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La conquista del Messico
Un genocidio biologico
di Sergio M Polidori


La conquista del Messico da parte di Cortès avvenne tra il 1520 ed il 1522. Notevole è la figura di Cortès, come eccezionale è stata la sua impresa di conquistare una regione tanto vasta e civilizzata come era il Messico di allora.

Montezuma Herman Cortès

Herman Cortès nasce a Medellin nel 1485, figlio di piccoli hidalgos dell'Estremadura. Studia a Salamanca, ma nel 1501 lasciò gli studi per cercare fortuna in America, ove si stabilì nel 1504 a La Espanola (Santo Domingo).
Divenne poi ecomendero (proprietario di terre e di indios) e partecipò nel 1511 alla conquista di Cuba. Nel 1518 ricevette da Velasquez, governatore dell'isola, l'incarico di guidare una spedizione in Messico, ma venne presto in lite con lui per il suo spirito indisciplinato e ribelle.
Cortès partì nel 1519 per la conquista del Messico con circa settecento uomini, un centinaio di cavalli e 15 bombarde. Sbarcato a San Juan de Ulma il 21 aprile fondò Villa Rica di Vera Cruz, dove si fece acclamare Capitano Generale, sottraendosi così di fatto all'autorità di Velasquez.

Dopo aver ricevuto gli emissari di Montezuma II (re degli Aztechi), per evitare pericolose diserzioni tra i suoi uomini, fece affondare le navi, arruolò indios ausiliari tra i nemici degli Aztechi e partì per la capitale, Tenochtitlan (futura Città del Messico), dove, giunto l'8 novembre, fu ben accolto.
Agendo con somma astuzia e meravigliando gli Aztechi per l'uso dei cavalli e della artiglieria che essi ignoravano del tutto, s'impadronì della capitale e fece arrestare il debole e titubante Montezuma. La conquista gli procurò enormi ricchezze e, nel contempo, riuscì anche a sbaragliare le truppe spagnole mandate contro di lui da Velasquez.
Sembra che Montezuma abbia scambiato Cortès per il Quetzcoatl (dio azteco), tornato a riprendersi il regno; tale identificazione sarebbe stata una delle principali ragioni della sua mancata resistenza dinnanzi all'avanzata degli Spagnoli.
Tuttavia, il malcontento degli Aztechi era sfociato in un'insurrezione armata, durante la quale venne ferito lo stesso Montezuma, che poco dopo morì. Cortès, sopraggiunto in gran fretta, non poté migliorare la situazione, e nella notte tra il 30 giugno ed il 1° luglio 1520 (la cosiddetta noche triste) fu costretto a ritirarsi precipitosamente, con grave perdita di uomini e materiali.

Operando con diabolica astuzia ed intelligenza, Cortès, nonostante il valore e la tenacia con cui si batteva il nuovo re azteco Cuanchténoc nel difendere la capitale, il 13 agosto 1521 riconquistò Tenochtitlàn.
Ulteriori spedizioni gli assicurarono il controllo di tutto l'ex impero azteco, ribattezzato Nuova Spagna, di cui riuscì a farsi nominare governatore nel 1522 dall'imperatore Carlo V.
Nel frattempo, Cortès ricostruì la città di Tenochtitlàn, facendone la capitale della Nuova Spagna; questa immane opera cui dovette partecipare tutta la popolazione azteca abile, sotto il crudele e disumano comando dei conquistadores spagnoli, sbalordì i contemporanei per le sue proporzioni.
La nuova città, per dimensione, splendore e regolarità di tracciato non aveva nulla da invidiare alle maggiori capitali d'Europa. La popolazione della città nel decennio 1520-1530 era assai più numerosa, in ogni caso, di quella di ogni altra città spagnola sul continente.

La società spagnola era a carattere decisamente urbano. In Castiglia, le città con le loro fortificazioni ed i municipios godevano di una posizione di predominio. I nobili, benché traessero la loro ricchezza dalla terra, costruivano i loro palazzi in città, mentre la vita rurale era lasciata ai contadini.
A Città del Messico, ed in seguito nelle maggiori città, i soldati dell'esercito conquistatore divennero i vecinos, proprietari terrieri ufficialmente iscritti.
Cortès scelse tra di loro i rappresentanti del governo cittadino, dodici consiglieri del cabildo; a loro volta, i consiglieri nominavano due alcades con i quali restavano in carica 1 anno e, al momento di dimettersi, designavano i loro successori. In questo modo, solo una ristretta cerchia di vecinos era preposta al governo della città.
Questi ultimi, vivevano grazie alla concessione di un'encomienda, che poteva essere un villaggio indigeno, parte di un villaggio o addirittura un insieme di villaggi concessi ad un singolo.

L'esercito spagnolo risiedeva in realtà in città, ma viveva a spese della campagna, in effetti, gli encomenderos spagnoli presero il posto dei governanti aztechi e pretesero (spesso con la violenza) gli stessi tributi e servizi ottenuti dai loro predecessori.
Il diritto degli encomenderos a prestazioni di lavoro gratuito degenerò spesso in gravi episodi di sfruttamento e di brutale maltrattamento degli indigeni; vessazioni, denutrizione, lavori pesantissimi nelle miniere d'argento e le malattie portate dagli Spagnoli stessi, in particolare il vaiolo, la peste ed il morbillo decimarono la popolazione azteca a livello di genocidio con milioni di morti.
Il desiderio di arricchirsi in fretta e l'istinto di padronanza furono all'origine del comportamento degli Spagnoli, convinti, peraltro, che gli indigeni fossero esseri inferiori, dediti al cannibalismo nei loro riti tribali a sfondo religioso, per cui lo sfruttamento era lecito.
Cortès tornò in Spagna per difendersi dai molti nemici che si era fatto a corte e ne ripartì esautorato, sebbene con il titolo di marchese della Valle di Oaxaca e riconosciuto proprietario di 22 paesi e di ventitremila vassalli (1530).

La conquista della Nuova Spagna fu un'impresa condotta al tempo stesso sia sul piano spirituale che su quello militare; la principale opposizione locale al crudele governo degli uomini d'arme venne dai frati degli ordini missionari. I Francescani furono i primi a giungere in Messico, su precisa richiesta dello stesso Cortès, fatta all'imperatore.
Nei primi decenni d'insediamento in Messico, i Francescani ebbero praticamente mano libera, esercitando abusivamente, con la complicità del sovrano, i compiti pastorali e sacramentali, che normalmente erano di competenza del clero secolare. Grazie a costoro, la conquista spirituale fu rapida ed efficace e, nonostante il loro esiguo numero, esercitarono un profondo influsso sulla società coloniale della Nuova Spagna.
I pochi frati disponibili istruirono, catechizzarono e battezzarono migliaia di persone, raggruppando gli indigeni in comunità urbane raccolte intorno al nucleo della Chiesa o del convento. In effetti, i frati tentarono in ogni modo di proteggere gli indigeni dal bestiale sfruttamento cui erano sottoposti, cercando di tenerli sotto la loro sorveglianza.
Tuttavia, la continua richiesta di manodopera indigena da parte delle missioni al fine di erigere chiese e conventi, in concorrenza con le richieste degli encomenderos e degli altri spagnoli laici, favorì in effetti una complessa lotta per il potere coloniale.

Conquistato il Messico e resa sicura la sua valle, Cortès riprese l'esplorazione del territorio, alla ricerca di porti che potessero servire da base alla scoperta del Pacifico; tra il 1522 ed il 1524, il Michoacàn e la maggior parte delle coste del Pacifico a nord del fiume Santiago vennero conquistate e concesse in encomienda.
Nel 1523, Pedro de Alvaredo, al comando di un esercito ben equipaggiato, penetrò attraverso Tehuantepéc nella regione delle città maya del Guatemala, mentre Cristobal de Olid tentò di raggiungere il golfo di Honduras. Entrambe le spedizioni incontrarono tuttavia una violenta resistenza da parte degli indigeni ed un'inattesa opposizione da parte degli uomini di un capitano spagnolo, tale Pedro Arias de Avila.
A complicare le cose, Cristobal de Olid rifiutò di sottomettersi all'autorità di Cortès, costituendo un comando indipendente.
Cortès, a questo punto, dovette affrontare l'ammutinamento e prevenire una disastrosa guerra civile; il suo esercito marciò fino all'Honduras, tagliando alla base la penisola dello Yucatan ed attraversando regioni inesplorate ed impervie. Pochi cavalli sopravvissero all'estenuante marcia e, quando uscirono dalla foresta, i superstiti della spedizione erano duramente provati, sia nel fisico che nel morale.
La sola presenza di Cortès, tuttavia, fu sufficiente a ristabilire l'ordine tra gli spagnoli; de Olid venne assassinato prima dell'arrivo del conquistador e l'Honduras venne temporaneamente annesso al Messico.
Pedro de Alvaredo, un condottiero audace e crudele, aveva compiuto una brutale campagna di saccheggio in Guatemala contro i Maya che riuscì a sottomettere completamente; ma le malattie portate dagli Spagnoli (malaria, febbre gialla, dissenteria e tubercolosi) fecero una terribile strage tra la popolazione Maya, tanto che intere comunità si estinsero nel giro di pochi anni.
Lo stesso Alvaredo si recò in Spagna nel 1527 e ne tornò Capitano Generale del Guatemala, insignito poi anche del titolo di Cavaliere di Santiago.

Nel 1526, Cortès tornò in Messico per mare, dopo la sua spedizione nell'Honduras; durante i due anni della sua assenza, gli antagonismi e le gelosie locali avevano sconvolto città e province, e molti avversari di Cortès, invidiosi della enorme fortuna che aveva accumulato, erano andati in Spagna con l'unico scopo di screditarlo a corte.
Tuttavia, egli riprese con l'antica energia l'opera di organizzazione della Nuova Spagna, esplorando tutte le province costiere, proseguendo la ricerca di una via marittima per l'Oriente; le spedizioni di Cortès nel Pacifico si rivelarono, invece, semplici ricognizioni sotto costa, che portarono, però, alla scoperta della bassa California.
Poco dopo, Cortès tornò in Spagna per difendere il suo operato e sollecitare la gratitudine reale. A corte, dove era giunto con doni degni del fasto imperiale, ricevette una calorosa accoglienza da parte dell'imperatore. Gli venne concesso il titolo di marchese della Valle di Oaxaca e gli fu confermata la sua vasta e ricca encomienda.

L'imperatore decise poi che Cortès doveva tornare in Messico come Capitano Generale, ed assumere il comando delle forze militari in caso di gravi disordini, anche se lo stesso Corès non venne mai nominato governatore. Il potere civile fu di nuovo affidato ad un'audiencia formata da giudici di indiscussa integrità morale.
Tale comitato di insigni giuristi ed ecclesiastici amministrò per cinque anni la Nuova Spagna, sforzandosi, senza grande successo, di rendere operanti gli ordini imperiali.

Alla fine, la Corona giunse all'ovvia conclusione che frati, indigeni e conquistadores potevano essere governati da un solo energico capo, e, per questo motivo, venne nominato un viceré con ampi poteri legislativi. Il primo fu Antonio de Mendoza, che assunse il governo della Nuova Spagna nel 1535; fu un soldato ed un diplomatico, cadetto di un grande casato nobiliare.
Il nuovo governo della Nuova Spagna limitò al massimo privilegi e poteri di Cortès, le cui spedizioni nel Pacifico furono subito ostacolate dal nuovo viceré.
Le energie di Cortès furono circoscritte alle sole attività commerciali, all'amministrazione delle sue piantagioni di canna da zucchero, nonché agli allevamenti di bestiame. Infine, nel 1539, Cortès, stanco del Nuovo Mondo, tornò in Spagna dove visse da gran signore, grazie alle rendite sostanziose del marchesato.
Morì nella sua casa di Casilleja della Cuesta, vicino a Siviglia nel 1547, dopo aver procurato alla Spagna vastissimi territori ed immense ricchezze, da un lato, ed aver distrutto per sempre due splendide civiltà (Maya ed Azteca), dall'altro, concorrendo allo sterminio di milioni di individui.
Per sua volontà, i suoi resti mortali furono portati in Messico.

Sergio M Polidori


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  16 dicembre 2004