milione e centomila schede sospette, che sono stati compiuti brogli "unidirezionali", e che insomma il centrosinistra avrebbe rubato la sua strettissima vittoria. Fuori dal Quirinale non ha espresso dubbi, bensì ha manifestato certezze: "Il risultato cambierà", ha affermato, e ai giornalisti ha mostrato il suo miglior sogghigno: "Credevate di esservi liberati di me?".

Ciò che sta accadendo è grave. Il nostro paese non ha alle spalle una storia politica basata sul furto di voti. Il ministro dll'Interno, Giuseppe Pisanu, ha manifestato pubblicamente la sua soddisfazione per il modo in cui si sono svolte le operazioni elettorali. Il capo dello Stato si è compiaciuto per lo svolgimento "ordinato e regolare" dell'esercizio democratico. Soltanto Berlusconi ha di fatto impugnato l'esito del voto. Non si è preoccupato di mettere in estrema difficoltà la massima carica dello Stato, resa partecipe di un complotto mostruoso ordito dai nemici della libertà (e del Cavaliere). Seppure appoggiato assai tiepidamente dai suoi alleati, ha scatenato i suoi uomini in una battaglia virtuale che purtroppo può avere pessime conseguenze reali.

Il milione e passa di schede della vergogna, evocate dalla fantasia pubblicitaria di Berlusconi, esistono soltanto come ultima arma di un uomo assediato che rifiuta la sconfitta. La legge nega la possibilità di un nuovo conteggio, e consente soltanto l'accertamento delle schede contestate. Si tratta di poco più di quarantamila schede, che ragionevolmente si dividono con una certa equità fra i due schieramenti, e che quindi non possono alterare il risultato del voto popolare. In ogni caso, come ha dichiarato Marco Follini, non è il caso di "soffiare sul fuoco", visto che "dal Viminale alle Corti d'appello e alla Cassazione ci sono istituzioni che garantiscono tutti".

Preso atto di tutto questo, sarà bene che le magistrature preposte agli accertamenti concludano il loro lavoro prima possibile, per spazzare via ogni dubbio e sospetto. La democrazia italiana non può vivere sotto l'ombra di un risultato pasticciato. Ed è proprio questo che Berlusconi sta facendo: sta creando una delle sue realtà virtuali, un altro dei suoi "fattoidi", che scaraventa sulla situazione politica e civile italiana provocando fibrillazioni e inquietudine.

Se il Caimano ha deciso di avvelenare il periodo post-elettorale, occorrono risposte ferme in primo luogo dalle istituzioni. Dal ministro Pisanu, per esempio, che dovrebbe dare un contributo ulteriore alla serenità dell'opinione pubblica. Ma c'è un aspetto ulteriore che va considerato: il marketing da guerriglia civile che Berlusconi ha inaugurato, rischia di lasciare sull'Italia una macchia. Per salvare la sua leggenda di invincibilità, il premier non esita a rovesciare il banco, o a minacciare di farlo.

Di fronte a un uomo che è incapace di perdere, che ha usato ogni strumento per avvelenare i pozzi, che ha cambiato la legge elettorale per impedire la vittoria degli "altri", i "comunisti", occorre che anche i suoi alleati, i più ragionevoli, i più corretti istituzionalmente, prendano posizione senza paure o esitazioni. Perdere le elezioni non è un dramma. Ma il Caimano sta trasformando una sconfitta politica in un evento sudamericano, ed è angosciante il pensiero della lunghissima transizione all'insediamento del nuovo governo. C'è qualcuno nella Casa delle libertà che voglia dare un contributo alla sicurezza psicologica e civile del paese? In caso contrario qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di avere consentito che una normale alternanza politica si stia trasformando nella battaglia disperata e finale di un uomo non abituato a lasciare la presa sulla "roba" che crede sua e solo sua.


Foto di gruppo con strip-tease emotivo
Beppe Severgnini sul
Corriere della Sera

Dopo "un escrutinio de enfarto " - titolo dei colleghi di El Mundo , le cui coronarie castigliane erano però al sicuro - vincitori e sconfitti del 9-10 aprile mettono a nudo i propri stati d'animo. Per chi ama osservare i costumi degli italiani, questo strip-tease emotivo ha qualcosa d'insolito ed eccitante. In questo crepuscolo della Prima Età Berlusconea - sobbalzo a sinistra (mica ce ne sarà un'altra?), sussulto a destra (forse ce ne sarà un'altra!) - si vanno delineando figure interessanti.
Distratti (Centrodestra). Sconfitta? Ma quando mai. Il motto è una frase di Baget Bozzo sul Giornale : "Berlusconi ha trasformato queste elezioni in un referendum su Berlusconi, e lo ha vinto". Be', è vero che ha fatto meglio di quanto chiunque (meno lui) pensasse; ma è altrettanto vero che Forza Italia ha perso un quinto dei voti del 2001 (dal 29,4% al 23,7%), e con due leggi-harakiri (premio di maggioranza, voto all'estero) s'è immolata agli avversari. Se questo è vincere, fateci sapere come si fa a perdere.
Incontentabili (Centrosinistra). Non gli basta la maggioranza dei seggi, non è sufficiente che Prodi abbia (di nuovo) battuto Berlusconi: non piacciono gli eletti. Scrive Sabina Guzzanti sul manifesto : "...al posto dei vecchi familiari intrallazzoni e filibustieri ci sono sconosciuti privi di ogni dote. La loro inconsistenza è morale, dialettica, strategica, culturale e anche fisica". Come augurio per il nuovo Parlamento, non è male.
Tremagliati (Centrodestra). Accettano la sconfitta, ma non la digeriscono. Vittorio Feltri su Libero indica i responsabili. In primis Mirko Tremaglia, il nuovo guru della sinistra antagonista (il suo profilo ormai campeggia tra Marx e Lenin nei circoli di Rifondazione). Ma ce l'ha anche con la legge elettorale, "la claque di Forza Italia", Bondi e Cicchitto, i pensionati di Fatuzzo, la Rosa nel Pugno.

Scaramantici (Centrosinistra). Sperano ciò che i numeri e l'esperienza rifiutano di confermare: che la nuova maggioranza sia concorde e governi con efficacia (per senso di responsabilità, per il rischio di tornare alle urne, per sdebitarsi con la sorte della vittoria sul filo). Dice Claudio Magris a La Stampa : "Spero che si capisca, nella coalizione di centrosinistra, come non ci si possa permettere alcuna sciocchezza, alcun personalismo, alcuna vanità". Dice poco, professore.
Follini di rabbia (Centrodestra?), ovvero: piuttosto contenti. Sono quelli che, pur avendo votato Casa delle Libertà (ma siamo sicuri?), accettano di buon grado il risultato delle elezioni, perché consente - forse, prima o poi, un giorno, chissà quando - di creare un centrodestra de-berlusconizzato. Il programma? Per ora s'accontentano della dichiarazione di Marco Follini a Repubblica : "Al Viminale c'è una macchina ben oliata, e ho fiducia in Pisanu". Come dire: provate a farci vincere, e vi strozzo.
Riduttivi (Centrodestra). Giuliano Ferrara, incerto tra consolazione e cospirazione, scrive: "La mezza vittoria e la mezza sconfitta di queste elezioni, concetto valido per ambedue gli schieramenti, è più dolce e calda, paradossalmente, per Berlusconi, l'impresario degli happy end ". A parte il fatto che si dice happy endings , chiedo al direttore del Foglio : ma l'hai guardato in faccia?



Dove soffia il vento del nord
Giorgio Bocca su
la Repubblica

Il voto dell´Italia del Nord, l´Italia ricca, è andato massicciamente a Berlusconi, percentuali bulgare in alcune province del Veneto, adesioni forti persino nel Piemonte provinciale cioè in quanto di più lontano esiste dal berlusconismo caciarone e bugiardo. L´Italia ricca, l´Italia moderata compatta in difesa dei suoi privilegi, dei suoi soldi. Una sorpresa? Ma no, una scelta che si ripete tutte le volte che sono in gioco gli interessi, i privilegi, i soldi dell´Italia borghese e moderata. Un voto conservatore più provinciale che metropolitano, con aspetti diversi: ora fascista, ora clericale, ora manageriale o finanziario ma sempre con lo stesso immutabile obiettivo: la difesa dei ricchi, compresi i poveri che si sentono ricchi.
Dico gli italiani poveri che si sentono dei potenziali Berlusconi: se ha fatto i miliardi lui perché non posso farli anche io? Il voto che negli anni Venti ha preferito il fascismo alla democrazia, che in quelli Quaranta si è rifugiato sotto lo scudo democristiano. Sorpresa? Sorpresa per chi pensa a un´Italia diversa, a una borghesia diversa, non per chi conosce o dovrebbe conoscere sia l´Italia ricca e la sua classe dirigente, sia l´Italia povera ma desiderante, l´Italia che applaude Mussolini, il fondatore di un impero inesistente o comunque già dentro la sua dissoluzione, l´Italia della "zona grigia" che appena uscita dalla rivelazione della sua pochezza si ricompatta in difesa del suo primato.
Il 25 aprile del ´45 noi partigiani di "Giustizia e libertà" scendemmo sulla città di Cuneo sicuri che fosse la nostra roccaforte: avevamo organizzato e diretto la guerra di liberazione e con noi c´era quasi al completo la gioventù della provincia. Vennero le elezioni e fummo cancellati dal trionfo democristiano, cioè dal trionfo del moderatismo, cioè dalla difesa dei soldi, di chi li aveva o di chi ragionava come se li avesse. Una sorpresa? Non direi, si tratta di sorprese che si ripetono:
I Bixio, i Medici del Vascello passano regolarmente dal Garibaldi in camicia rossa e dalla sua rivoluzione contadina ai generali di Casa Savoia, il socialista rivoluzionario Mussolini dal rosso al nero con marcia su Roma alla testa dello squadrismo agrario. Misteriose combinazioni di cause e concause su cui gli storici si affanneranno invano per capire, per spiegare, ma alla resa dei conti la storia è sempre la stessa. È una sorpresa che il Nord ricco sia rimasto fedele a Berlusconi, anche se i borghesi ben perben avevano orrore dei suoi gusti, delle sue gaffe, del suo modo di vivere, di essere? Ma quale sorpresa? Avete letto sui giornali le retribuzioni dei manager e dei finanzieri nel quinquennio berlusconiano? Non sono mai state così alte come durante il regime sovversivo e bugiardo delle grandi opere e della grande corruzione.

Certo, la conosciamo la borghesia dell´Italia ricca, conosciamo gli alto medio e piccolo borghesi civilissimi, colti e lontanissimi come modo di essere da Berlusconi ma nella difesa dei soldi come lui tenaci, come lui intransigenti.
E conosciamo quelli che si sentono ricchi, che desiderano essere ricchi anche se non lo sono. C´è stato un momento durante la campagna elettorale in cui ho pensato che per noi dell´Unione la partita volgesse al peggio: il giorno in cui i dirigenti dell´Unione ebbero la malaugurata idea di occuparsi delle tasse, della tassa di successione, in particolare. Sapevo abbastanza di questa tassa per essere indifferente a quel vecchio e superato spauracchio, da tutti evaso, o accettato come il minore dei pubblici balzelli; eppure il borghese e moderato che c´è in me entrò in stato di agitazione, anzi di terrore, neri fantasmi di povertà, ancestrali timori per il destino dei figli mi visitarono; e quanto più ragionando capivo che non erano una cosa seria ma una finta minaccia che non avrebbe cambiato neppure in minima parte quanto mi resta da vivere, tanto più mi procuravano una confusa affannosa preoccupazione.
Si parla molto, in questa indigestione elettorale e di passioni elettorali più forti del ragionevole, della sconosciuta e profonda italianità che si rivela nel rifiuto dello Stato, della legalità, del riformismo. Per cui su tutti i giornali, in tutte le televisioni ci sono i nostri migliori cervelli alla ricerca della spiegazione nascosta, del perché, per restare all´oggi, metà degli italiani si siano fatti incantare da un personaggio come Berlusconi, dal suo vitalismo sovversivo. La risposta deve esserci nella nostra storia, ma purtroppo la storia è quel confuso vai e vieni che non ha mai insegnato niente a nessuno. Di certo, in questa lunghissima storia siamo passati da una adorazione dello Stato, del pubblico interesse, delle leggi, del diritto e della loro pratica estensione all´impero militare, della romanità, a una perenne guerra civile fra i ricchi e i poveri, a una perenne alleanza di conservatorismo e di populismo in difesa sostanziale dei ricchi.
A ben guardare il ruolo di Berlusconi non è stato diverso da quello di Mussolini o di Masaniello, il ruolo del sovversivo che smuove le acque, moltiplica l´anarchia, fa un po´ di teatro perché intanto i costruttori di immaginari ponti sugli stretti, di ferrovie ad alta velocità che distruggono quel poco che resta del territorio, di Fiere campionarie senza strade di accesso si divorino quel che resta del mondo. Melanconie, tristi fissazioni di un utopista fallito? Da una recente indagine sullo stato della Italia ricca, quella che ha votato Berlusconi, risulta che buona parte del territorio è stato cementificato, non produce più alimenti, non consente più lo scolo delle acque e la raccolta dei rifiuti, non permette più una vita decente nelle città, sicché avviene l´esodo all´inverso di chi ci era arrivato dalla campagna... e ora ne fugge. Questa Italia sempre più ricca e sempre più sovversiva e autolesionista che ha votato Berlusconi e magari già lo rimpiange.


Conflitto d'interessi, il piano di Berlusconi
Francesco Verderami sul
Corriere della Sera

ROMA — "Silvio Berlusconi ha in progetto una mossa geniale". Ieri mattina Giuliano Ferrara ha riempito di curiosità e di meraviglia i suoi fedelissimi. Con quel sorriso sornione e l'aria di chi sa più di quanto dice, ha rivelato che il Cavaliere sarebbe "pronto a spogliarsi del suo conflitto d'interessi, cedendo i beni ai figli". Come non bastasse, ha provveduto a guarnire la confidenza con una battuta, rivelatrice di un dettaglio importante: "Molti italiani hanno provveduto a fare donazioni. Visto che non sono ancora tassate, bisogna approfittarne...".

Solo ventiquattr'ore prima il direttore del Foglio era stato ricevuto a palazzo Grazioli dal premier, e a nessuno è sfuggita la coincidenza. Anzi, una traccia di quel colloquio si poteva leggere in un passaggio dell'editoriale con cui ieri l'Elefantino ha accennato al delicatissimo tema. Periodicamente la questione appare e poi scompare dall'agenda di Berlusconi e della politica, solo che stavolta il Cavaliere sarebbe deciso a compiere il passo. Raccontano che prima delle elezioni, riflettendo sugli scenari del dopo- voto, abbia messo in conto l'argomento, considerando la cesura definitiva con il passato. E dietro certe dichiarazioni nette, "il mio futuro ormai è la politica", si cela il convincimento che il ruolo di imprenditore "ormai è diventato per me un tallone d'achille. Me ne vengono solo problemi".

Dal quartier generale del Biscione - tra bocche cucite ed espressioni sorprese - ieri è filtrato qualche bisbiglio. Si dice che il premier avrebbe chiesto la consulenza di un famoso fondo internazionale per una operazione finanziaria con cui azzerare il conflitto d'interessi. Uomini a lui molto vicini e fidati sono a conoscenza della volontà di Berlusconi, ma il progetto di passare la mano agli eredi sarebbe ancora "allo studio" perché "molto complesso": la suddivisione dei beni tra i cinque figli dovrà infatti tener conto del lavoro svolto in questi anni da Marina e Pier Silvio nelle aziende del padre, e dunque riconoscere loro una sorta di valore aggiunto.

È chiaro che la scelta avrebbe un riflesso politico rilevante, libererebbe il leader della Cdl dal conflitto d'interessi, lo affrancherebbe da quell'angoscioso stato d'animo di chi si sente "minacciato", dagli incubi di chi teme di subire - seduto ai banchi dell'opposizione - un provvedimento sull'ineleggibilità che lo travolgerebbe. In più l'operazione non dovrebbe suscitare le critiche e le ostilità degli avversari. Nei Ds, per esempio, c'è già chi ha dato voce ai ragionamenti riservati di Piero Fassino: "Non si può proibire a Berlusconi di cedere le aziende ai figli. Ed è legittimo che loro possano acquisirle". Un atto di "donazione" lo metterebbe anche al riparo da una eventuale legge che cercasse di impedirgli il trasferimento dei beni, siccome in passato "Silvio" ha ceduto la proprietà del Giornale al fratello "Paolo".

Dentro Forza Italia attendono fiduciosi, "perché in un solo colpo - come spiega un autorevole dirigente azzurro - Berlusconi risolverebbe i problemi di famiglia e quelli politici". Se davvero il Cavaliere metterà in atto "la mossa geniale" di cui parla Ferrara, sarà il segno che è intenzionato a dar battaglia. Parafrasando una sua battuta di ieri, sarebbe un messaggio lanciato al Palazzo: "Non pensiate di liberarvi di me".


L'arresto di Provenzano
Visto da Maria Falcone
Fabio Isman su
il Messaggero del 12 aprile

Palermo. Maria Falcone, la sorella di Giovanni, cioé del magistrato assassinato nel 1992 se non su ordine, almeno per decisione certa di Bernardo Provenzano, chiede subito: "Invece che in poltrona, chiacchieriamo seduti a questo tavolo?". E poi, spiega perché: "Questa, era la casa di nostra madre, in cui Giovanni è vissuto per tanti anni; e io nell'appartamento a fianco. In salotto, a questo tavolo da pranzo, lui ne aveva aggiunti altri due; e sopra, aveva impilato, i computer non c'erano ancora, i mucchietti degli assegni del primo grande processo di mafia, credo quello Spatola; lui, saltava da un tavolo all'altro, mentre ricostruiva i fatti; io lo ricordo così, e oggi è giusto parlare sedendo qui". Un appartamento borghese e per bene: "In un fazzoletto grande nemmeno mezzo chilometro, abitavano sia Giovanni, anche nella casa nuova, dopo le nozze con Francesca Morvillo che gli era accanto perfino nel momento supremo, sia Paolo Borsellino; e qui è stato preso Totò Riina, viveva Leoluca Bagarella; Palermo e la Sicilia, sono fatte così. A Roma, Giovanni andava anche a spasso a piedi; qui, invece, non se lo regalava mai. La mafia può esistere, perché controlla il territorio: qui, Giovanni abitava, ed aveva paura. Ha sempre detto: “Se mi devono uccidere, lo faranno in Sicilia”. E così è stato".

Tanto Maria Falcone è passionale, quanto l'altra “sorella dell'antimafia”, Rita Borsellino, è calma e serena: "Me lo ha detto un giornalista, rinviando l'appuntamento per una intervista. Cosa ho provato? Uno strano mix di stupore e di nostalgia; ho pensato che poteva succedere parecchio tempo prima; e a quanti non sono più qui, a raccogliere i frutti di questa cattura. Mio fratello? E' solo uno di loro".
Maria, e lei, di Provenzano, come ha saputo?
"Mi ha telefonato uno dei miei figli; poi, quasi in rapida sequenza, uno a uno, gli altri tre. M'ha fatto impressione: perché cerchiamo tutti di fare una vita normale; parliamo poco di queste cose, e non ci sentiamo nemmeno ogni giorno. E' stato come se ci dovessimo abbracciare per telefono".
E lei, che cosa ha pensato, e che cosa ha fatto?
"Ho alzato anch'io il telefono, ed ho ringraziato, lui per tutti, Gianni De Gennaro, che era grande amico di Giovanni. E ho pensato quel che ho detto ai miei figli: questa non è una vittoria, ma è un passo avanti. La vittoria verrà solo quando questa nostra terra avuto lo sviluppo, senza cui non si riesce a instaurare la legalità.

L'hanno preso proprio a Corleone.
"Ma questo l'avevamo sempre saputo; pardon, immaginato. E dove mai poteva essere, se non lì? Vede, anche noi siamo originari di Corleone: lì sono nati i bisnonni materni. E Giovanni diceva sempre che lui, certe faccende, proprio per questo riusciva a capirle meglio di tantissimi altri".

Maria è donna appassionata. Dalla morte del fratello, s'è data una missione: raccontare ai giovani cosa è la mafia e come va combattuta. "Giovanni diceva sempre che vincerla è questione di cultura, e che occorre un salto generazionale; parlo in tre o quattro scuole, ogni settimana. Conduco una vita pellegrina: ora parto per andare a Loano, in Liguria". Viaggia con la gioia di questo successo addosso? "Andiamoci cauti: preso un capo, se ne fa subito un altro; e mi sembra che Matteo Messina Denaro sia in ottima posizione". E poi, cambia argomento: "Sa che il prossimo 23 maggio, verranno qui, per l'anniversario, tanti giovani da tutt'Italia, su una nave che salperà da Civitavecchia? Sarà la “Nave della legalità”.

Chissà: magari, è qualcuno di loro ad aver lasciato, sotto “l'albero Falcone”, sempre pieno di bigliettini, quello con su scritto: "Te l'hanno preso". Forse, qualcuno di loro è tra la folla che, dopo ora di pranzo, accoglie il boss dei boss davanti alla Questura, urlando "bastardo, bastardo", e mille volte "assassino", mentre gli agenti incappucciati levano la mano nel V di Vittoria. "Sì, forse c'erano anche loro", ammette Rita, lei pure una "vita pellegrina", ma da candidata dell'Ulivo alle prossime Regionali, tra un mese. "M'è tornata in mente la cattura di Riina. Come allora, ho provato solo un grande vuoto dentro. Mia mamma, che ora non c'è più, mi diceva: “Che pena fa quest'uomo; prima di tutto bisogna sempre guardare all'uomo”. Beh, l'hanno catturato seguendo i pacchi della biancheria: anche qui hanno cercato l'uomo; è stato perso proprio dalle sue fragilità umane".

Vuole guardare in faccia l'assassino di suo fratello?
"Lo farò come ho voluto guardare anche Riina. Quel suo viso insignificante, ma dagli occhi dardeggianti, e con la bocca che si legge “cattiva”. Non mi fa paura guardarli nei loro occhi: semmai, dovrebbero essere loro a provare ritegno nel guardare in faccia noi. Gli onesti, prima che le vittime".


  13 aprile 2006