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Ricordando Fabio Biraghi

da: Pino Riva
inviato il: 13/03/02 23.30
Soggetto: Ricordando Fabio


Cari amici,
mentre fremete per la sorte delle rane di lataste, o vi appassionate per la composizione del tavolo, voglio ricordarvi il mio amico e collega Fabio Biraghi, un geometra funzionario comunale, che domenica si è impiccato ad un albero dopo aver vagato per ore sulle montagne di Lecco, perchè aveva paura di finire in prigione in quanto non aveva ordinato la demolizione di una baracca in legno di un'altro povero disgraziato.
Un tempo bastava pensare "conosco e faccio il mio dovere" per sentirsi protetto dall'appartenenza all'amministrazione e dalla certezza delle leggi. Oggi non è più così: abbiamo paura, e siamo in balia di ogni evento.
Faccio allora un appello, ricordando il mio tempo trascorso con Fabio, a rimettere in sesto questo povero Comune di Monza, partendo dalla cultura dell'amministrazione che va riconquistata, dopo anni e anni di esperimenti e di dilettantismo (a dire poco).
Non basta solo, purtroppo, l'onestà e la buona volontà, che sono comunque indispensabili, ma occorre anche conoscere tutto il ventaglio dei problemi dell'amministrazione e sapere come risolverli. Ed in più la capacità fisica di produrre un lavoro puntiglioso, giornaliero, instancabile, per tutta la durata della legislatura. Occorre poi avere esperienza e capacità politica per saper tenere unita l'amministrazione su un programma ideale omogeneo, da tutti condiviso. Essere donne o uomini capaci di unire, di dare fiducia, mai arroganti o superbi, con una storia pulita alle spalle.
Gli amici dell'Ulivo, il candidato che risponde a queste aspettative l'hanno già in casa; non abbiano paura di fare il suo nome.
 
Pino Riva

da: alessandra fossati
inviato il: 13/03/02 23.52
 
Caro signor Riva,
mi ha molto colpito il suo intervento, cosi come la morte del suo collega Fabio Biraghi. Non lo conoscevo, ma ne ho seguito le vicende sui giornali e mi hanno molto intristito. Ha ragione lei quando dice che spesso ci si perde nel discutere del sesso degli angeli...non voglio, comunque fare polemiche inutili...ma solo cercare di condividere con lei la sua amarezza e sperare che certe situazioni non si ripetano mai più.

Con stima
Alessandra Fossati

da: Giuseppe Motta
inviato il: 14/03/02 21.09


Il silenzio ci chiude nel suo lembo
e le labbra non s’aprono per dire
il patto ch’io vorrei
stringere col destino: di scontare
la vostra gioia con la mia condanna.
È il voto che mi nasce ancora in petto,
poi finirà ogni moto. Penso allora
alle tacite offerte che sostengono
le case dei viventi; al cuore che abdica
perché rida un fanciullo inconsapevole;
al taglio netto che recide, al rogo
morente che s’avviva
d’un arido paletto, e ferve trepido.
(Da Crisalide, di Eugenio Montale)
 

IL FIGLIO
Nessuno poteva immaginare che avrebbe rinunciato alla vita donatagli con un atto di amore.
Alla vita che aveva coltivato lavorando e amando a sua volta.
Alla vita coniugale attraverso la quale era venuto al mondo un frutto tuttora delicato e in maturazione.
Alla vita che aveva ancora da vivere.
Nessuno poteva immaginare e ora nessuno sa spiegare.
Incomprensibilità che avrebbe poca importanza se non fosse per quel figlio e per sua madre.
Altri racconterà loro qualche verità formale mentre quel figlio e quella madre debbono essere aiutati a comprendere e giustificare la drammatica rinuncia fatta dal loro padre e marito.
Come molte rinunce essa ha provocato dolore ma come moltissime rinunce essa è stata un atto di amore, almeno nelle intenzioni del suo autore.
Era solo, molto più solo di Adamo.
Non era nel paradiso terrestre ma nell'inferno del nostro mondo.
Non poteva sperare venisse creata una compagna per rompere la sua solitudine interiore ma aveva la convinzione di essere l'unico al quale incombesse il dovere di difendere la propria famiglia, figlio e moglie che amava e dai quali era amato, dai mostri che vedeva come reali: uomini di ghiaccio, mummie parlanti, fantasmi alla moda.
Si riteneva causa innocente del fardello che gli era stato posto sulle spalle e temeva che altri ne sarebbero arrivati fino a compromettere, non solo la sua vita, ma anche quella dei suoi cari.
Per questo credo abbia rinunciato alla vita: per rendere sicure e intoccabili le persone che amava.
Se è così, solo lui lo può sapere, la sua è stata una decisione intenzionalmente eroica.
Quel figlio può essere orgoglioso di suo padre e, con sua madre, possono e devono tenere la testa alta.
Non debbono nulla a nessuno e sono creditori verso molti.

Giuseppe Motta


da: Michele Faglia
inviato il: 15/03/02 7.12

Caro Pino,
                 il ricordo di Fabio è e sarà guida e richiamo ai valori dell'onestà, della correttezza, della rettitudine, dell'impegno nel proprio lavoro quotidiano, così lontana dalla corsa all'accaparramento dei privilegi, all'ossequio del potere, alla privatizzazione dell'etica pubblica a favore di interessi personali o di parte.
Valori, purtroppo disarmati di fronte allo scaricamento di responsabilità che spesso prevale nella nostra società.
Il ricordo di Fabio deve rimanere vivo nella nostra città.
Come per l'architetto Ricci, umile e meraviglioso servitore della cosa pubblica, raccogliemmo le firme col Collegio architetti ed ingegneri per la dedicazione della Biblioteca Civica, così potremmo proporre di dedicare a Fabio un edificio od uno spazio pubblico, perchè permanga , nel tempo, a memoria delle future generazioni, il ricordo del suo impegno e della sua superiore dignità.

Ciao,
Michele.

da: maria carnovale
inviato il: 17/03/02 22.27

A Pino Riva.

Incredulità e sgomento! Questo il senso dei discorsi fatti subito dopo la morte di Fabio.
Seguiti però a distanza di qualche giorno, dalle solite frasi fatte: " un gesto così estremo per un fatto così piccolo" - "forse aveva qualche problema" - " non ci si uccide per così poco"...
Siamo diventati così aridi da escludere a priori che negli "ALTRI" possa esistere una diversa (maggiore) sensibilità su argomenti come: onestà, rispetto, solidarietà?
Purtroppo la cultura (?) amministrativa imperante produce effetti che sono sotto gli occhi di tutti, prima fra gli altri un " rampantismo" che a certi livelli sfocia in personalismi ed egoismi che non possono certo convivere con sentimenti quali la "solidarietà".
E che dire di questa non cultura che tende ad emarginare, indipendentemente da professionalità ed onestà, chi non corrisponde a certi disegni non proprio limpidi?
L'isolamento, l'emarginazione e l'indifferenza portano alla perdita dell'identità sociale, equivalgono alla "morte sociale".
Cosa possiamo fare, noi tutti, affinchè nessuno viva più situazioni così dolorose?
Cosa possiamo fare per non dimeticare Fabio?

Maria Carnovale

da: lettere alla redazione
inviato il: 19/03/02 22.57

Fabio Biraghi era una persona cordiale e disponibile, amata da tutti.
La sua improvvisa scomparsa ci addolora e crea dentro ognuno di noi un vuoto incolmabile.
Amava il suo lavoro e i suoi grandi segreti erano la semplicità e l'assenza di preferenze politiche; virtù che lo hanno distinto e apprezzato.
Diversamente da quanto letto in una lettera del forum penso che la politica non aiuti il compito lavorativo ma che al contrario lo penalizza, oscurando qualità come l'onestà e l'imparzialità.
Quindi è proprio per la sua limpidezza e purezza che Fabio era stimato e ben ricordato.
Forse il suo unico difetto (se così si può chiamare) era la grande fiducia che riponeva nelle persone e che a volte purtroppo non era meritata.
Ringranziandolo per tutto il bene che ha fatto, gli porgo il mio ultimo affettuoso saluto:
ciao Fabio, sarai sempre nei nostri cuori.

Andrea