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La settimana in rete
a cura di P.C. - 13 luglio 2003



Com'è l'Italia descritta dagli altri
Umberto Eco su
la Repubblica 11 luglio

Alcune citazioni d´obbligo. Prima, le Lettere Persiane di Montesquieu: per potere capire il nostro paese bisogna farlo descrivere da uno straniero, e se non c´è lo si inventa. Che è poi la ragione per cui si va dallo psicanalista o dallo psicologo: per capirti devi farti analizzare da un altro, da solo non ce la farai mai. Detto questo, ecco la funzione degli articoli che ci mostrano una Italia vista con gli occhi dello straniero.
montesquieu
  
Anni fa un´organizzazione che si chiama Transcultura ha condotto antropologi africani, che non erano mai stati in Europa, a visitare la Francia e a descriverla così come gli antropologi europei avevano descritto i paesi africani. Ricordo che una delle osservazioni più straordinarie era: "I francesi portano a passeggio i loro cani". Si tratta di una pratica che per noi europei è normale, ma non lo è per un´altra cultura dove i cani girano liberamente per il villaggio, e caso mai sono loro al servizio dell´uomo e non l´uomo al servizio del cane. Niente di tragico, continueremo a portare il cane a spasso, ma almeno siamo ora in grado di renderci conto che il nostro rapporto con gli animali è diverso da quello di altri popoli. Per inciso: i cinesi tengono il cane a vagolare per la casa, lo nutrono, e poi lo mangiano. Orrore. E noi cosa facciamo con galline, mucche, maiali e conigli? E infine, portiamo a passeggio il cane perché la legge ci costringe a non lasciarlo in libertà e a rinchiuderlo in casa. Amiamo davvero gli animali più di altre culture?
Seconda citazione, e si tratta di una delle celebri barzellette di Radio Eriwan, a cui sotto il regime sovietico si attribuivano tutte le battute antigovernative.
Un americano va alla stazione di Mosca per prendere il treno, diciamo, per Leningrado. Il treno è annunciato in partenza per le dieci, ma è pronto in stazione solo a mezzogiorno, poi non parte subito e alle tre del pomeriggio è ancora là. Stesso risultato cercando di salire su un treno annunciato per le undici. Alla terza prova l´americano si lamenta per il disservizio, e il capostazione gli risponde: "È vero, però voi impiccate i negri!". Morale: se qualcuno ti trova un difetto non puoi difenderti citando un difetto di chi ti critica (per l´aureo precetto in base al quale due torti non fanno una ragione). Quindi, di fronte alle ironiche rimostranze degli stranieri, inutile andare a citare tutte le volte in cui a casa loro abbiamo rilevato che qualcosa non andava.
Quindi di fronte a questi cahiers de doléances di chi ci visita e (a giudicare alfine dal tono dei loro articoli) un poco ci ama, cerchiamo di porci in situazione d´ascolto. Siamo abituati alle nostre poste e non ci facciamo più caso, ma il fatto che il loro funzionamento risulti incomprensibile a un australiano ci deve fare riflettere. Nessuno di noi conosce probabilmente il nome del proprio parlamentare, ma lo stupore di un giornalista americano deve indurci a un esame di coscienza: non si eleggono i parlamentari proprio perché si occupino dei problemi del proprio collegio elettorale? Perché a noi questa idea attraversa l´anticamera del cervello molto di rado?
Al massimo rispediamo al mittente, non a nome nostro, ma a quello di Marcelle Padovani, una preghiera: "Per cambiare l´immagine dell´Italia all´estero non basta cambiare l´Italia. Bisogna cambiare anche il modo di pensare schematico degli osservatori stranieri". Aggiungerei: bisognerebbe anche cambiare chi ci rappresenta aiutando a rafforzare i vecchi schemi.
E incassiamo una osservazione del simpatico adulatore Tobias Jones: "Così ho capito perché i miei amici italiani sono tanto intelligenti: è tutta la vita che convivono con queste complicazioni". Ma è come consolare Leopardi dicendogli che è diventato grande poeta perché era di salute malferma, altrimenti avrebbe passato la vita andando a ragazze. Credo avrebbe preferito essere alto e atletico. In fondo Foscolo era un bel giovanotto ed è diventato grande poeta lo stesso. Quindi sarebbe meglio rovesciare l´ordine delle cause e degli effetti: se siamo diventati intelligenti a causa di una vita complicata, usiamo ora la nostra intelligenza, che tanto piace a Tobias Jones, per riuscire a semplificarcela. Grazie anche ai consigli dei nostri visitatori.


Se basta uno Schulz a mandarlo in tilt
Claudio Rinaldi su
L'espresso 11 luglio

altan
  
Pare dunque che Silvio Berlusconi, dopo la maxigaffe del 2 luglio su Martin Schulz-kapò, debba amputare la parte comica di sé. "Fossi in lui la farei finita con le facezie", avverte sul “Corriere della sera” Paolo Mieli: "fa lo spiritoso a sproposito senza essere dotato di alcun senso dell'umorismo". Anche Pigi Battista su “La Stampa” invita il premier a "chiudere definitivamente nel cassetto il repertorio delle battute improvvide". Su “la Repubblica” Andrea Bonanni parla di un dr. Jekyll che andrebbe liberato da mr. Hyde. A Londra, analogamente, “The Times” distingue fra i "difetti personali" di Berlusconi e la sua "visione politica". A Strasburgo il diessino Giorgio Napolitano giudica "politicamente corretto" il discorso di apertura del semestre europeo a guida italiana, ma "risibile" o "di inaudita rozzezza e violenza" la replica.
Ma davvero coesistono un Berlusconi cattivo e un Berlusconi tendenzialmente buono? Davvero si può affrancare lo statista dal fregnacciaro? Giuliano Ferrara, che se ne intende, giura che di Berlusconi ce n'è uno soltanto. E precisa: "Non è il presidente del Consiglio, non è il presidente del Consiglio europeo, è prima di tutto Berlusconi". Prendere o lasciare.
L'autorevole expertise dà un'idea dell'egocentrismo di Berlusconi. Ma soprattutto autorizza il dubbio che le battute a vanvera non siano un suo vizietto, bensì l'essenza stessa della sua personalità. Eliminate quelle rimane poco: in lui le qualità istrioniche non sono al servizio di una politica. Dietro le barzellette sulla moglie non si sente vibrare un pensiero. Del resto l'uomo ha sempre esibito con orgoglio la sua cultura da bar sport. Sa di aver conquistato i soldi e il potere sfruttando abilmente l'ignoranza altrui. E certi dettagli di stile, dal doppiopetto al "Mi consenta", non hanno mai cancellato il suo fondo di ordinaria cafoneria.
Il guaio è che in noi tutti le caratteristiche basilari si accentuano con l'età. L'egocentrismo berlusconiano è ormai fanatico; e lui non tenta più di mascherarlo. Se posa per una foto di gruppo, pur di mettersi in mostra fa le corna o il saluto militare. Non dà interviste né accetta dibattiti, propina monologhi. Quando gli scappa una fesseria non la ritratta ma la rivendica. Se lo criticano sfoggia una permalosità senile: vede offese dappertutto, e reagisce a cannonate contro i moscerini. L'insulto a Schulz fa il paio con le denunce penali contro gli sparuti contestatori di piazza. Si ritiene infallibile come Pio IX e invulnerabile come Achille, ma pure lui ha un tallone scoperto.
Con l'invecchiamento, si sa, i freni inibitori si allentano; aumentano i rischi di sbandate e di scivoloni. Un tempo Berlusconi aveva l'accortezza di spacciare per amor di Patria il suo smisurato amore di sé; tanti abboccavano. Adesso coltiva i suoi privati interessi nel modo più plateale, il che gli rende difficile impancarsi a benefattore del paese e perfino motivare soci e collaboratori. Neanche mamma Rosa può credere che abbia dato addosso a un deputato tedesco soltanto per difendere l'Italia.
Un tempo Berlusconi passava per un grande comunicatore. Ora basta uno Schulz qualsiasi, parole grevi e mimica da mattoide, a fargli saltare i nervi mettendo a nudo la sua natura profonda. Davanti a un pubblico di dimensioni europee, in un teatro non suo, senza una claque prepagata il calvo showman è condannato a rivelarsi un guitto. Però non se ne rende conto, perché come molti anziani invece di guardare in faccia la realtà si guarda allo specchio.
Perciò va allo sbaraglio su terreni che non conosce, dove né una Mediaset né un patrimonio enorme possono coprirgli le spalle. E attacca con argomenti di altre epoche: il complotto internazionale delle sinistre, la premeditazione degli attacchi sferratigli; come se il Parlamento europeo non fosse by definition sede di politiche transnazionali, come se tutti i leader di oggi a partire da lui non programmassero anche i battiti delle ciglia. Prima ancora che nociva, la bolsa comicità del premier appare anacronistica.
Nella terza età la verve fine a se stessa è un handicap: più si è arzilli più si diventa patetici. Per questo alcuni suggeriscono a Berlusconi di rinunciare ai suoi lazzi. Ma è come chiedergli di suicidarsi, dietro Hyde non c'è un Jekyll. Carlo Azeglio Ciampi si illude quando cerca di trasfondergli un minimo di serietà e di rispettabilità. Inutile sperare che cambi testa a 67 anni, e con la spocchia generata da una vita di successi. Meglio concludere che si tratta di un caso umano; con il quale l'onore del paese, grazie al cielo, non c'entra assolutamente niente.


La sorpresa dell'agorà
Barbara Spinelli su
La Stampa 6 luglio

C'è chi chiama una tragedia per il semestre europeo dell'Italia quello che è accaduto mercoledì scorso al Parlamento di Strasburgo: le domande poste dal deputato socialdemocratico Martin Schulz sulla politica interna e giudiziaria italiana, la collera di Berlusconi che non ha gradito di esser così interpellato, la perdita d'autocontrollo in cui è precipitato. E l'accusa pesante infine, che il presidente del Consiglio ha lanciato all'interlocutore con la violenza che possiede l'istinto senza briglie politiche: "Lei, signor Schulz, sarebbe perfetto come kapò in un film sui campi di concentramento".
Il Parlamento europeo è piombato nello stupore, e non solo il Parlamento: sono nello stesso stato d'animo governi e partiti, Germania e Italia, Commissione di Bruxelles e Consiglio dei ministri europei, giornali italiani e del continente.
E' successo qualcosa cui non riescono a dare il nome, che non sanno spiegarsi, e che comunque crea malessere, sbigottimento. Per questo si parla di tragedia, e alcuni un po' tristemente constatano quello che par loro irreparabile: la discesa dell'Italia in una sorta d'inferno, quasi una brutale bufera ci avesse trascinati in un luogo sventurato, dove il nostro paese verrà d'ora in poi controllato da cerberi maligni. L'Italia doveva rappresentare per sei mesi l'Europa intera: ora si teme che sarà invece isolata, screditata, disprezzata.
Non siamo soli invece, e per questo l'accadimento di Strasburgo non è una tragedia ma s'apparenta piuttosto a una divina sorpresa: a una cosa nuova cui non siamo preparati. Non ci sono in giro corpi feriti, non ci sono massacri d'amor proprio o d'onore patrio, come lasciano supporre tante reazioni di lettori di giornali. Siamo semplicemente sotto lo sguardo d'Europa, stiamo diventando più visibili di quanto lo fossimo prima - più visibili agli occhi degli europei e per loro tramite ai nostri stessi occhi - e questo significa che l'Unione esiste, come personalità giuridica e anche come démos, come popolo.
Significa che il nostro amor proprio e il nostro amor patrio traggono ormai alimento da più fonti: da quello comunale, da quello nazionale, e da quello europeo. In altre parole: non possiamo fare tutto quel che vogliamo, dire tutto quel che crediamo, senza badare al mondo circostante. Siamo dentro un reticolato di leggi, di comportamenti, di contiguità geografiche. Siamo dentro un'Unione in parte già sovrannazionale.
Finora sapevamo di non poter più essere autarchici in economia. Adesso veniamo a sapere che non siamo più autarchici neppure in politica, nel pensiero, nel linguaggio. Lo spirito pubblico può perdersi in patria, ma poi riformarsi al superiore livello europeo. Chi non ha senso della cosa pubblica nel proprio paese finirà col doverlo avere nell'Unione. Il conflitto d'interessi e la legge sull'immunità lasciano forse indifferenti gli italiani ma non i politici d'Europa, e anche a questo Berlusconi era completamente impreparato: a tal punto si sentiva esonerato dalla ginnastica delle critiche e delle spiegazioni, che alla prima flessione si è strappato i muscoli.
Il deputato Schulz non è all'opposizione in Italia, non è un rivale del premier, non è manipolabile con strumenti di controllo nazionali. Inutile dire del suo partito socialdemocratico, senza ridicolizzarsi: "In Europa ci sono comunisti peggiori che in Italia". Schulz parla con l'autonomia che hanno le istituzioni europee, alla controparte naturale che è la presidenza di turno del Consiglio europeo.

strasburgo
  

Può darsi che egli sia un animale politico capace, astuto. Ma la sua visione è angusta, non supera il cerchio intimo degli amici e stretti alleati. Eccezionalmente turbato dai propri interessi privati, sembra aver perso l'essenziale, e cioè il rapporto con la realtà esterna. Il pubblico è una categoria che non conosce, se non sotto forma di effimeri sondaggi, e l'agorà è un terreno per lui impervio. Il suo scherzare sull'olocausto è casalingo, la frontiera per lui non esiste fra domicilio domestico e res publica.
Per molti è una frontiera che non esiste più, così come non esiste l'obbligo di consequenzialità. Lo stesso Giuliano Ferrara che a suo tempo si indignò con Benigni, accusandolo d'aver fatto un film "ridanciano" sull'olocausto (La Vita è Bella), difende ora lo scherzetto su Auschwitz del premier: "Il Cavaliere ha fatto benissimo a dare del kapò a Schulz. Non può essere remissivo". Perché quello scherzetto no e questo sì?
Dice Bossi che il popolo, da noi, parla così: caoticamente, senza badare al principio di non contraddizione, e ben venga un premier che usa lo stesso linguaggio. Ma Fini e Follini, che non sono di questo parere e tuttavia già son pronti a passare ad altro? Il loro è un calcolo che si può capire, ma i dubbi restano. Mercoledì scorso Follini aveva l'aria sgomenta: "Non condivido e faccio fatica a capire", commentò. Oggi ha l'aria di dire, sulla falsariga del comico romagnolo Maurizio Ferrini: "Non capisco ma mi adeguo".
Forse è venuta invece l'ora di capire e di dire: siamo sotto lo sguardo d'Europa, e non siamo affatto soli. Lì è il nostro destino e magari anche la nostra opportunità. Solo chi ha perso il rapporto con la realtà esterna e con lo spirito pubblico può pensare che questo costituisca per l'Italia una tragedia, o una discesa in Inferno.


Se viene meno lo "spirito pubblico"
Maurizio Viroli su
La Stampa 11 luglio

La prospettiva della Costituzione europea, lo ha fatto notare Barbara Spinelli su questo giornale, pone in termini nuovi il problema dello "spirito pubblico".
Nella dottrina politica classica lo spirito pubblico è lo spirito che anima il politico che persegue il bene pubblico, ovvero quel bene, o quei beni, che appartengono a tutti in quanto cittadini o in quanto membri della comunità. Da secoli l'esempio per eccellenza di bene pubblico sono le costituzioni statali che garantiscono a tutti uguali diritti di libertà. Oggi, con la Costituzione europea, si profila all'orizzonte un bene pubblico più comprensivo.
Perché questo nuovo bene pubblico si realizzi sono necessarie virtù politiche in parte simili a quelle che hanno reso possibile la nascita delle costituzioni statali: la consapevolezza rigorosa del confine che separa interesse privato e interesse pubblico e dei limiti della politica, non a caso definita "arte del possibile". E poi la fede europea, la volontà tenace e convinta di dare vita alla Costituzione europea, argomenti su cui ha tante volte insistito il Presidente della Repubblica.
La prima esige che il politico, quando esercita una pubblica responsabilità, diventi quasi un'altra persona e lasci interamente da parte interessi e lealtà private; la seconda richiede un lungo tirocinio alla sana pratica del compromesso democratico che per sua natura non ammette né vittorie schiaccianti né sconfitte senza appello, unito alla consapevolezza profonda del valore del dialogo e del confronto; la terza, forse la più difficile, nasce dall'esperienza della tragedia della guerra e dell'Olocausto. I padri fondatori dell'Europa, e i politici che hanno dato un contributo fondamentale al progetto europeo, erano, e sono, uomini che hanno voluto e vogliono veder nascere l'Europa unita per non veder più né guerre né stermini di popoli.
Sono tutte virtù difficili da praticare che soltanto i grandi leaders politici possiedono. Di questi tempi, in Italia, non abbondano proprio. L'élite politica, laica e cattolica, che si era formata al rispetto, a volte persino religioso, del bene pubblico si è venuta lentamente assottigliando senza che si sia formata una nuova, ampia, classe di governo ispirata ai medesimi principi. Il passaggio dal metodo proporzionale a quello maggioritario ha reso meno necessaria l'arte del compromesso politico. La tragedia della guerra e dell'olocausto, per ragioni cronologiche e culturali, è per molti politici una storia lontana.
Al tempo stesso, ed è un fatto che deve preoccupare, hanno preso piede atteggiamenti culturali del tutto ostili allo spirito pubblico. Troppe volte sentiamo esaltare il popolo quale detentore di verità assolute, geloso dei propri interessi, giudice e sovrano senza limiti che guarda con diffidenza gli altri popoli e disprezza il compromesso. Con questa idea del popolo, che non ha nulla in comune con la tradizione liberale e democratica, non si costruisce l'Europa unita.
Proprio perché la Costituzione europea è il bene pubblico del nostro tempo, non possiamo permetterci di lasciare che si allontani, quando è ormai a portata di mano, per povertà di spirito pubblico, per inettitudine al compromesso, per mancanza di fede europeista. Chi possiede queste qualità deve, in questi mesi di presidenza italiana, metterle al servizio del progetto europeo, quale che sia la sua parte politica.

strasburgo
  

Indovina chi vincerà lo Strega
Michele Serra su
L'espresso

Assegnato con grande successo di pubblico e di critica lo Strega di quest´anno, per guadagnare tempo rendiamo nota la cinquina della prossima edizione.

Stenio Marcovitz, ´La frontiera immobile´ (Mondadori) - Ultimo nato della feconda scuola triestina, Marcovitz esordisce, settantanovenne, con un romanzo di formazione ambientato tra le due guerre. Quella di Crimea e quella di Libia. Il protagonista è Milko, un giovane ingegnere meccanico che ha inventato il motore a sei cilindri con intercooler quasi vent´anni prima della nascita dell´automobile. La percezione dell´inutile è acuita dal senso di spaesamento (Milko abita a Gorizia, ma ha la fidanzata a Codroipo e gli piacerebbe vivere a Udine), dalla coscienza dell´anacronismo, dalla incipiente crisi della società borghese e da una fortissima emicrania che perseguita Milko fin dalla nascita.

Bastiano Otis, ´Io non lo so perché tu mi fai questo´ (Baldini & Castoldi) - Ex maestro di snow-board, Bastiano Otis ha già arricchito gli scaffali del nuovo noir italiano con due titoli di successo, ´Io non capisco´ e ´Undurubamba´, ritratti aspri e disincantati del mondo della happy-hour. Nel suo terzo romanzo il protagonista è Ivo, un bambino di otto anni che stermina la famiglia con la cerbottana. Lo salverà l´amicizia con un boss mafioso, conosciuto in carcere durante l´happy-hour.

italo calvino (tullio pericoli)
  
Artemia Cutrufo, ´Prima del solito´ (Rizzoli) - Dopo la Ferrante e la Mazzantini, un´altra storia al femminile che non arretra di fronte alla forza dirompente dei sentimenti e dell´eros. La protagonista, Osiride Van Der Eulenpetterson De Catarina, è una donna comune, travolta dalla fine del suo matrimonio con un vecchio pregiudicato alcolista. Il ricordo delle percosse del marito, che la picchiava con la sua protesi (ha una gamba di legno) e la costringeva a lavare la biancheria delle sue amanti, non inganna Osiride: lei sa che quello, e non altri, è l´amore fatale della sua vita. Lui però no, ed è da questo appassionante disguido che si dipana la trama dirompente del romanzo. Respinta la corte insistente di un miliardario trentenne identico a Warren Beatty, la protagonista insegue l´ex marito per tutto il mondo, trovandolo e perdendolo di nuovo nei bordelli di Hong-Kong, nella bidonville di Kinshasa e all´Ikea di Casalecchio, mentre cerca di uccidersi gettandosi nella vasca delle palline colorate.

Aldo Di Giacomo, ´La vita avventurosa di Ercole Crassi´ (Cucchi & Bisi) - Funzionario Rai addetto al palinsesto notturno, Aldo Di Giacomo, già autore di diversi saggi sul gioco delle carte, esordisce nella narrativa con una convincente rievocazione dell´epopea di Ercole Crassi, il navigatore italiano, rivale di Magellano, che cercò di circumnavigare la Terra partendo dal Mar Caspio. Scritto a mano sul retro delle scalette Rai, il libro è una piacevolissima e arguta ricognizione sullo spirito d´avventura. Qualche perplessità ha suscitato la scelta di Di Giacomo di battezzare tutti i suoi personaggi, dai marinai di Ercole Crassi fino agli indigeni Papua che lo eleggono sciamano, con i nomi autentici degli uscieri Rai di viale Mazzini. Lo stesso Ercole Crassi, secondo insistenti rumors editoriali, non sarebbe un navigatore del Sedicesimo secolo, ma il centralinista del quinto piano.

M´Benka Onkelogu, ´Dopo gli altri´ (Feltrinelli) - Ventunenne del Gabon, in Italia da sei mesi, Onkelogu si aggiunge alla non esigua schiera di giovani immigrati che scelgono di esprimersi nella lingua acquisita, pur non tradendo le loro radici. Ibridando l´italiano con lo swaili, con il gergo dei pub romagnoli dove passa le serate, con i testi delle canzoni degli Oasis, con il linguaggio degli sms, con le bollette della luce che consegna a domicilio e con le bestemmie dei vigili urbani di Faenza che cercano di agguantarlo quando passa col rosso, il giovane gabonese ha saputo creare uno straordinario, vitale impasto di suoni e sensazioni che fa riflettere sulla ricchezza culturale della nuova società multietnica. La trama: non esageriamo, adesso.


Ennio Flaiano
Parole catturate in rete


La nascita del paparazzo
Su
Museo della fotografia

Giugno 1958
Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ha ben chiaro in testa il personaggio, ne conosce il modello: un reporter d'agenzia, di cui mi racconta una storia abbastanza atroce. Questo tale era stato mandato al funerale di una personalità rimasta vittima di una sciagura, per fotografare la vedova piangente; ma, per una qualche distrazione, la pellicola aveva preso luce e le fotografie non erano riuscite. Il direttore d'agenzia gli disse: " Arrangiati. Tra due ore portami la vedova piangente o ti licenzio e ti faccio anche causa per danni". Il nostro reporter si precipitò allora a casa della vedova e la trovò che era appena tornata dal cimitero, ancora in gramaglie, e vagante da una stanza all'altra, istupidita dal dolore e dalla stanchezza. Per farla breve: disse alla vedova che se non riusciva a fotografarla piangente avrebbe perso il posto e quindi la speranza di sposarsi, perché s'era fidanzato da poco. La povera signora voleva cacciarlo: figurarsi che voglia aveva di fare la commedia dopo aver pianto tanto sul serio. Ma qui il fotografo, in ginocchio, a scongiurarla di essere buona, di non rovinarlo, di piangere solo un minuto, magari di fingere!, solo il tempo di fare un'istantanea. Ci riuscì. La povera vedova, una volta presa al laccio della pietà, si fece fotografare piangente sul letto matrimoniale, sullo scrittoio del marito, nel salotto, in cucina. Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare, perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio "vivrà". Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell'aureo libretto di George Gessing che si intitola "Sulle rive dello Jonio" troviamo un nome prestigioso: "Paparazzo". Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l'onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino.
Testo tratto da: Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Adelphi Editore, Milano, 1996

la dolce vita
  

Gatti, volgarità, fascismo
Su Broderie

Quel gattino che nella nota incisione siede sulla spalla di Edgar Poe, quell'altro che consolava lo spleen di Baudelaire, quei gatti zuccherati di Colette (che aveva finito per assomigliare a una gatta col fiocco al collo), quei gatti polemici di Léautaud, anche lui vecchio gattone pieno di croste, sono arrivati a Roma.
Non c'è scrittore o scrittrice che non abbia il suo gatto o che non stia pensando di allevarne uno.
L'altra sera io e Maccari incontriamo un gatto tanto insolente che: "Diamogli una pedata" dice Maccari; "c'è il caso che sia il gatto di uno scrittore".
E rivolto al gatto che ci guardava spavaldo:
"Vergogna! Va' a prendere i topi".

La libertà conduce alla noia e la noia alla dittatura.
Per consolarci frughiamo tra i nostri escrementi, fisici o letterari. La merda è una certezza. Bene o male siamo noi a farla.
L'italiano è il più adatto alla sopravvivenza, in un mondo che si avvia verso la volgarità, perché è il più disponibile alle novità e le adotta subito.
Conserva invece le più volgari.

Il fascismo conviene agli Italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità.
Il fascismo è demagogico ma padronale retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli " altri "le cause della sua impotenza o sconfitta.
Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista.
Non ama la Natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito.
Odia gli animali, non ha senso dell'arte non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d'altronde non rispetta lui.
Non ama l'amore, ma il possesso.
Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l'ascesa al potere.
Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des.
È superstizioso, vuoi essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri.
Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.
Le madri sono generalmente fasciste.

Molti muoiono a Firenze non avendo potuto nascerci.

ennio flaiano (disegno di fellini)
  

Consigli di scrittura ad un analfabeta
Su Il mestiere di scrivere

Chi apre il periodo, lo chiuda.
È pericoloso sporgersi dal capitolo.
Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi.
Lasciate l'avverbio dove vorreste trovarlo.
Chi tocca l'apostrofo muore.
Abolito l'articolo, non si accettano reclami.
La persona educata non sputa sul componimento.
Non usare l'esclamativo dopo le 22.
Non si risponde degli aggettivi incustoditi.
Per gli anacoluti, servirsi del cestino.
Tenere i soggetti al guinzaglio.
Non calpestare le metafore.
I punti di sospensione si pagano a parte.
Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata.
Per le rime rivolgersi al portiere.
L'uso del dialetto è vietato ai minori dei 16 anni.
È vietato servirsi del sonetto durante le fermate.
È vietato aprire le parentesi durante la corsa.
Nulla è dovuto al poeta per il recapito.


Il calabrone
Su Flaiano freeweb

"Il calabrone entra nella stanza illuminata, va a battere velocemente
contro la lampada, le pareti, i mobili.
Rumore secco delle sue zuccate.
Dopo un po' si acquatta per riprendere le forze.
Ricomincia contro la lampada, le pareti, i vetri, e daccapo contro la lampada. Infine cade sul tavolo,
zampe all'aria, la mattina dopo è secco, leggero, morto.
Non ha capito niente, ma non si puo' dire che non abbia tentato."
Ennio Flaiano - un appunto, 1957


Aforismi
Su Aforismi.org

Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole.
Il cinema è l'unica forma d'arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.
Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà.
Il traffico ha reso impossibile l'adulterio nelle ore di punta.
L'avarizia è la forma più sensuale di castità.
L'amore comincia quando ci accorgiamo di avere sbagliato ancora una volta.
Oggi il cretino è pieno di idee.
Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati...
La stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia.
Anche il progresso, divenuto vecchio e saggio, votò contro.
Gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori.
Una volta il rimorso veniva dopo, adesso mi precede.
Uccide la suocera scambiandola per la moglie.
Cosa fareste se scopriste che l'amante di vostra moglie la tradisce con un'altra?


Cotron Club
Il blog di Roberto Cotroneo
Su
L'espresso


La voce di Bertolucci

Ho ritrovato il libro che cercavo, stava nel posto sbagliato. Accanto accanto al romanzo di Guimares Rosa, al "Grande Sertao". E' una raccolta di poesie di Attilio Bertolucci, pubblicata da Garzanti nel 1993. Si intitola "Verso le sorgenti del Cinghio". Ricordavo una poesia, intitolata "Natura morta", ricordavo il primo verso. Ma con una confusione della memoria. Sono certo che quel verso me lo ha detto lui a voce, in un pomeriggio d'estate ormai di molti anni fa. Pochi minuti dopo essere sceso da un taxi in via Carini, nel quartiere di Moteverde a Roma. Dove Attilio Bertolucci abitava. Era una giornata di sole e vento leggero; primavera, questo e' sicuro. Di quel verso mi sono ricordato qualche giorno fa, sfogliando un libro di storia dell'arte, con un'immagine di una natura morta di Morandi. Pensavo alla pittura quando si fa poesia, e alla poesia quando si fa pittura. Ricordo quel suo modo di sedere sulla poltrona, ma soprattutto il sorriso di Attilio Bertolucci, un sorriso che era gentile, ironico, beffardo e dolcissimo, tutto assieme. Quel suo modo di parlarti strano, di parlare dei figli, e di Pasolini. Di Pasolini che abitava in quel palazzo. Di quando chiese a Pier Paolo di prendere Bernardo come aiuto regista. Della "Strategia del ragno", che era il suo film preferito. Della sua ansia e della sua nevrosi. Del non dire mai domani. Di quella lingua italiana che usava, parlando, che pareva risuonasse fino al Gianicolo, ma senza vezzi e senza compiacimenti. Di quella sua leggerezza fatta di passioni autentiche e lievi, del cinema a Parma, degli anni passati che non pesano quando puoi descriverli aleggiando come una piuma guidata dal vento, dell'Appennino...
Sabato mi sono svegliato pensando a Bertolucci, al suo sguardo, a quella voce imbrunita dagli anni. Ho cercato la poesia, non l'ho trovata, ho cercato di ricordarla per tutto il giorno. Ora ce l'ho qui: "Sei una bottiglia dal collo lungo / inargentato di polvere, una stridula ballerina / cui la schiuma pesa / come una capigliatura". L'ho guardata sulla pagina come fosse un quadro, sentita come un passaggio musicale. Potenza vera di una voce che so ancoora ricordare, magia autentica di un grande poeta. Fuori, la giornata ora sembra piu' leggera....
23 giugno 2003


Pochi premi molto onore...

Ho ricevuto una mail. Con una battuta: solo una una. Ma perche' te la prendi tanto con lo Strega, e non con il Campiello o con il Viareggio? Firma sconosciuta. Cinque consonanti e basta. Le stesse della posta di hotmail che ho ricevuto. In pratica una lettera anonima via mail. Non mi sembrava una domanda cosi' arrischiata da dover essere coperta da tanta segretezza. Ma se chi ha scritto non intendeva rivelarsi, pazienza, credo che me ne faro' una ragione. Solo che dopo la firma c'era un post scriptum: "non e' che sei candidato a uno dei due premi?". Colpito da tanta arguzia. Faccio presente alcune cosucce.
1. Il Campiello è gia' stato fatto. E non ero candidato. Infatti nella cinquina non risulto.
2. Il Viareggio sceglie lui le candidature, e io non sono candidato neppure a quello, visto che nessuno dei membri della giuria (lunga assai) ha ritenuto di occuparsi del mio ultimo libro.
3. Generalmente non mi candido a premi di qualsivoglia natura. E questo lo sanno bene quelli dell'ufficio stampa del mio editore. Non mi candido perche' non li vincerei mai. Perche' per vincere dei premi in Italia (non so altrove) bisogna fare un lavoro assolutamente sommerso e faticosissimo che consiste in:
3.1.Tenere rapporti telefonici o epistolari con giurati di ogni genere. Rapporti non esattamente improntati alla chiarezza e alla sincerita' ma atti a elogiarli in ogni modo e in ogni forma, affinche' essi stessi ne abbiano un vantaggio in termini narcisistici.
3.2. Poiche' tutti i giurati dei premi sono anch'essi inequivocabilmente scrittori di varie e frequenti opere, recensire in proprio, o se non ci si riesce sempre, affidare ad altri fidati la cosa, ogni loro testo, non dimenticando di affermare gia' dal primo capoverso che si tratta di capolavori assoluti.
3.3. Recensire o fare recensire anche i libri di cordata. Ovvero di tutti gli amici, magari piu' sfigati e meno visibili, dei suddetti giurati.
3.4. Scrivere encomiastici articoli sulla grande importanza del premio di cui i giurati rappresentano l'anima critica. Sostenere che e' piu' autorevole del Nobel, o se ancora non lo e' sostenere che lo diventera'.
3.5. Tessere rapporti di grande cordialita' con i vincitori di tutte le edizioni. Se il premio ha lunga vita, anche con quelli morti e passati alla storia della letteratura. Parlare di loro come dei grandi scrittori anche perche' hanno vinto il premio Tal dei Tali.
Se si seguono queste regole, con precisione e con grande entusiasmo, aspettare un lustro, forse due, e sperare che le giurie nel frattempo non siano cambiate, perche' sennò si ricomincia da capo. Dopo un lustro o due ricevere il premio con sorriso sulle labbra, e farsi recensire dai prossimi aspiranti, tessere cordiali rapporti con loro, e via dicendo.
Contento, caro estensore di mail anonima? Poiche' mi manca il software per fare di queste cose, e nessuno riesce a istallarmelo, sono tranquillo. Pochi premi (anzi nulla) molto onore...
25 giugno


Merluzzi surgelati

No, non sono sedotto da internet, anzi, ho con internet un rapporto di fastidio. Non credo all'idea che internet possa sostituire qualcosa. Non credo che uno scrittore ci possa ricavare molto. Non credo che lo scambio di idee, fisico, possa essere sostituito da un post di un blog, o da un commento. Ci stiamo deprivando di stimoli sensoriali. Eppure internet ha prodotto un miracolo impensabile fino a dieci anni fa. Il ritorno della scrittura come mezzo di espressione. La scrittura che torna a fagocitare tutto. La scrittura che troppo spesso si sostituisce alla vita. Da un mese, forse più, dialogo con persone di cui non so nulla, non conosco il loro nome, non so dove vivono, quanti anni hanno, qual è il loro aspetto fisico, che lavoro fanno. Qual è il suono della loro voce, e come gesticolano. Dialogo con dei "testi". Attraverso un filtro che piu' letterario di cosi' non si puo'. Non so quanto sia giusto. Non so se questo possa produrre in altri un'idea di seduzione (come sostiene di fatto, Gio' nel commento a un post precedente), a me non la produce affatto. Cerco di smontare, in un modo persino "antiblog", questo meccanismo perverso, ma e' la cosa piu' difficile.
Fuori da questo schermo, eccetto il caldo, c'e' il sole, e la gente passeggia, va di corsa, cammina, si racconta le cose. Esiste una vita di idee, che nonostante tutto, procede comunque. Dunque non parlatemi della seduzione di un blog che prende gli scrittori. E' come se un bastoncino surgelato di merluzzo potesse farvi sentire il fascino e il profumo del mare...
27 giugno 2003


Non ne posso più...
altan
  
Non ne posso più. Sono assediato da giornali che mi parlano di nobili che danno feste, ricevimenti che rimandano ad altri ricevimenti, spiagge di vip, ultime spiagge, penultime e terz'ultime. Porti cervi, e amenità del genere. Matrimoni annunciati e matrimoni consumati (dalla noia di leggerli come fossero un bollettino medico). Girandole di gente improbabili che non sai bene che fa, e non sai bene che cosa vuole. Dall'altro lato mi risuonano di continuo i gingle delle pubblicità di telefonini, videotelefonini, carte prepagate, carte con due numeri, con tre, forse con quattro, offerte vantaggiosissime per parlarsi per ore fino all'alba. E' una continua comunicazione del nulla, sul nulla, per il nulla.
Intanto attorno, in questo paese, accade di tutto. Soprattutto una sorta di rivoluzione, che definirei brutalmente culturale. Una rivoluzione che porta il segno di un tremendo impoverimento etico, dell'arroganza contro ogni regola del vivere civile, e soprattutto della prepotenza. Stiamo diventando un paese prepotente. Dominato da quei nani e ballerine che un tempo erano in seconda fila, e oggi stanno non solo in prima fila, ma dirigono il traffico. Siamo tornati a pieno titolo una periferia dell'impero, senza i vantaggi delle periferie. Nauseati di informazioni continue che non servono a nessuno. Oggi Umberto Eco su "Repubblica" riferisce l'idea di un giornalista tedesco che gli italiani sono più intelligenti perché "abituati a vivere in una paese contraddittorio".
Credo che non siamo più un paese contraddittorio. Che siamo un paese che procede secondo una logica binaria: potere contro emarginazione, oligarchia di fatto contro una democrazia, che ha perso la cultura della democrazia. Che cosa c'entrino i telefonini e i patetici nobili, le feste e i vip in tutto questo è facile capirlo. Fanno parte di un sistema che mi sgomenta, e che è profondamente fascista. E non mi vengano a dire i filologi storici che il fascismo è un'ideologia precisa, che nasce e muore in un circoscritto periodo storico. Il fascismo è una categoria dell'anima, è il non riconoscere l'altro. E' l'amoralità, l'antietica, è l'idea classista e razzista che esiste una casta di privilegiati, a cui tutto è dovuto, e poi tutto il resto del mondo, che può soltanto ingrossare le file dell'anonimato. E' l'idea del privilegio come idea cardine di una società, l'idea del denaro come metro di misura del privilegio, l'idea del potere come unica forma di identità. Identità costruita per schiacciare altre identità che hanno la possibilità, l'unica possibilità, di illudersi di esistere. Attraverso i loro sms e il loro mms, attraverso un chiacchiericcio di comunicazione, pagato a caro prezzo, di strumenti che troppo spesso sono inutili.
Ma è il disprezzo del pensiero, del ragionamento, della filosofia e della complessità a dominare questi anni. La complessità è un pericoloso ostacolo per chi ha capito come si fa a mantenere un potere che non è legittimo, ma è il frutto di una rapina. In questo sono chiare ed evidenti le rovine ancora fumanti della cultura di questo paese. Cancellata da una sofisticata stupidità. E dall'indifferenza di chi ne è diventato vittima consapevole.
11 luglio


Ultimo tango a Strasburgo
Roberto Benigni su
Centomovimenti

Quello che segue è il testo dell'intervento tenuto da Roberto Benigni alla consegna del "Premio Fiesole Maestri del Cinema" a Bernardo Bertolucci.
Il cinema italiano sta prendendo in tutto il mondo un'aire meravigliosa: al Parlamento europeo il nostro presidente del Consiglio ha aperto il semestre parlando di cinema, citando un grande film di Gillo Pontecorvo, "Kapò", e con un'ottima imitazione del principe De Curtis, quindi ha unito la commedia e la tragedia. Il semestre europeo sarà sull'onda del cinema italiano.
Non voglio parlare di Bernardo Bertolucci perché non avete certo bisogno di una candela per vedere il sole: è una cosa straordinaria. Io con la famiglia Bertolucci ho un rapporto antichissimo: mi hanno cullato. Giuseppe Bertolucci mi ha iniziato ai legni dell'inquietudine, della gioia, della magnificenza della vita, mi ha dato proprio ogni cosa, dalle scarpe alle unghie a tutto l'afflato dell'amore viscerale. Il babbo, Attilio Bertolucci, un poeta meraviglioso, una di quelle persone che quando muoiono gli dispiace a tutti, anche all'impresario delle pompe funebri talmente è meraviglioso. Mi ha insegnato la poesia, l'amore. Quanto mi ha voluto bene... E poi la su'mamma Ninetta, Claire Peploe, una regista straordinaria, e Bernardo Bertolucci... Cosa si può dire, il nome solo, Bernardo Bertolucci, lo senti: è un verso, è un trisillabo, un quadrisillabo, è una cosa straordinaria.
Quando si va al cine, due sono le cose straordinarie da vedere per uno spettatore: nelle opere grandi o c'è una grande religiosità o un grande erotismo. Ecco, in Bernardo ci sono tutte e due. La religiosità, quella che c'è in Bergman e in Buñuel, il grande erotismo buñueliano. Non dico dell'erotismo esplicito di alcune memorabili scene che in qualsiasi cineasta possono capitare: parlo di un erotismo, di una sensualità del cinema di Bernardo Bertolucci che appartiene solo a lui, misteriosa, irrisolvibile. Io l'ho guardato come si guarda il suo cinema: la maniera, la forma erotica, quella sensualità celeste, serenissima sensualità. La macchina da presa di Bernardo è come se volesse sedurre lo spettatore, gli fa la corte, lo guarda di sottecchi, dice sì, dice no, si ritrae, finalmente lo abbraccia e si corica con lui tutta la notte. È una cosa proprio sensuale, erotica, da volergli bene, è un mistero che appartiene solo a lui.
L'ho invidiato, l'ho amato, come fa? Lo si guarda ed è inutile chiederselo: i misteri svelati sono sviliti. Non lo dirà a nessuno nemmeno lui perché forse non lo sa o forse lo sa e non lo vuole dire. Per questo sono straordinariamente grato del fatto che mi abbiano chiamato a Fiesole, la cittadinanza, il sindaco, gli assessori, il sindacato nazionale critici cinematografici che hanno avuto un'idea straordinaria perché Bernardo è proprio... non dico che è il più grande regista del mondo perché non amo le classifiche: però, ecco, dico che lo è. E se gli altri si arrabbiano io dico loro che sono dei turisti della cinematografia. Questo voglio dire loro. E se loro si offendono, io faccio le mie scuse, anzi i miei rincrescimenti. Anzi, ritiro le scuse e i rincrescimenti. Parola di Kapò.

il manifesto del 10 luglio
  

Capolavori in vista
Fiorella Minervino su
La Stampa

E Monza sognò Versailles
Maria Teresa d'Austria volle per l'amato figlio Ferdinando una villa in campagna (degna di ospiti illustri) e una reggia capace di riflettere il senso del potere e le consuetudini di corte secondo il protocollo dettato da Carlo V per la casa d'Austria. L'imperatrice chiamò l'architetto Piermarini, allievo del Vanvitelli, che nel 1777, in soli 3 anni, creò un capolavoro degno d'una Versailles per il Nord Italia. Un corpo centrale con le sale da ballo, da pranzo, da gioco e di rappresentanza al primo piano nobile; al secondo nobile gli appartamenti per i membri della famiglia reale e gli ospiti; un belvedere affacciato sul parco contro la calura estiva, nell'ala nord e sud stanze, per i collaterali della famiglia e gli ospiti; al primo ammezzato aiutanti di campo e dame d'onore, servitù e personale d'ufficio; piano terra per personale di servizio minuto.
Sistemazione astuta poiché le due ali della villa erano a manica doppia, ciascuna divisa da un corridoio centrale che immetteva nelle stanze. Il delizioso teatrino venne affrescato dall'Appiani. Poi arrivò Napoleone, o meglio il Vicerè Eugenio di Beauharnais, che nei cinque anni di regno tanto fece per la Brianza e per Milano: aprì Brera a museo e rese la Scala un grande teatro. Chiamò il Canonica per aggiustamenti e aggiornamenti: su consiglio della madre Eugenia acquistò il parco recintato più grande delle regge d'Europa per farne "una seconda Versailles". Fu un grande momento per la reggia e per il giardino che si estende per oltre 700 ettari, vanta 25 chilometri di viali alberati e ben 9.000 piante con un'entrata giornaliera ai nostri giorni di 41.000 persone.
Poi tornarono gli Asburgo e vennero i Savoia. Umberto I, fra il 1880 e il '98 fece rinnovare e ristrutturare arredi e decori della Villa dagli architetti Tarantola e Achille Majnoni di Intignano. Volle più appartamentini e servizi. Lui e la regina Margherita ricevevano parecchio, come attesta la raccolta di menù della Collezione Bernasconi con i nomi degli invitati scritti sul retro. L'uccisione del re nel 1900 fece chiudere le stanze e la magnifica villa cominciò a decadere. Oggi il gioiello è in stato deprecabile. C'è chi vorrebbe farne un museo del design o delle carrozze, se non un albergo. Nessuno pensa di trasformarlo nel museo di se stesso.
19 giugno 2003

villa reale di monza: sala del parnaso
  

Il marinaio col sorriso da pittore
Lo dicevano un marinaio ignoto di Lipari. Fu Roberto Longhi ad additarlo quale barone o uomo facoltoso. E' uno dei ritratti più stupefacenti e singolari perfino nel grande Antonello, il quale dapprima apprese parole fiamminghe dal maestro Colantonio a Napoli, poi seguì le proprie predilezioni, precisione nei dettagli, psicologia del personaggio con scarni accenni, magnfiche superfici trasparenti, quasi smaltate, che aveva attinto dai fiamminghi, come l'uso dell'olio invece della tempera, se non mescolata per usare velature. Rinnovò la Scuola Meridionale, con vertici inaccessibili come questo ritratto.
Il Pittore coglie nella realtà minuziosamente descritta, l'esistenza assoluta del personaggio, la sua sostanza fisica e spirtuale, con il primo piano ravvicinato, senza accenni all'ambiente, lo rende di tre quarti con effetto di avanzamento nello spazio, verso l'osservatore. Pare enorme ed è minuscolo, manca del consueto cartiglio e accenno di davanzale ricorrenti in altri ritratti. Zigomo allargato, occhi allungati, cappello in testa, il chiarore del collo, della veste che affiora e della striscia, rendono più violento il contrasto di luce e ombra, e colori.
antonello da messina: ritratto di ignoto
  
Resta l'incredibile sorriso, con la fossetta, che coinvolge e travolge volto e busto. Molto si è scritto e congetturato su quel sorriso, tanto che il primo romanzo di Enzo Consolo si intitolò "Il sorriso incerto del marinaio". Ad Antonello attribuirono viaggi nelle Fiandre, a Roma, dipinti non suoi: celebre in vita, il Vasari lo descrisse "persona di buono e desto ingegno...fece molti quadri a olio, secondo che in Fiandra aveva imparato". A me piace pensare che quel sorriso, per nulla incerto, enigmatico, ma sicuro, di colui che forse vuol sorridere del mondo, si frena con qualche cinismo, appartenga ad Antonello stesso, sia magari l'autoritratto tanto ricercato del pittore "fiammingo" d'Italia che riuscì a farsi beffe, dal Sud, dei grandi, imparando, ma pure insegnando fin ai veneziani. Sorriso che riaffiora talora in personaggi che dalla Sicila provengono, con spirito, saggezza, cultura, propensione all'analisi.
4 luglio 2003


Il Bacco? Un ex voto per guarire
caravaggio: bacco
  
Verdognolo, pallore e aria malsana, smorfia di dolore, corpo un po' rattrappito, occhi smisurati, labbra esangui, mani livide, tunica biancastra- violacea, il giovane Michelangelo Merisi esercita attrattiva e non poca angustia. Caravaggio, 22 anni, è alla sua prima opera a Roma, dove è approdato dalle nebbie di Lombardia e Milano, dal suo maestro Peterzano. Nella bottega del potente Cavalier d'Arpino, dipinge solo "contorni", canestri con fiori, frutta, vuole creare figure umane. Ammalato, è ricoverato all'Ospedale della Consolazione. L'Autoritratto, splendido, enigmatico, forse eseguito durante la convalescenza, o subito dopo, si propone quale sorta di ex voto per la guarigione, ed è antico e nuovo. Caravaggio si raffigura come Bacco, dio del vino e dell'ispirazione in voga nel 500-600 presso gli artisti. Forse come il creatore universale, se non l'oppresso dal "furor lunatico", poetico, affetto cioè da melanconia, oggi depressione. Tuttavia taluni simboli parrebbero eloquenti. Le tenebre non sono ancora di potenza creativa, la figura è ritratta in luce contro un fondo buio, appena suggerita dal chiaroscuro lombardo, splendenti i gialli dell'uva (i chicchi variano di grandezza, ne compare uno secco), la luce gioca sul verde della corona, due foglie sono già ingiallite. Con la mano destra porta il grappolo verso la bocca, l'altra pare afferrare dei chicchi. La gamba rialzata come nel "San Giovannino" è segno di elevazione e resurrezione, l'edera sempreverde simbolo di vita eterna, quanto all'uva, assume in lui giovane il signficato cristologico, così come dall'uva nera alla dorata si può intravvedere il transito dalla vita alla morte. Sicché come Maurizio Calvesi addita, questo dipinto, forse eseguito per il protettore Cardinal Del Monte, potrebbe rappresentare in Bacco, il greco Dioniso, morto e risorto, e dunque un annuncio misterioso di "resurrezione" o Redentore come presso i neo-platonici. Raffinato ed ermetico lo stupendo Autoritratto è un augurio, con allusioni alla resurrezione dalla malattia, non ancora dalla melanconia. Se non l'augurio alla propria futura gloria.
7 luglio 2003


Carpaccio e le cortigiane diffamate
carpaccio: le cortigiane
  
Le hanno in passato ingiustamente definite "Cortigiane", mentre si tratta certo di due dame con evidenti segnali di ricchezza, nobiltà, moralità, pur se non celano noia o disinteresse. Abiti eleganti, scollature procaci, acconciature alla moda, ma perle al collo che indicano nella più giovane osservanza alle regole matrimoniali, nonché famiglie agiate, così come il fazzoletto candido che scende dalla mano è segno di purezza. Per un gran narratore quale il Carpaccio ogni dettaglio svela significati reconditi, così le tortore, il pavone femmina, i cani, sono simboli di pudicizia, concordia coniugale, fedeltà e vigilanza, la donna più matura, assai simile alla giovane, forse sorella o madre, è garante di tutti questi valori espressi. Inoltre il vaso con il mirto, l'arancia, sono per lo più connessi alla Vergine Maria. Lo stemma sul vaso è stato identificato con quello dell'antica famiglia cittadina dei Preli.
Opera mirabile per qualità pittorica, finezza nei dettagli, raffinateza cromatica, come per impianto spaziale e prospettico, venne creata verso il 1490-95 ed è priva della parte superiore, ora identificata con la Caccia in laguna che si trova al Getty Center di Los Angeles. Perché tanta noia, una certa malinconia e il disinteresse della giovane che guarda diritta fuori dal dipinto, forse verso il vuoto, senza neppure curarsi del ragazzino a lei prossimo? E' possibile che entrambe stiano aspettando i mariti dalla caccia, ore dopo ore. Altrimenti l'esistenza delle due nobili dame a Venezia doveva comportare, specie in quelle meno colte e in genere le più preparate erano soprattutto le cortigiane, una buona dose di possente noia e melanconia, quella che oggi tante signore delle nostra buona società scambiano per depressione.
Forse ne soffrono davvero, e proprio allorché si danno troppo da fare per cose inutili: l'assenza di interesse vero ne è segnale vistoso.
10 luglio 2003





   13 luglio 2003