prima pagina pagina precedente indice bei momenti





festoni e putti


L'Arca di Niccolò
a cura di Primo Casalini


evangelista
evangelista
"Phantasticus et barbarus", così fra' Girolamo Borselli scrive agli inizi del '500 di Niccolò dell'Arca, ed aggiunge "subtilissimus". Tre aggettivi appropriati, per ragioni diverse: "phantasticus" per l'originalità energica e piena di sorprese, "subtilissimus" perché il linguaggio, lo stile, è governato con mano accorta e fermissima (Niccolò sa essere misurato persino nella dismisura) e "barbarus" perché è un irregolare, aperto anche ad esperienze inconsuete ed imprevedibili.

I suoi due capolavori sono a Bologna, in San Domenico la cimasa dell'Arca e in Santa Maria della Vita il Compianto; a Bologna sono altre due sue opere: la grandiosa aquila in terracotta sopra il portale della chiesa di San Giovanni in Monte, e la Madonna, anch'essa in terracotta, in alto sulla facciata di Palazzo d'Accursio, che è oggi il palazzo del Comune. Quest'opera è firmata e datata: NICOLAUS F. MCCCCLXXVIII.

Di Niccolò si sa pochissimo, quindi le supposizioni, le interpretazioni e le discussioni non finiranno mai. Si sono trovate nei documenti tre menzioni del suo nome, diverse l'una dall'altra: "Nicolaus de Apulia", "Barrensem" (1473) e "Niccolò da Ragusa" (1493). Ragusa è l'odierna Dubrovnik, in Dalmazia.
Per l'Arca, ci sono documenti attestanti che il completamento con la cimasa fu deciso nel 1469 ed il coperchio fu installato il 16 luglio 1473, quindi sembrava di avere una datazione precisa dell'inizio e della fine del lavoro, solo che il coperchio può benissimo essere stato installato senza che fossero tutte ultimate le statuette previste.
Difatti, poiché Michelangelo non ancora ventenne aggiunse tre statuette nel 1494-95, si è ipotizzato che una o due di queste statuette, quelle di San Procolo e di San Petronio, fossero state cominciate da Niccolò, morto proprio nel 1494, e che Gianfrancesco Aldrovandi desse la commissione a Michelangelo perché voleva completare l'Arca.
Dei due angeli portacandelabro, uno è di Niccolò, l'altro di Michelangelo, ed è curioso che nell'Ottocento a volte si equivocasse scambiando le attribuzioni. Dalle immagini appare evidente la differenza di stile fra i due artisti. Di stile, non di qualità: Michelangelo si ricorderà della dolcezza non sfibrata dell'angelo di Niccolò quando eseguirà nel 1998-99 la Pietà che è in San Pietro, quella con la Madonna giovanissima.

Niccolò, nato negli anni 1435-40, viaggia fra la Puglia, la Dalmazia e Napoli, dove c'era il grande cantiere di Castel Nuovo per l'Arco di Alfonso d'Aragona, ed ha modo di apprendere la cultura catalana e borgognona; era infatti catalano Guillén Sagrera, a Napoli dal 1449, scultore ed architetto di fiducia della corte aragonese.
Quasi tutti i critici danno per certo un viaggio in Borgogna e la conoscenza diretta delle grandi opere di Claus Sluter a Digione, il grande scultore con cui indubbiamente Niccolò ha delle assonanze. Sluter era morto nel 1406, lasciando una scuola fiorente che aveva ultimato le sue opere. Nei due artisti la forza rigorosa del linguaggio è simile: Sluter la impiega sul tragico, Niccolò sul fantastico, all'Arca, mentre nel Compianto che è quasi sicuramente di diversi anni dopo, ci saranno moventi diversi, anche perché è diversa la materia, all'Arca il marmo, nel Compianto la terracotta.
L'assenza di documenti è un buon incentivo a guardarsi in giro, quindi si è detto anche dei toscani, in particolare Desiderio da Settignano con il Monumento Marsuppini in Santa Croce a Firenze, ma anche Antonio Rossellino ed il Verrocchio, "quelli che più sviluppavano gli elementi di scenografia spaziale e di vitalismo organico" (Franco Russoli).

angelo di niccolò            angelo di michelangelo


E' inevitabile, l'esercizio di cercare i precedenti, ma non so quanto sia giusto per gli artisti più grandi. Vediamo Michelangelo a Bologna: ha poco più di diciotto anni e si trova di fronte ai capolavori di Jacopo della Quercia e di Niccolò dell'Arca, ed ai quadri ed agli affreschi del Cossa e del Roberti. Il suo entusiasmo è provato anche da documenti, ma era già Michelangelo, aveva in sé la forza di proseguire per la sua strada, e così può essere stato per Niccolò, artista comunque assai bene informato.

Nella cappella di san Domenico Niccolò ha di fronte ad un problema non facile: la tomba del santo, ottimo lavoro di Nicola Pisano, con Arnolfo, Lapo e fra' Guglielmo, eseguita negli anni 1265-67, sembra troppo piccola, se la si confronta con l'ampia architettura della cappella realizzata successivamente. Allora Niccolò ha l'idea di realizzare una cimasa, un coronamento che renda l'Arca più compatibile con l'ambiente, e riesce a creare una struttura di grande verticalità che però non schiaccia, non umilia l'Arca di Nicola Pisano. Per farlo, inventa ex novo il gotico fiorito, con la sua leggerezza piena di fantasia, e lo traduce in grammatica rinascimentale. Niccolò trova una soluzione che è giusta appunto perché esce dalle regole, come sarà nel '600 il baldacchino del Bernini, che in San Pietro aveva un problema qualitativamente analogo.

patrono            patrono


Sulla base del coperchio ci sono le statue degli otto patroni di Bologna (il San Petronio ed il San Procolo sono di Michelangelo), più in alto le statue dei quattro evangelisti ed il Cristo che esce dal sepolcro tra due angeli; da questo livello si alzano festoni sorretti da putti, e proprio in cima al coronamento c'è la statuetta del Padre Eterno, una specie di dio delle piccole cose, visto che è alto poco più di 50 centimetri.
La cimasa appoggia sulla parte inferiore dell'Arca, quella eseguita da Nicola Pisano e dai suoi allievi; più in basso, dove c'è lo scabellum marmoreum, un ottimo scultore, Alfonso Lombardi, eseguì più tardi (1532) dei rilievi . E' uno scultore ben noto a Bologna per il Transito della Madonna, notevole gruppo di statue in terracotta a grandezza naturale, nella chiesa di Santa Maria della Vita, quella in cui c'è il Compianto di Niccolò.
Quindi l'Arca è un vero e proprio museo di scultura: Nicola Pisano, Niccolò, Michelangelo ed Alfonso Lombardi, in ordine cronologico. I contributi dei singoli artisti e le differenze fra di loro si notano esaminando nel dettaglio le varie parti dell'Arca, ma la visione d'insieme, questa impressione di leggerezza fantastica, di energia traboccante eppure misurata, la si deve a Niccolò ed alla genialità della sua cimasa. E' una cultura vasta e non pedante, quella di Niccolò, la sua spericolata acrobazia ci prende immediatamente perché è di una spontaneità calcolatissima, aveva ragione il frate Girolamo a chiamarlo "subtilissimus".

Sono a Bologna, gli artisti con cui ogni giorno Niccolò si confrontava, lavorando all'Arca. Jacopo della Quercia, anzitutto, che nel 1425 aveva assunto la commissione delle sculture del portale di San Petronio, con l'impegno di finirle in due anni, ma nel 1438, quando Jacopo morì, l'opera non era ancora completata dopo litigi inenarrabili sia con i fabbricieri di Bologna che con quelli di Siena. Il fratello di Jacopo, Priamo, scrive nel 1439 a Bologna che lo scultore senese s'inghignò con ogni sua industria fare famosa la vostra chiesa, ed in un documento d'epoca il portale viene chiamato la maledetta porta. Continuò fino al '500 inoltrato, fino agli scultori manieristi, il lavoro attorno al portale principale ed alle due porte laterali, ma quando Niccolò giunse a Bologna dopo il 1460, il riferimento al capolavoro di Jacopo era inevitabile, come lo fu per Michelangelo nel 1494.
Gli anni operosi di Niccolò a Bologna sono gli stessi anni in cui Francesco del Cossa, ferrarese, realizzava per Bologna le sue opere fondamentali, a parte gli affreschi di Schifanoia: l'Annunciazione dell'Osservanza (1470) oggi a Dresda, i due angeli della Madonna del Baraccano (1472), il polittico Griffoni per San Petronio(1473), che oggi è disperso in tanti musei, con la celebre predella di Ercole de' Roberti alla Pinacoteca Vaticana e i due bellissimi scomparti di Brera, la Pala della Mercanzia (1474). Il Cossa nel 1477 inizia gli affreschi della cappella Garganelli nella chiesa di San Pietro di Bologna; dopo la sua scomparsa (1478), Ercole de' Roberti continua e finisce quest'opera, lodatissima da Michelangelo, diffusamente descritta dal Vasari e purtroppo scomparsa alla fine del '500. Al Cossa si devono anche alcune vetrate per la chiesa di San Giovanni in Monte, per la quale negli stessi anni Niccolò lavorava all'aquila in terracotta.

cossa: annunciazione (part)

nicolò: l'aquila in terracotta


Niccolò ed il Cossa, due personalità forti e sperimentate, sono artisti fatti per capirsi: il gioco fra verità e fantasia, il rigore stilistico come misura delle cose, ma un rigore intessuto di eccezioni, quindi mai stantìo , l'assenza di pedanteria e di ripetitività. Chi vede di frequente le loro opere lo sa benissimo: non stancano, ci sorprendono sempre con qualche cosa che non ci attendevamo, però di una bizzarria con una sua logica, come le rappresentazioni teatrali fatte da attori che hanno voglia e gusto: ogni sera la commedia è diversa. Più che il dare e l'avere, fra loro si stabilisce una risonanza, una gara di reciproca ammirazione. L'angelo della Annunciazione di Dresda del Cossa e l'angelo portacandelabro di Niccolò ci trasmettono una emozione assai simile che non sorge solo dalla postura analoga, ma del modo che hanno i due artisti di comunicarci i valori tattili: lo scorcio dell'ala dell'angelo dipinto oppure l'incresparsi delle piume dell'ala dell'angelo scolpito.

Per la cappella di San Domenico, gli anni di Niccolò e di Michelangelo sono i più importanti, ma anche i secoli successivi sino all'Ottocento hanno lasciato il segno. Un periodo di grande attività fu il secondo decennio del '600: nel 1615 doveva tenersi a Bologna il Capitolo generale dell'Ordine Domenicano, e padre Giovanni Michele Piò, teologo ed inquisitore, riuscì a far eseguire un vasto programma decorativo in cui furono coinvolti artisti ben noti: Alessandro Tiarini, il Mastelletta, Lionello Spada. Soprattutto, fu coinvolto Guido Reni, che nella semicupola absidale, in alto sopra l'Arca, rappresentò la Gloria di San Domenico di cui padre Piò scrisse "riuscì, come appunto lo rappresentava, uno squarcio di Paradiso". E' un'opera mirabile, meno conosciuta di quanto meriterebbe. L'affresco del Reni fu ultimato nella primavera del 1615; pochi anni dopo, nel 1621, fu installata la magnifica cancellata della cappella. Nel pavimento, sulla lastra di ingresso sono riportati i versi di Dante:
Domenico fu detto; ed io ne parlo
sì come dell'agricola che Cristo
elesse all'orto suo per aiutarlo
.
Paradiso, Canto XII versi 70-72.

Per le immagini mi sono stati utili i siti: Courtauld Institut, Web Gallery of Art e Thais.


la cimasa dell'arca



in su pagina precedente

  5 giugno 2004