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il polittico di sant'emidio


Carlo Crivelli ad Ascoli
Il polittico di Sant'Emidio
a cura di Primo Casalini


“OPUS KAROLI CRIVELLI VENETI 1473”. Così è firmato e datato lo smagliante polittico di Carlo Crivelli, conservato nella Cappella del Sacramento della Cattedrale di Sant'Emidio di Ascoli Piceno. La scritta è sul gradino del trono della Madonna. Trovare un polittico del '400 perfettamente integro nella chiesa per cui era stato eseguito non è frequente. Ancor più nel caso di Carlo Crivelli, le cui opere sono state oggetto di un quasi sistematico saccheggio con dispersione in tutto il mondo, fra la fine del '700 e la prima metà dell'800. Ma soprattutto, questo polittico è uno dei culmini dell'arte del Crivelli.
Vediamo come è costruito, dal basso salendo verso l'alto.
La predella è la sola del Crivelli pervenutaci intatta: vi sono rappresentati dieci apostoli, alcuni identificati (San Bartolomeo, Sant'Andrea, San Giacomo Maggiore etc), altri no; al centro, fra di essi, il Cristo benedicente, il salvatore del mondo.
Sopra la predella c'è il registro centrale, quello con i santi a piena figura: San Pietro Apostolo, San Giovanni Battista, la Madonna col Bambino in trono, Sant'Emidio, San Paolo.
Più su il registro superiore, con i santi a mezza figura: Santa Caterina d'Alessandria, San Girolamo, la Pietà, San Giorgio, Sant'Orsola.
Ancora più in alto, la decorazione a guglie e pinnacoli della ricchissima cornice lignea del polittico, anch'essa quasi integra.

la madonna col bambino

L'opera era stata ordinata un anno prima, probabilmente dal vescovo di Ascoli Prospero Caffarelli, e questo è abbastanza eccezionale nella carriera del pittore, che abitualmente divideva il suo lavoro fra le chiese dei francescani e quelle dei domenicani. Si è notato che in genere il Crivelli si trova più a suo agio quando lavora per i francescani, probabilmente perché una volta fissato il piano del polittico con la suddivisione dei santi nei vari scomparti, il Crivelli effettuava liberamente le sue scelte formali e rappresentative, mentre i domenicani, ordine di predicatori, stavano più col fiato sul collo, e se c'è un artista che tiene alla libertà, nella coerenza del suo stile, questi è il Crivelli. Lo testimonia la sua storia personale.

Nasce fra il 1430 ed il 1435 a Venezia, e sino al 1457 non ci sono documenti che lo riguardino, se non attestazioni che la famiglia viveva nel territorio della parrocchia di San Moisè. Poi, nel 1457, “una vicenda amorosa finita drammaticamente” (Pietro Zampetti): il 5 marzo viene condannato a sei mesi di carcere e ad una pena pecuniaria per aver commesso adulterio con Tarsia, moglie del marinaio Francesco Cortese, averla rapita e tenuta come concubina. Dal 1457 al 1468 praticamente non ci sono documenti sulla vita del pittore, che è stata faticosamente ricostruita in questo periodo cruciale dagli studi di alcuni grandi critici, fra gli altri Federico Zeri. Dopo aver scontato la condanna, Crivelli lascia Venezia, e non ci tornerà mai più, continuando però a firmarsi come “venetus” - segno di una affezione inestinguibile - sino all'ultima sua opera nota, che è alla Pinacoteca di Brera. Da Venezia, in cui era stato attento alle opere di Jacopo Bellini e dei Vivarini, il Crivelli va a Padova, a far gruppo con gli squarcioneschi, gli allievi di Francesco Squarcione, che più che un maestro era un impresario, anche un po' uno sfruttatore di pittori: diverse cause giudiziarie lo attestano.
A Padova avviene la sua formazione decisiva, a contatto col Mantegna degli Eremitani, col ferrarese Tura e con Giorgio Chulinovic detto lo Schiavone, un pittore dalmata con cui si lega di amicizia sino a trasferirsi con lui a Zara dove è nel 1465. Poco dopo attraversa l'Adriatico e nel 1468 dipinge il polittico di Massa Fermana, commisssionato dal conte Azzolini di Fermo. Dalle Marche non si sposterà più, fino alla fine: scompare fra il 1494 ed il 1495.

san giovanni battista      san paolo

Dire Marche è dire troppo: Carlo Crivelli opera nelle Marche del Sud, nelle attuali provincie di Macerata e di Ascoli Piceno, arrivando al massimo sino ad Ancona. Di lui non scrive il Vasari e non scrivono neppure i veneziani. Ma forse la sua non è una scelta di isolamento, più semplicemente la sua formula e il suo stile avevano successo in tutte le città ed i borghi delle Marche, anche nei più sperduti, e Carlo, col fratello Vittore (compagno e concorrente) si spostava continuamente in un ambito geografico ristretto.
Ecco l'elenco dei luoghi in cui Carlo Crivelli ha operato: Ascoli Piceno, Massa Fermana, Porto San Giorgio, Camerino, Monte San Martino, Grottamare, Ancona, Monteprandone, Monte San Pietrangeli, Corinaldo, Castelfidardo, Corridonia, Macerata, Montefiore dell'Aso, Poggio di Bretta, Matelica. E di quelli dove ha operato Vittore Crivelli: Fermo, Monte San Martino, San Severino, Sant'Elpidio a Mare, Torre di Palme, Ripatransone.
Sì, il solito caso di un artista che trova una sua nicchia figurativa e geografica, solo che il Crivelli è un grande artista e tale rimane anche in diverse parti delle sue ultime opere, quindi per quasi trent'anni, sempre lì, fra Ascoli e Fabriano, Camerino e Porto San Giorgio.
Si è sottolineato che nelle Marche in quel periodo erano all'opera grandi artisti: Piero della Francesca, Giovanni Bellini, Melozzo ed il Signorelli, ma in luoghi in cui il Crivelli non andava: Urbino, Pesaro, Loreto. Aveva invece a che fare con artisti appartenenti alla cosiddetta cultura adriatica: il suo amico Schiavone, Niccolò d'Ancona, Girolamo Giovanni da Camerino, Niccolò Alunno, tutti artisti per un verso o per l'altro interessanti ma di lui assai minori.

particolare di san paolo      particolare di sant'emidio

Piaceva ai committenti, ai fedeli, ai vescovi ed ai cardinali, i critici lo ignoravano. Difatti il saccheggio e la dispersione iniziò ben prima della sua scoperta - più che riscoperta - da parte dei critici; iniziò nel '600 e nel '700, quando nelle chiese si mettevano opere più moderne, e si smontavano e si smembravano i polittici del Crivelli vendendoli a buon prezzo al migliore offerente.
La ricostruzione virtuale dello smembrato polittico di San Giorgio ha dimostrato che oggi gli scomparti che lo componevano sono in sei musei diversi, analogamente per il polittico di Montefiore dell'Aso, quello che rimane a Montefiore è un falso trittico. Addirittura, alla National Gallery di Londra c'era il cosiddetto polittico Demidoff, finché negli anni '60 Federico Zeri appurò che non si trattava di un polittico ma dell'assemblaggio di due polittici diversi provenienti dalla stessa chiesa domenicana. Usando una parola d'oggi, col Crivelli fu il mercato ad avere ragione prima dei critici, che salvo eccezioni modificarono la loro opinione solo dall'inizio del '900 in poi, ma fino alla mostra di Ancona del 1950 nessuno avrebbe considerato il Crivelli fra i grandi artisti.

apostolo nella predella      apostolo nella predella

E difatti il polittico di Sant'Emidio è stato definito “sgradevole e sfigurato dal grottesco” dal Cavalcaselle nel 1871 e “plasticamente debole e privo di grazia” da Lionello Venturi nel 1907. Il fatto è che il Crivelli rifiuta sia l'umanesimo toscano che l'immersione dell'uomo nella natura di Giovanni Bellini e dei suoi seguaci. Usa il polittico come un poeta usa la terzina o l'ottava, l'endecasillabo o il settenario, come una potente gabbia che dà più vigore a quello che ha da dire. Il polittico è la sua forma-sonata; Carlo Crivelli intesse dialoghi fra i personaggi dei vari scomparti, così si corrispondono il San Pietro ed il San Paolo da due parti opposte, così dialogano per contrasto i santi della predella, così iterano gli atteggiamenti il San Giorgio e la Sant'Orsola, ed allo sguardo verso l'alto della Santa Caterina deve corrispondere lo sguardo verso il basso del San Gerolamo e la compattezza del gruppo della Pietà. Il Sant'Emidio è al posto d'onore, alla destra della Madonna, per chi guarda il quadro e volutamente si rivolge agli astanti, avvolto nella sua veste che è un polittico nel polittico. E la sottigliezza degli oggetti, i libri, anzitutto, che il Crivelli amava (ad Ascoli c'era una tipografia in cui operavano artigiani tedeschi), ma anche il modello di chiesa, i festoni di fiori e di frutta e le eleganze raffinate dei santi giovani.

san giorgio      sant'orsola

C'è una geniale frase di Bernard Berenson che chiarisce quale è stato per tanto tempo il problema della critica verso il Crivelli: “L'arte ha una sostanza troppo grande e vitale, da poter tutta raccogliersi in una sola formula; e finora manca una formula la quale non deformi la nostra idea complessiva della pittura italiana del quindicesimo secolo, e al tempo stesso renda giustizia ad un artista come Carlo Crivelli. Che si colloca fra i più genuini di ogni terra e paese; e non ci stanca mai, anche quando i cosiddetti 'grandi maestri' diventan tediosi”.
Forse sarebbe meglio, come si fa sempre più spesso, guardare il Rinascimento italiano non come una dialettica Venezia-Firenze-Roma, ma come un insieme di coerenti eresie: i ferraresi, Niccolò dell'Arca, lo stesso Donatello, Agostino di Duccio, il Crivelli… A quel punto ci accorgeremmo di quanto poco di fiorentino c'è in Piero della Francesca, che pure ha dominato la pittura dell'Italia centrale per più di vent'anni, e che spesso i risultati più alti si ottengono per reazione ad una azione, che è tutta un'altra cosa dall'essere reazionari o passatisti, come si è spesso equivocato parlando del Crivelli, che con la scelta dell'isolamento è riuscito a mantenere ed a sviluppare la coerenza della sua giovinezza padovana, dopo la fuga da Venezia, forzata e definitiva.

festone di frutta



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  20 dicembre 2004