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la conca absidale


Il mosaico di San Clemente
a cura di Primo Casalini


Tornare a Roma è meglio di quando ci si va per la prima volta, perché si comincia ad andare nei posti meno affollati. Ed ogni volta che ci si torna è ancora meglio: ci inventiamo gli itinerari specializzati: mosaici paleocristiani, cupole barocche, pavimenti cosmateschi, statue di sante in estasi… anche i ristoranti attorno al Pantheon, perché no, basta poter pagare il conto. Ci sono posti specializzati in tutto, ossimoro che solo a Roma è possibile: un esempio ne è Santa Maria Maggiore, la grande basilica molto vicina alla stazione Termini. C'è una zona di Roma in cui torno sempre, ed è solo l'itinerario X della guida rapida del Touring: io la chiamo la zona delle chiese del Pasticciaccio brutto de via Merulana, anche se Via Merulana non ne fa parte, pur essendo abbastanza vicina. Carlo Emilio Gadda evidentemente l'amava, tornano spesso i nomi dei Santi Quattro Coronati, di Villa Celimontana, di San Clemente, dei Santi Giovanni e Paolo, di Santo Stefano del Cacco (sic) e di diversi altri luoghi, tutti più o meno fra piazza Vittorio ed il Laterano.

volatili fra i girari

Di fronte alla chiesa di San Clemente si è come San Tommaso: non ci si crede finché non la si vede, non la si tocca con mano. E' una costruzione a quattro livelli: in fondo ci sono resti di epoca repubblicana ed augustea, fino all'incendio di Nerone del 64 d.C, più su resti della Roma imperiale, compreso il tempio mitraico: una sala con volta a botte che simula una grotta, col triclinio per il banchetto sacro e in mezzo l'ara col bassorilievo di Mitra che uccide il toro. Ancora più su, ecco la basilica originaria, già citata da San Girolamo nel 385 - San Clemente era stato il terzo papa - in cui ci sono affreschi importanti e quasi unici. Furono eseguiti dal nono all'undicesimo secolo, compreso quello assai noto per una delle prime scritte in lingua volgare: un impresario che si rivolge ai suoi lavoranti e dice, come in un fumetto, in italo-romanesco del secolo XI: Fa live de retro co' lo palo, Carvoncelle. - Alberte, trai. Fili de pute, traite (Fa leva di dietro col palo, Carvoncello - Alberto tira. Figli di male donne, tirate).

il grande pavone

Infine, la chiesa attuale, quella che normalmente si visita: l'ampio pavimento cosmatesco, colorato ed ordinato, con dischi di porfido e di serpentino ed inserti floreali e stellari; la schola cantorum, il cui recinto occupa buona parte della navata maggiore, con due amboni - tribune sopaelevate per la lettura dei testi sacri - quello dell'Epistola e quello del Vangelo; la cappella di Santa Caterina, affrescata da Masolino per il cardinale Branda Castiglione, dopo l'impresa della cappella Brancacci e prima di quella di Castiglione Olona. Masolino ha eseguito gli affreschi attorno al 1428, con la probabile partecipazione di Masaccio, che morì a Roma appunto in quell'anno. E' sbagliato fare classifiche, fa parte della nostra ansia di controllo che porta a categorizzare, ma è impossibile descrivere la chiesa di San Clemente senza diffondersi sul mosaico della conca absidale. A Roma di mosaici ce ne sono tanti: quelli dell'antichità classica, quelli paleocristiani, quelli, per così dire, del tardo-antico, quelli bizantini, quelli medievali su su fino al Rinascimento ed oltre (in San Pietro tutti abbiamo visto i quadri a mosaico, copiati, è la parola, da dipinti di famosi pittori). Ma il mosaico di San Clemente è unico, e non lo si dimentica né lo si confonde con altri, cosa abbastanza facile a Roma, sia per il numero assai elevato di mosaici, sia per la prevalenza nei fruitori, cioè in noi, dei caratteri tipici dell'arte piuttosto che dei singoli artisti, o, più correttamente, dei singoli cantieri.

il pastore con il gregge       i personaggi fra i girari

Occorre fare un po' di storia. Il 28 maggio 1084 fu uno dei giorni più tragici nella lunga storia di Roma. L'esercito del normanno Roberto il Guiscardo, folto anche di musulmani, era venuto paradossalmente per sostenere il papa Gregorio VII contro l'imperatore Enrico IV, la questione fra di loro non si era chiusa nel 1077 a Canossa, come ci raccontavano da ragazzi. Le schiere che penetrarono quel giorno in Roma non avevano però in mente né papa né imperatore (il loro grido di battaglia era Guiscardo! Guiscardo!): saccheggiarono e distrussero tutto quello che trovarono: ancora vent'anni dopo Ildebrando di Tours parlava di Roma come “un deserto cosparso di rovine”. Fu assai peggio sia del sacco di Alarico del 410 che del sacco dei lanzichenecchi del 1527. In particolare tutto bruciò fra il Colosseo ed il Laterano, e la basilica di San Clemente ci andò di mezzo, quella che oggi per noi è la basilica inferiore.
Nel 1099 divenne papa Pasquale II, e le cose cambiarono, per San Clemente, o peggio, per le rovine di San Clemente. Il cardinale Anastasio, titolare della basilica, la fece riempire di pietrame fino all'altezza di tutte le colonne e nel 1106 - data quasi certa - iniziò la costruzione della nuova basilica, quella in cui entriamo oggi, e successivamente del mosaico, che aveva pur bisogno di una architettura su cui poggiare, ma che evidentemente era già nella mente dei ricostruttori, che si ispirarono presumibilmente al mosaico preesistente della basilica inferiore, oggi del tutto scomparso… o meglio… chissà se tante tessere che lo componevano non facciano parte del mosaico che ammiriamo? Le facevano, queste cose, e dobbiamo essere grati: conosciamo meglio l'antichità con tante colonne, capitelli o sarcofagi di spoglio che altrimenti chissà dove sarebbero spariti. Il mosaico di San Clemente va conosciuto in modo un po' approfondito, solo così, oltre a subire l'inevitabile fascino dei girari, delle spirali che lo intessono, alla fine capiremo che l'illusione è realtà, vuole essere proprio quello che è: un colorato, luminoso Albero della Vita, proprio come in un contesto del tutto diverso succederà secoli dopo con l'Albero della Vita, l'enorme gioiello di Lucignano.

il cespo di acanto

Al centro del catino absidale c'è un grande cespo di acanto entro il quale il cervo lotta col serpente malefico e dal quale si diramano i girari che formano un arabesco che percorre tutto lo spazio absidale. La Croce si innalza sopra il cespo d'acanto. Sulla Croce c'è Cristo, patiens, ma in un certo modo anche triumphans, e dodici colombe che simboleggiano gli Apostoli. Ai lati della Croce ci sono Maria e Giovanni. In alto, sporge la mano del Padre con la corona di gloria per il Figlio. Dal cespo di acanto derivano quattro rivoli (come i Vangeli) a cui si abbeverano i cervi (le anime assetate dei fedeli): è la simbologia dell'aiuto della Grazia alla umanità. Il motivo dei girari di acanto deriva dall'antichità classica - lo si trova nell'Ara Pacis - col tramite del Battistero Lateranense, ed anche la simbologia tratta dal mondo animale - cervi, pavoni, cigni – è tratta dall'antichità classica. Più in generale, i mosaicisti di San Clemente hanno ben presenti le opere dell'arte paleocristiana a Roma, per loro più importanti del riferimento alla grande arte musiva di Bisanzio. Va considerato che il mosaico faceva parte dell'intenso programma di costruzione-ricostruzione a partire dalla basilica precedente, e quindi è possibile che ci si ispirasse ai mosaici absidali che erano stati realizzati appunto in epoca paleocristiana. Il riferimento all'arte classica è confermato da alcuni particolari che richiamano le scene di paesaggio dette nilotiche. Fra i girari figurano i Padri e Dottori della Chiesa - Girolamo, Agostino, Ambrogio e Gregorio - personaggi a piccoli gruppi in vesti ricercate, che potrebbero essere gli offerenti dell'opera, petali di tanti fiori diversamente colorati, aironi, colombi, palmipedi, volatili di ogni specie, anche aneddoti quotidiani: un pastore che bada al suo gregge, una donna che dà il becchime ai polli. Lampadari a labbro espanso pendono dalle fronde, Amorini scherzano in volo.

l'iscrizione alla base del mosaico ed il fascione decorativo

Sotto, c'è una iscrizione in cui si paragona la chiesa ad un giardino celeste e si allude alle reliquie della Croce murate nelle pareti dell'abside. Ancora più in basso, al centro c'è l'Agnus Dei verso cui vanno le dodici pecorelle che escono da Gerusalemme e da Betlemme ( la legge antica e la legge nuova). In alto, al sommo dell'arco, un cielo d'oro screziato di nubi variopinte in cui Cristo Re dei Re benedice, tra i simboli dei quattro evangelisti, i profeti Isaia e Geremia con i cartigli, Pietro e Clemente da una parte, Paolo e Lorenzo dall'altra. Pietro indica Cristo a Clemente con le parole: "Contempla, o Clemente, (il Cristo) che ti ho promesso".
Sul festone di fiori e di frutta del sottarco spicca il monogramma di Cristo Principio e Fine. Il canto del Gloria cinge in alto la conca e l'insieme è racchiuso da una bordura gemmata. Il tema del mosaico è la Redenzione, come dice esplicitamente l'iscrizione sotto il mosaico. Nella trasposizione figurativa, il simbolo fondamentale è l'Albero della Croce, come sarà in tante rappresentazioni artistiche, dall'Albero della Vita di Lucignano, al tema degli affreschi di Arezzo di Piero della Francesca. “Paragoniamo la Chiesa di Cristo a questa vite”, dice con chiarezza l'iscrizione alla base del mosaico, e guardando bene ci si accorge che sono tante le icone di Cristo presenti: “l'agnello di Dio, l'acanto o vite, il crocifisso ed infine, nel punto centrale (la chiave), il Crismon o monogramma di Cristo e per ultimo il Cristo Pantocrator, benedicente e con il libro, in mezzo agli evangelisti” (Antonella Tomasello).
Le decorazioni absidali di San Clemente, che furono ultimate verso il 1130, segnano quindi una ripresa della solennità paleocristiana, confermata dall'architettura della chiesa. Analogamente succederà poco dopo (c.1140) in Santa Maria in Trastevere, come se a Roma, dopo la sciagura del 1084, si volesse rialzare la testa e ricostruire i maggiori simboli della città sapendo che per farlo era necessario riprendere la sua storia antica, artistica e culturale. A Roma succederà ancora, dopo la cattività avignonese che durò settant'anni, e dopo il sacco del 1527. La chiesa fu affidata ai domenicani irlandesi nel 1677 e uno splendido contributo lo diede nell'Ottocento uno di loro, Padre Joseph Mullooly, che dal 1857 al 1870 provvide agli scavi ed ai restauri. Dobbiamo a lui se oggi è possibile visitare San Clemente viaggiando attraverso la sua storia, a partire dalle costruzioni romane dell'età repubblicana, una visita ancora più interessante se si procede a ritroso, come è nella norma: si entra nella chiesa attuale e pian piano si scoprono la basilica inferiore, il tempio mitraico, le costruzioni ancora precedenti, per poi risalire di nuovo, e tornare di fronte al mosaico dei tempi di Pasquale II con accresciuta consapevolezza.

le decorazioni all'interno dei girari



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  2 ottobre 2004