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Satira e sfottò
di Alex Vidiani

Quando si dice "il caso": apro, per motivi puramente professionali, un vecchio libro curato da Luigi Allegri, docente universitario, esperto di teatro e spettacolo.
Si tratta di una lunga intervista a Dario Fo, anzi, come dice il titolo, un dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione.
Il libro è vecchio, dicevo: risale, nientedimeno, alla Prima Repubblica, all'era precedente Tangentopoli, al 1990, per la precisione.
Quello che riporto è proprio l'inizio del dialogo. Preistoria, inizialmente (Craxi, Spadolini, Barbato… Andreotti non fa testo: di lui si parla dal Mesozoico); poi, all'improvviso, l'attualità più stringente e, a saper leggere, anche un baluginìo di tetra preveggenza…

Allegri. Cominciamo con uno sguardo generale: qual è la situazione del comico e della satira, oggi?

Fo
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Qualche giorno fa in televisione s'è svolto un dibattito, a "Fluff", a proposito della satira, della comicità, del fare ironia, del fabulare: tutti gli ingredienti che ci interessano. A quell'incontro erano invitati alcuni gruppi, tra questi c'era quasi tutto lo staff della trasmissione televisiva "Biberon", metà teatro e metà televisione, che si rivolge ad un pubblico vasto ed eterogeneo ma si preoccupa, almeno sulla carta, di fare della satira.
Però, quale tipo di satira? L'ironia fatta sui tic, sulla caricatura dei connotati più o meno grotteschi dei politici presi di mira, dei loro eventuali difetti fisici, della loro particolare pronuncia, dei loro vezzi, del loro modo di vestire, del loro modo di camminare, delle frasi tipiche che vanno ripetendo. C'è, ad esempio, la caricatura di Craxi, aggressivo e arrogante; poi c'è, mellifluo e pieno di abili svicolate, il personaggio di Andreotti; poi c'è De Mita, un po' tonto ma professorino impettito: una pera William con la cravatta; e poi il grasso, sudaticcio, bolso, affaticato Spadolini, e via così di seguito.
E guarda caso, molti degli stessi personaggi tirati in ballo nello sfottò scenico, vengono poi invitati in carne ed ossa ad assistere e a partecipare allo spettacolo medesimo, vengono addirittura intervistati, sollecitati a dar risposte, presentati quasi a fare il doppio della loro caricatura. Una caricatura che, è ovvio, risulta del tutto bonaria, del tutto epidermica, che indica, come dicevo prima, soltanto la parte più esteriore del loro carattere, i tic la cui messa in risalto non lede assolutamente l'operato, l'ideologia, la morale e la dimensione culturale di questi personaggi.
D'altronde lo stesso Andrea Barbato, il conduttore di "Fluff", cercava di confutare il valore di quel tipo di satira (anche se di tanto in tanto li adulava, ed è comprensibile: dopo averli invitati non poteva poi anche sotterrarli indignato), ricordando che i politici provano un enorme piacere nel sentirsi presi in giro; è quasi un premio che si elargisce loro, nel momento stesso in cui li si sceglie per essere sottoposti alla caricatura, a quella caricatura.

Allegri. Si sa che i politici chiedono in omaggio gli originali ai disegnatori satirici.

Fo
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Certo, fa parte tutto dello stesso meccanismo. Di fatto questa è una forma di comicità che non si può chiamare satira, ma solo sfottò. È una chiave buffonesca molto antica, che viene di lontano, quella di giocherellare con gli attributi esteriori e non toccare mai il problema di fondo di una critica seria che è l'analisi messa in grottesco del comportamento, la valutazione ironica della posizione, dell'ideologia del personaggio. Pensa quanti pretesti satirici si offrirebbero se solo quei comici del "Biberon" volessero prendere in esame il modo in cui questi personaggi gestiscono il potere e lo mantengono, o si decidessero a gettare l'occhio sulle vere magagne di questa gente, le loro violenze più o meno mascherate, le loro arroganze e soprattutto le loro ipocrisie.
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7 aprile 2001