prima pagina pagina precedente indice bei momenti





vista totale


Il castello Eurialo a Siracusa
a cura di Lanfranco Orsatti



Arriviamo in auto da Catania e, a meta' strada, sono gia' di malumore alla vista del gigantesco, orrido petrolchimico che deturpa la costa, inferno dantesco che Dante non avrebbe saputo immaginare. All'arrivo in citta' il mio umore peggiora, il traffico e' semplicemente delirante.
Ceniamo da “Jonico – A Rutta e' Ciauli”, riviera Dioniso il Grande, e mi riconcilio con la vita e con la citta'; la cena e' tutta a base di pesce povero cucinato con rara maestria: il cuoco ci spiega con dovizia di dettagli la preparazione di ogni piatto, io del resto vado matto per le ricette di cucina. Il nome curioso del ristorante deriva dal fatto che sorge su una altissima scogliera a picco sul mare, che vi ha scavato nel tempo enormi grotte nelle quali nidificano le gazze marine (ciauli per l'appunto).
Il giorno dopo, mano a mano che visitiamo la citta', il mio stupore e la mia ammirazione crescono per la bellezza dei monumenti, particolarmente quelli greci, e per la magia dei luoghi.
L'isola di Ortigia e' il centro storico di Siracusa; vi si trova, a pochi metri dal mare, la fonte Aretusa, sorgiva di acqua dolce, probabilmente l'unico luogo in Europa, assieme alla fonte Ciane, in cui crescono spontanei i papiri (cosi' come il lago Superiore di Mantova e' l'unico luogo in Europa dove crescono spontanei i fior di loto). Molti turisti, e noi con loro, ammirano in silenzio questo luogo magico.

la fonte aretusa

Prima di oggi ignoravo l'esistenza delle latomie, vastissime cavita' naturali a cielo aperto. Lo stupore e' grande ed un'intera giornata se ne va per visitarle: dai lussureggianti giardini della latomia del Paradiso, nella quale si apre anche l'Orecchio di Dioniso, alla latomia dei Cappuccini, dalla quale accediamo a sterminate, macabre catacombe. Quando torniamo alla luce del sole la mente e' ancora ingombra di centinaia di teschi e di scheletri.
A pochi chilometri da Siracusa sorge il Castello Eurialo (dal greco " Eurvelos", chiodo dalla larga base), la più bella, grande e completa opera militare che sia rimasta del periodo greco. Ha una superficie di circa 15.000 mq., munito di larghi fossati, torri d'avvistamento, un ponte levatoio e trincee sotterranee, che rendevano la città di Siracusa inespugnabile (o quasi). Fu fatto costruire da Dionisio il Vecchio in sei anni, fra il 402 ed il 397 a.c., periodo in cui Siracusa fu in lotta con i Cartaginesi. Per rafforzare la difesa della città Dionisio decise di fortificare l'Epipoli (città alta ) che, durante l'assedio ateniese di qualche anno prima, aveva rappresentato il punto debole del sistema difensivo. L'entrata del castello è protetta da tre fossati, di cui l'ultimo era il più importante, in quanto collegava tutto l'apparato di difesa interno della fortezza, per il tramite di una rete di passaggi e di gallerie che davano la possibilità di spostare le truppe da un punto all'altro senza che fossero viste, al fine di accerchiare facilmente il nemico.
A Nord è sbarrato da un muro, a Sud vi sono tre grandi pilastri che sostenevano il ponte levatoio. Le cinque torri che si notano dopo il terzo fossato servivano per ospitare le baliste, che, situate più in alto di quelle dei nemici, potevano colpire senza essere da queste danneggiate.
Dall'altro lato del castello, il sistema difensivo era costituito da due muri posti davanti alle porte di accesso, che impedivano gli attacchi in massa del nemico. Tutta questa struttura a forma di imbuto permetteva una più facile difesa.
Il giovane siracusano, che ci fa da guida, spiega come, tramite questo complesso sistema di opere a tenaglia che visitiamo, si tramutasse in una trappola mortale per gli assedianti. Ci descrive anche, con vivezza e passione, come fossero avvenuti ieri, gli assedi ateniesi, cartaginesi e romani, al punto che mi sembra di avvertirne i rumori e gli odori.
La nostra visita volge al termine e, verso il tramonto, seguiamo un poco il corso del fiume Ciane che, prima di giungere a mare, forma la fonte Ciane, un profondo bacino circolare nel quale sgorgano numerose polle d'acqua sorgiva, circondato da fitte siepi di papiri.
Tre belle giornate, alle radici della mia cultura e della mia civilta'.

latomia del paradiso

Mi ha fatto venire in mente... Post scriptum di Manuela Faccani
Mi ha fatto venire in mente la prima – peraltro unica – volta che visitai il Castello Eurialo a Siracusa. Accadde quasi 25 anni fa. Vi era allora un custode che fungeva anche da guida, che non era la minore attrattiva del posto. Non so ancora immaginare che età avesse, anche se certo non era più tanto giovane; aveva quei visi scavati, asciugati e scolpiti dal sole, che rendeva impossibile definirne l'età; dai 30 ai 60, erano tutte buone.
Raccoglieva intorno a sé un gruppo di turisti, e iniziava la visita al castello – che poi castello non è, almeno nell'accezione comune, ma appunto fortezza, opera di difesa. Un'opera di difesa di un'ingegnosità senza pari, dai mille trabocchetti che si dipanano dal primo accesso ai più reconditi anditi, che avrebbero sorpreso anche il più accorto invasore.

dentro il castello

E lui, allora, incominciava a raccontare in uno strettissimo dialetto siciliano, del tutto incomprensibile; in compenso però, sapeva mimare perfettamente lo scopo di ogni corridoio, di ogni muraglia, di ogni sistema di difesa. Diventava di volta in volte invasore e difensore, e recitava entrambe le parti, esaltando la scaltrezza di questi e la fine predestinata di quelli. Simulava sorpresa, terrore, soddisfazione e ferocia. Coinvolgeva nella recita anche il pubblico, attribuendovi ruolo di siracusano che, ad un gomito prestabilito di un qualche corridoio, affondava la daga virtuale su di lui, che procedeva nel ruolo del nemico ignaro. E, sempre nella sua lingua incomprensibile, seguitava a spiegare; ma in realtà disegnava coi gesti, e recitava con passione l'antichissima storia di quella fortezza. Come non succede quasi mai, noi avevamo l'impressione di vedere quelle portentose mura popolarsi sotto i nostri occhi ed animarsi di scene di guerra e di sangue; mai avevamo visto, con tanta vivezza – forse nemmeno al cinema – l'esercito che tentava l'assalto e quello che lo attendeva, e la tensione che si accumulava e la paura e i rumori concitati, i passi, i silenzi.
Si finiva il giro spossati, più per l'eccitazione di aver partecipato a un grande spettacolo, che per l'inerpicarsi su e giù per la fortezza. Quando lui smetteva di parlare e di mimare, si asciugava il sudore e allungava la mano per ricevere quei pochi, più che guadagnati soldi di mancia, i muri ritornavano muri, la campagna tornava campagna, i soldati piumati svanivano. Restavano le difese e i trabocchetti, inconsapevoli e ormai inutili testimoni di qualche remotissimo passato. Fino al prossimo giro, alla prossima ondata di turisti, quando tutto sarebbe stato magicamente rianimato da un custode/guida/artista.
Leggendo ciò che scrive Lanfranco Orsatti mi sono rallegrata, ed ho voluto credere che, da quel primo precursore, che non parlava italiano, sia nata una scuola di custodi/guide/artisti, che continuino a recitare gli assalti e le difese, i rumori, i colori e gli odori del castello, in uno specialissimo connubio di verità storica, immaginazione e arte di strada.

le torri




in su pagina precedente

  14 febbraio 2004