prima pagina pagina precedente indice bei momenti





l'esorcismo della figlia di gallieno


I battenti bronzei
della chiesa di San Zeno

a cura di Primo Casalini


Tutti conosciamo la chiesa di San Zeno di Verona, che non è ubicata in centro ma un po' fuori (non di molto) con un grande spiazzo davanti. Ma la chiesa che noi ammiriamo è stata costruita oltre sette secoli dopo la morte di San Zeno, che fu l'ottavo vescovo di Verona, morto nel 380 e nel cui culto confluirono storie e leggende, basti pensare che diversi episodi effigiati nella chiesa riguardano il periodo dell'imperatore Gallieno, quindi ben più di cento anni prima della vita di San Zeno, santo a cui la leggenda attribuisce una origine esotica, o africana o siriaca. Diverse di queste leggende nascevano da omonomie, per cui ad esempio si confondeva un vescovo con un patrizio di Roma che aveva lo stesso nome e che era vissuto molto tempo prima. Il nostro San Zeno, oltre che in miracoli, sembra fosse specializzato in lotte col diavolo, in particolare in esorcismi. Il suo culto non rimase oscuro per secoli, ma si sviluppò subito dopo la sua morte.

la lavanda dei piedi e l'ultima cena

Difatti nel 380 viene costruito un piccolo sacello a coronamento della tomba, e due secoli dopo, nel 589, c'è una nuova costruzione che sostituisce ed assorbe il sacello. Nel periodo longobardo ci furono diversi danni ed un conseguente deperimento, per cui fra l'804 e l'807, sotto il re franco Pipino (figlio di Carlo Magno) ed il vescovo Rotaldo sorge un nuovo edificio sempre dedicato a San Zeno, per conservarne le spoglie in un vano sotterraneo; questo edificio viene distrutto nell'899-900 durante l'invasione degli Ungari.
A metà del secolo X si ricostruisce, per impulso dell'imperatore Ottone I e del vescovo Raterio. Successivamente fiorisce il monastero benedettino attiguo alla chiesa, con diplomi e benefici degli imperatori Corrado II, Enrico II ed Enrico IV. Ma la chiesa ottoniana fu danneggiata dal terremoto del 1117.

la salita al calvario e cristo con pilato

Si può così vedere come, attraverso più di sette secoli, in almeno cinque occasioni si dette luogo a costruzioni e ricostruzioni di cui praticamente non è rimasta traccia.
Il San Zeno attuale fu costruito in due fasi: fra la fine dell'XI secolo ed il 1138 e nella seconda metà del XII secolo (con la costruzione della facciata e l'utilizzo in essa di manufatti eseguiti nella prima fase). Successivamente, ci furono solo i rifacimenti gotici dell'abside, la sostituzione delle capriate in legno con la volta a carena di nave e l'edificazione del chiostro (1293-1313).
La facciata appartiene quindi alla seconda metà del XII secolo, con il grande rosone della Ruota della Fortuna di Brioloto. Ma il protiro, il portale ed i rilievi marmorei appartengono alla prima fase, in cui fu determinante l'intervento del maestro Niccolò, che aveva già operato al Portale dello Zodiaco della Sacra di San Michele ed a Ferrara. In San Zeno furono Matilde di Canossa, Federico Barbarossa (dopo la pace di Costanza del 1184), Federico II, Ezzelino da Romano e Dante Alighieri, che ne parla nel Purgatorio. San Zeno è un grande esempio della architettura romanica in Val Padana. Due frammenti bronzei della porta furono sottratti nel 1909 e finirono a Berlino nel Kaiser Friedrich Museum, distrutti poi da un bombardamento aereo verso la fine della seconda guerra mondiale.
Nel San Zeno che noi conosciamo, prevale all'inizio l'influenza ottoniana e normanna, poi subentra l'architettura lombardo-emiliana; la facciata di San Zeno si ispira a quella del Duomo di Modena, ma dà una impressione più pittorica rispetto al plasticismo esemplare di Modena. Forse è presente anche una influenza bizantina proveniente da Venezia.

la cacciata dal paradiso terrestre

Nella facciata vengono inseriti anche brani appartenenti alla prima fase, fra cui i celebri battenti in bronzo. I battenti sono delle lamine bronzee inchiodate su legno – tecnica di origine e di divulgazione bizantina – in modo da nascondere il tavolato dando l'impressione di una massiccia struttura metallica. Si tratta di 24 formelle quadrangolari per battente, disposte in tre file verticali di otto, incorniciate da cordonature semicilindriche traforate e saldate negli angoli da piccoli mascheroni.
A sinistra ci sono 17 episodi della vita di Gesù, una protome umana per reggere gli anelli (che sono mancanti), tre scene della vita del Battista, e tre episodi della Genesi su due formelle (Cacciata, Lavoro dei progenitori, Morte di Abele).
A destra ci sono 18 formelle dell'Antico Testamento (dalla creazione di Eva a re Salomone) e miracoli ed episodi della vita di San Zeno.
Ci sono inoltre piccole formelle lungo gli stipiti con rappresentazioni di Re, Imperatori, Virtù, Santi e di uno scultore al lavoro.
E' evidente la confusione sia dal punto di vista iconografico che dal punto di vista dell'accostamento esteriore dei pezzi. Dal controllo stilistico emerge che sono al lavoro almeno due scultori diversi, più probabilmente tre.

il lavoro dei progenitori e la morte di abele

Le dimensioni attuali della porta sono di m 4,80 x 3,60 e sono state adattate al rinnovamento della facciata definita fra il XII ed il XIII secolo. Quindi il portale sostituisce un portale precedente che si pensa misurasse m 4,06 x 2,96 e che presentava quattro file verticali di sette formelle ciascuna. I responsabili dell'ampliamento hanno recuperato ed utilizzato tutti i riquadri precedenti, inserendoli nel contesto del nuovo portale, 23 nella parte sinistra e 5 in quella di destra. Analogamente si comportarono per gli elementi ornamentali minori.
Tutti questi elementi sono databili ai primi decenni del XII secolo e sono eseguiti da un artista con ogni probabilità veronese. La sua grande forza espressiva, l'intransigente rigore formale e l' originalità sono paragonabili alle più grandi realizzazioni plastiche romaniche che erano allora agli albori con l'apparire di Wiligelmo a Modena.

Nel '700 Scipione Maffei li definì “fantocci strani” ed Adolfo Venturi nel '900 qualificò il portale come “regno delle scimmie”. Tanto più va lodata la saggezza dell'ampliamento che aggiunse nuove formelle ma non distrusse quelle già esistenti. C'è impegno realistico, prepotenza barbarica, una nuova concezione etica e civile rispetto all'arte bizantina ed a quella ottoniana. Figure in movimento nello spazio con piena partecipazione emotiva ed accentuazione della vitalità plastica delle masse con esclusione di ogni evoluzione ritmica. Si sperimentano tecniche nuove che rompono con la continuità tradizionale.

il bronzo inchiodato al legno

Le formelle successive non raggiungono questo livello. Le quattro storie di San Zeno, che si ispirano ad elementi arcaizzanti, sono però di più elevato valore rispetto a quelli dell'autore della maggior parte dei rilievi aggiunti. Per cui è possibile che gli autori all'opera in tempi diversi siano stati tre e non due. Si esprime una tendenza linearistica – da miniature salisburghesi – e poi una divulgazione dei modi di Benetto Antelami al tempo dei rilievi del battistero di Parma (quindi a partire dal 1196). La fine del XII secolo costituisce il termine entro cui furono ultimati i battenti della porta, così come appaiono oggi a noi. Nei rilievi più recenti l'intensità delle forme è sacrificata all'esito calligrafico.

tre formelle

E' il caso di fornire qualche cenno anche sulle notevolissime opere scultoree della facciata e sulle scritte latine (spesso in una lingua un po' zoppicante) che le accompagnano.
A destra dei battenti c'è Niccolò: “Hic exempla trai possunt lauds Nicolai” (Qui si possono trarre prove delle lodi di Niccolò). A sinistra c'è Guglielmo, che dipende in qualche modo da Niccolò: “Qui legis ista pie natum placato Marie salvat in etrum qi sculpsit ista Guillermum. Intrantes concti sucurrant huic pe reunti” (Tu che leggi queste parole placherai piamente il Figlio di Maria che salvi in eterno chi scolpì ciò, Guglielmo. Chi entra, soccorra costui, che perirebbe).
In alto c'è il grande rosone, detto Ruota della Fortuna il cui autore fu Brioloto attivo fra il 1189 ed il 1220. Ecco i due distici scolpiti sul mozzo del rosone: “En ego fortuna moderor mortalibus una, / Elevo, depono, bona cunctis vel mala dono” “Induo mutados, denudo veste paratos, / In me confidit si quis, derisus abibit” (Ecco, solo io Fortuna, governo i mortali; elevo, depongo, dono a tutti i beni ed i mali; vesto chi è nudo, spoglio chi è vestito. Se qualcuno confida in me, se ne andrà deriso). Evidentemente, in questo ultimo caso, l'estensore della scritta latina era assi più colto che nei due casi precedenti. Ma scrive diversi decenni dopo quello che aveva effettuato le iscrizioni relative a Niccolò ed a Guglielmo.

quattro formelle



in su pagina precedente

  14 febbraio 2005